Da quando nel primi anni ’80 del secolo scorso è stato introdotto l’autofocus, seppur con modalità “primitive” rispetto alle tecnologie attuali, ci siamo sentiti sollevati da una cosa che a qualcuno poteva sembrare una fatica, lasciando alla tecnologia il “gravoso” compito di mettere a fuoco la nostra inquadratura.
Canon nel 1998 aveva tentato la strada della messa a fuoco comandata dallo sguardo nella reflex EOS 3, muovendo la pupilla nel punto di interesse la fotocamera regolava il fuoco di conseguenza. Forse era stata troppo in anticipo sui tempi e a parte quel fugace tentativo non se ne è più parlato salvo oggi riproporla sulla recente mirrorless EOS R3.
Si tratta in ogni caso di un modo di far fare qualcosa, la messa a fuoco, a qualcun altro, sollevare il fotografo (o videografo) dal compito di regolare il fuoco. Ma perchè una cosa apparentemente così semplice e importante allo stesso tempo deve essere vista come un compito gravoso da decidere di farlo fare in automatico alla tecnologia?
Di motivi ce ne sarebbero, uno su tutti, la macchina è certamente più veloce della nostra mano, ma se vogliamo continuare su questa strada potremmo dire anche che la macchina è sicuramente più precisa di noi che potremmo sbagliare per problemi di vista o svista.
A questo punto del discorso penserete di avere a che fare con un autore favorevole alla messa a fuoco automatica, non è così, chi scrive non lo è (favorevole) a prescindere, ma lo è in base alle circostanze.
Partiamo da un presupposto, dobbiamo capire che tipo di strumento abbiamo in mano e questo traspare da ogni articolo, dobbiamo essere certi delle sue potenzialità o possibilità. Abbiamo in mano un modello di ingresso, medio o professionale? In base a questi tre livelli si alza l’asticella della tecnologia e della conseguente precisione di tutto quello che la macchina sarà in grado di fare, perchè è pacifico che una macchina destinata ai principianti da poche centinaia di euro non potrà permettere di fare le stesse cose di una macchina da molte migliaia di euro.
Allora dobbiamo, conoscendo quello che abbiamo in mano, decidere se lasciare fare a lei o se dobbiamo assisterla, ma questo è solo uno dei modi che esistono per regolare la messa a fuoco, perché qui non stiamo parlando di precisione o velocità ormai fuori discussione.
Una differenza tecnologica che divide il mondo reflex dal mondo delle senza specchio è quella dei punti di messa a fuoco molti di più su queste ultime. Infatti le mirrorless hanno la caratteristica di avere centinaia di punti di messa a fuoco, talmente tanti da riuscire a coprire l’intera superficie del sensore permettendo di regolare il fuoco anche su parti periferiche del campo inquadrato.
- © Claudio NP
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Pensiamo in grande
Tutto questo preambolo per iniziare a parlare dell’argomento di questa lezione ovvero la messa a fuoco dell’immagine inquadrata, intesa non solo come modalità ma anche come effetto cinematografico di grande impatto. La cinematografia ha sempre vissuto sull’impatto dello sfocato, che sul grande schermo ha un effetto visivo devastante creando emozioni indescrivibili.
Siete stati certamente al cinema e avrete certamente notato l’effetto particolare che danno le scene realizzate con una bassa profondità di campo derivante dall’uso del teleobiettivo e dal diaframma tutto aperto che crea uno stacco tridimensionale da “wow”. Tra l’altro anche con obiettivi grandangolari si può ottenere lo stesso effetto di stacco tridimensionale e infatti anche tale lente è abitualmente utilizzata nei film per creare il medesimo effetto di cui sopra, l’unica accortezza, ne parleremo meglio dopo, è quella di stare molto vicino al soggetto principale.
Ogni nostra opera audiovisiva è il nostro capolavoro e non dobbiamo pensare che sarà visionata solo sul piccolo schermo, inteso come monitor da computer o televisore. Escludo per partito preso gli schermi dei telefoni cellulari non considerandoli prodotti ne per la creazione di contenuti audiovisivi ne per la loro visione, nonostante alcuni prodotti abbiano delle possibilità di ripresa di buona qualità.
Un opera cinematografica non è pensata per essere visionata su un 5 pollici. Chiuso. La nostra opera audiovisiva non è escluso che possa essere proiettata in un contesto di pubblico in una sala dotata di video proiettore oppure, perché no, un giorno potremmo vederla proiettata in una sala cinematografica e pertanto pensiamo in grande fin dall’inizio, mettiamo in atto tutti gli accorgimenti necessari a una fruizione al massimo delle possibilità.
- © Claudio NP
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Qualità dello sfocato
Come si può ottenere l’effetto sfocato tipico della cinematografia? Lo spieghiamo adesso. Iniziamo col dire che lo sfocato non si realizza solo per dare un effetto “wow” all’inquadratura ma serve a creare quello che tecnicamente si chiama “centro di interesse”.
Se noi realizzassimo una inquadratura con un tutto a fuoco è pacifico che lo sguardo dello spettatore sarebbe coinvolto e distratto da troppe informazioni quali ad esempio i colori, le forme, il paesaggio e mille altre cose che rientrano nel campo inquadrato soprattutto con i grandangolari.
Sfocare permette di catturare l’attenzione dello spettatore sul centro di interesse, su ciò che noi vogliamo che sia il centro di interesse, mandando tutto il resto fuori fuoco, tutto ciò che distrae, tutto ciò che non racconterebbe nulla di interessante e distrarrebbe. Attenzione adesso, bisogna tenere in mente una cosa di fondamentale importanza, se la nostra opera sarà visionata su piccoli schermi saranno perdonabili, perché probabilmente poco visibili, errori di fuoco. Al contrario, in una proiezione su grandi schemi, ogni piccolo errore di fuoco diventa un errore imperdonabile che sporca irrimediabilmente la scena. Ogni millimetro di fuori fuoco, impercettibile su un monitor, diventa centimetri di fuori fuoco su maxi schermi è un po’ come misurare la distanza con un binocolo, ogni millimetro di una scena vista in lontananza sono in realtà metri di differenza.
Ecco che allora risulta di fondamentale importanza curare perfettamente la messa a fuoco avvalendosi di loupe di alta qualità, collegando l’uscita video della fotocamera a un monitor esterno in modo che non solo l’operatore ma anche altri membri della troupe possano visualizzare in diretta la scena inquadrata.
I trucchi del mestiere
Ci sono ovviamente alcune accortezze da mettere in conto per fare in modo che, soprattutto con scene in movimento, possiamo regolare il fuoco senza sbagliare, vediamone qualcuna. Quello che stiamo per descrivere presuppone che la ripresa sia effettuata da una squadra o troupe per usare un termine da cinematografari, avvalendosi di compagni di squadra che conoscano il mestiere.
Immaginiamo di dover girare una sequenza dove l’attore o gli attori debbano muoversi lungo un percorso e noi abbiamo a disposizione una camera, un operatore, un assistente operatore (focus puller) e un direttore, tenendo presente che nelle produzioni indipendenti a basso budget spesso, operatore, direttore (regista) e direttore della fotografia spesso coincidono con la stessa persona, in ogni caso facciamo in modo di essere almeno in due a operare.
Prima di dare ciak poniamo con del nastro adesivo di colori diversi sul pavimento i riferimenti delle posizioni precise che devono assumere gli attori, ad esempio posizione A e posizione B. Allo stesso modo, sempre con del nastro adesivo di colori diversi, segniamo sul barilotto della lente la posizione di partenza degli attori che abbiamo chiamato posizione A (come quella a pavimento) e poi facendo posizionare gli attori nel punto B regoliamo di conseguenza il fuoco e segniamo con la lettera B questo secondo punto sulla lente. Quando registreremo la lente sarà regolata con la ghiera del fuoco sulla posizione di partenza A, man mano che gli attori si spostano verso il punto B, l’assistente operatore ruoterà la ghiera del fuoco verso la posizione B, in questo modo avremo che i due punti dove ci interessa il fuoco A e B saranno perfettamente a fuoco senza sbavature di regolazioni fastidiose avanti/indietro della ghiera a cercare il giusto fuoco.
Quando si utilizzava la pellicola per girare un film, si misurava con il metro la distanza tra il piano focale e l’attore, per prendere sul barilotto della lente i riferimenti metrici da tenere in considerazione, visto che negli obiettivi cinematografici erano e sono tutt’oggi riportati, serigrafati, le distanze in metri e piedi.
Questi riferimenti sono di fondamentale importanza anche oggi nel caso abbiamo la possibilità di usare una lente cine, servono anche per capire se la lente è perfettamente centrata, cioè se il riferimento serigrafato corrisponde esattamente al punto di fuoco impostato misurato con un metro.
Grandangolo o tele
Con entrambi le lenti possiamo ottenere un piacevole effetto sfocato che crea tridimensionalità alla scena, basta avere l’accortezza di lavorare con lenti professionali con diaframma almeno 2.8. Teniamo aperto il diaframma e non pensiamo alle eventuali aberrazioni ottiche a tutta apertura, non è una foto, regoliamo l’esposizione con i filtri ND all’occorrenza. Con ì grandangolari avviciniamoci quanto più possibile al soggetto tenendoci ai limiti dell’eventuale deformazione prospettica tipica di tali focali e regoliamo il fuoco sul soggetto a noi più vicino e il gioco è fatto.
Manuale o autofocus?
Ecco, adesso che abbiamo terminato possiamo tranquillamente capire in autonomia quando serve ed è importante l’autofocus e quando no. Per la fotografia è di fondamentale importanza soprattutto per seguire eventi sportivi, nel ritratto ni, preferisco la regolazione manuale anche se l’assistenza del fuoco sugli occhi aiuta molto. In cinematografia la regola è: mettiamo a fuoco manualmente.
Claudio NP
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