Ogni volta che realizziamo una fotografia o una video ripresa, questi “parlano”, ovviamente non con il linguaggio della parola come gli esseri viventi, “parlano” con il significato che noi abbiamo dato al fotogramma, con la luce, con il taglio, con la focale etc.
Citando alcune espressioni internazionali che in un modo universalmente noto descrivono i concetti di cui vogliamo raccontare, cosi come esiste il linguaggio del corpo detto “body language” o quello dell’abbigliamento “dress code” esiste il linguaggio cinematografico un “cine code” per adeguarci alle altre espressioni. È un linguaggio fatto di regole e universalmente accettato dall’industria cinematografica e televisiva, e dal pubblico, abituato a uno standard narrativo e necessita obbligatoriamente di conformarsi a queste regole pena il non far “comprendere” agli altri cosa vogliamo esprimere.
Come detto in altre occasioni non sempre è obbligatorio conformarsi alle regole, è pacifico che possiamo eluderle o modificarle a nostro piacimento ma ad una sola condizione, prima di “rompere” una regola bisogna conoscerla.
Si fa l’esempio classico dell’inquadratura con l’orizzonte storto, sarà inutile arrampicarsi sui vetri a descrivere che l’orizzonte è storto per propria volontà artistica, un professionista capisce subito se è un errore o un vezzo artistico, quindi impariamo prima tutte le regole della fotografia e della cinematografia e solo dopo impariamo a, eventualmente, “romperle” cioè agire diversamente, tenendo a mente che rompendo una regola dovremo comunque “romperla” facendo sempre si che il messaggio che vogliamo dare sia realmente compreso pur nella nuova dimensione della tecnica che utilizzeremo.
Il linguaggio cinematografico inizia già dalla sceneggiatura del film redatta secondo due schemi predefiniti, all’americana e all’italiana. La sceneggiatura all’italiana viene redatta in un foglio diviso in due colonne, a sinistra vi è posta la descrizione visiva dell’azione mentre a destra avremo il dialogo e tutte le altre indicazioni riguardanti il sonoro. Le scene avranno una numerazione distinta dalla numerazione delle inquadrature, inoltre ogni scena con l’indicazione precisa della location (luogo, ambiente, interno, esterno) viene iniziata a capo della pagina. Anche la sceneggiatura, per gli addetti ai lavori deve essere redatta secondo regole prestabilite e universalmente accettate.
IL LINGUAGGIO DEGLI OBIETTIVI
Gli obiettivi hanno un linguaggio? Si perché noi abbiamo dato a loro, a ogni lente, a ogni angolo di campo rappresentato, un significato specifico nella narrazione e anche quando usiamo una lente diversa rispetto a quella che universalmente andrebbe usata per rendere comprensibile un concetto, stiamo comunque utilizzando il loro linguaggio per fargli raccontare la scena inquadrata in modo diverso. Facciamo un esempio pratico, chi si sognerebbe di inquadrare con un fish eye il viso di una persona da molto vicino sapendo che deformerebbe in maniera anche ridicola tale volto? In condizioni normali nessuno, ma se vogliamo comunicare o enfatizzare una situazione comica o divertente per via della particolarità che crea questa lente, ecco, si, utilizzare un fish eye è sbagliato come regola generale ma è corretto nel contesto in cui vogliamo inserire quella situazione.
Detto ciò si conviene che ogni lente con il suo angolo di campo che si porta dietro e con le sue “doti” specifiche come il numero o la forma delle lamelle del diaframma, la particolare “pasta” o resa, là velocità intesa come apertura massima, formano un mix particolare che bisogna conoscere per preventivamente capire come lo vogliamo sfruttare.
Scriviamo questo perché in campo cinematografico il regista di concerto con il Direttore della fotografia prima di iniziare le riprese del film sceglieranno la o le macchine da presa di un determinato costruttore e il corredo di lenti che andranno noleggiate, badate bene abbiamo scritto noleggiate, eh si, perché diversamente da situazioni amatoriali o professionali dove l’operatore video possiede il corredo tecnico, nell’industria cinematografica i materiali si noleggiano e conoscendo le caratteristiche di ogni marchio ci si indirizzerà verso determinati prodotti sulla base del tono del film (e/o del budget). Eh si, perché non tutte le lenti sono uguali come resa o pasta, non dipende solo dalla pellicola o dal sensore, ogni vetro ottico ha le sue peculiarità, ci sono “vetri” (inteso come lenti) più “morbidi” e altri più “taglienti”, nel nostro campo vige un modo di dire, “è una lama”, lo avrete senz’altro sentito, significa che quell’obiettivo ha una resa talmente dettagliata e precisa da “spaccare il capello”. Ogni accoppiata macchina da presa-lenti costituisce un insieme che serve a dare quella precisa unicità al film, tenendo a mente che per ogni macchina da presa vi è la possibilità di montare non solo le lenti dello stesso costruttore del corpo camera ma anche lenti di altri fabbricanti di obiettivi, è così che spesso si accoppia il corpo di un marchio e le lenti di un altro perché al regista piace la resa di questo o quel produttore.
Nel campo delle video fotocamere, reflex o mirrorless vi è la possibilità di accoppiare lenti di altre aziende anche di ottiche universali, tramite anelli adattatori di innesto. Se per le reflex le possibilità sono più limitate nel campo del sistema mirrorless per via del ridotto tiraggio si possono accoppiare lenti di qualsiasi produttore e formato anche vintage o addirittura del tipo a vite, un tipo di innesto precedente a quello a baionetta. Non aspettiamoci però una resa “tagliente” come un obiettivo odierno progettato per le alte risoluzioni dei moderni sensori, potremmo avere delle delusioni per la resa ai bordi o per le aberrazioni ottiche che si portano dietro per via di progetti ottici di tantissimi anni fa.
La scelta dell’ottica determina la distanza cinematografica, infatti dalla scelta della lente e dal suo angolo di campo si determina il centro di interesse. Gli obiettivi si dividono, come già detto in altre occasioni, in grandangolari o corti fuochi, normali, e teleobiettivi o lunghi fuochi.
Una doverosa precisazione, in cinematografia, nonostante si utilizzi la medesima pellicola intesa come formato di quella fotografica, cioè la 35mm o formato 135 a doppia perforazione, lo spazio occupato dal fotogramma non è lo stesso tra cinema e fotografia (fa eccezione il formato Vista Vision in cui la pellicola scorreva orizzontalmente solo in ripresa). Il motivo è semplice, in fotografia la pellicola scorre orizzontalmente mentre in cinematografia scorre verticalmente, ne consegue che in fotografia il fotogramma ha le dimensioni di 24x36mm, mentre in cinematografia le dimensioni del fotogramma variano in base al mascherino di ripresa e corrispondono più o meno al formato fotografico APS-C o super 35mm.
Quando in questa trattazione parliamo di focali o di angoli di campo ci riferiamo a quelle destinate al full frame come piace definirlo adesso o 35mm fotografico in quanto ci occupiamo principalmente di riprese da effettuare con fotocamere, parliamo comunque di regole cinematografiche perché nonostante sia cambiato il mezzo di registrazione non sono cambiate le regole e le tecniche.
Se usate macchine APS-C o MFT adattate i riferimenti al vostro formato di ripresa perché con i formati inferiori al 24x36mm a parità di focale equivalente si guadagna profondità di campo, pertanto bisogna mettere in conto che se si vuole ottenere una PDC uguale a quella del formato più grande necessita una maggiore luminosità.
Perdendo un diaframma nel calcolo della profondità di campo un obiettivo 50mm f/2.8 corrisponde a un 35mm f/1.4 su APS e a un 25mm f/1.4 su MFT.
Tornando alle focali, minore è la focale, maggiore è il campo inquadrato mentre a focale maggiore corrisponde minore campo inquadrato.
Perché usare una lente piuttosto che un altra ? Parrebbe ininfluente al fine di ottenere la medesima distanza apparente spostare il punto di ripresa o montare una lente più corta o più lunga. In realtà le cose non sono così semplici perché in visione (o proiezione) il risultato di spostare il punto di ripresa o usare una lente con un angolo di campo diverso fa ottenere risultati diversi.
Facciamo un esempio pratico, poniamo due fotocamere davanti a un soggetto, la prima (A) distante, con un teleobiettivo, la seconda (B) più vicina con una lente grandangolare al fine di inquadrare il soggetto con le medesime dimensioni ad esempio con un piano americano quindi dalle ginocchia alla testa e alcuni “props” (oggetti d’arredo o accessori). Nonostante sul fotogramma il soggetto sarà inquadrato allo stesso modo e avrà le stesse dimensioni, a parità di distanza apparente quello che cambierà sarà lo sfondo, più ravvicinato nell’inquadratura con il teleobiettivo, quindi tutto ciò che sta dietro al soggetto apparirà in modo diverso e soprattutto varierà la profondità di campo cioè la zona di fuoco.
IL LINGUAGGIO DELLE INQUADRATURE
Con inquadratura si intende non solo la porzione di campo ripreso dalla macchina da presa ma anche la ripresa ininterrotta tra l’inizio e la fine della stessa decisa dal regista.
Nella realizzazione del film è importante decidere anche la posizione della macchina da presa in quanto determinerà la particolare resa dell’inquadratura stessa.
Ogni ripresa se fatta a macchina singola prevede la ripetizione n volte di tutte le battute riprese prima da un lato e poi dall’altro per un dialogo tra persone, la famosa inquadratura di quinta, ricordando che la macchina da presa va posizionata all’altezza della spalla del soggetto, quindi se il dialogo avviene tra persone di altezza diversa o una in piedi è l’altra seduta la posizione di macchina dovrà tenerne conto.
Le inquadrature si dividono in generali e di copertura, di solito prima si fanno le generali e poi le coperture. Le coperture sono inquadrature secondarie che hanno un doppio valore, la funzione principale può essere quella del cosiddetto “piano di ascolto” cioè mentre una persona sta parlando si inquadra l’interlocutore che ascolta e annuisce e si riprende la sua mimica facciale spesso importante ai fini del racconto.
L’altra funzione delle inquadrature di copertura è relativa alla ripresa di oggetti o soggetti relativi alla inquadratura principale come dei primi piani o dettagli, oppure funzione non meno importante è quella di coprire eventuali errori delle inquadrature principali.
Nelle interviste le coperture servono a montare in “insert video” oggetti o soggetti di cui si sta parlando oppure a coprire errori di ripresa, sfocature o movimenti del cameraman o un disturbo momentaneo o semplicemente a movimentare il montaggio.
La copertura può prevedere l’utilizzo di una focale diversa rispetto alla principale.
La regola del succedersi delle inquadrature è la seguente, si parte dalle grandangolari e via via si stringe con le focali maggiori.
Lo spazio che deve coprire l’inquadratura va deciso in fase di sceneggiatura e deve rispondere anche al formato con cui si intende produrre il film, partendo dal classico 16:9 la lente inquadrerà a tutto schermo così come vediamo a monitor, se invece decidiamo di girare in 2K/4K DCI in 17:9, se la macchina lo prevede, vedremo sempre a monitor la reale porzione di spazio inquadrato con due leggere bande nere sopra e sotto, tenendo presente che i monitor, sia quelli della macchina da presa che gli esterni, tendono ad avere un rapporto d’aspetto (aspect ratio) che parte sempre dal formato maggiore. Nel caso decidessimo di girare in formato panoramico 2;35:1 o 21:9, serve ovviamente una macchina che lo preveda e le relative lenti anamorfiche. In mancanza si usa il finto panoramico, si gira possibilmente in 17:9 e si maschera in editing con le bande nere del formato anamorfico, in questo caso in ripresa dobbiamo preventivamente tenerci leggermente più larghi dai soggetti per non incorrere in visi eccessivamente tagliati nei primissimi piani. Un trucco consiste nel posizionare due strisce di nastro adesivo nero sul monitor della fotocamera a mostrare le bande dell’anamorfico in modo da avere un riferimento visivo in fase di ripresa per le macchine che non prevedono le guide di formato.
Le inquadrature sono di due tipi, soggettive e oggettive e ognuna di esse può essere reale o irreale. Si definisce reale l’inquadratura credibile, cioè quella realizzata da un punto di vista accessibile all’occhio umano mentre al contrario è irreale quell’inquadratura realizzata da un punto di vista non accessibile all’occhio umano, un abuso di tale inquadratura avviene in campo pubblicitario laddove la macchina da presa inquadra dall’interno di una lavatrice o di un frigorifero o da posizioni impossibili (lo scompartimento di un treno) come se un ambiente non avesse pareti.
A onor del vero esiste anche una terza possibilità chiamata pseudo soggettiva o punto di vista, un punto di confine tra le due. La macchina da presa sarà posta ad altezza occhi il più vicino possibile al soggetto umano che resta invisibile dal campo e l’inquadratura rappresenta il suo punto di vista, pertanto in caso di dialogo a due soggetti quello di fronte alla camera non guarderà dentro l’obiettivo come nella soggettiva, che rappresenta lo sguardo dell’interlocutore, ma guarderà il margine del paraluce, quindi leggermente di lato. Volendo, la pseudo soggettiva diventa immediatamente oggettiva, basta far fare qualche passo avanti al soggetto che rappresenta e questi entrando in campo modifica il nome e il tipo di inquadratura.
Le prossime volte ci occuperemo del linguaggio delle varie focali, quando e perché usarle.
Claudio NP
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