Genova. Pride 2021.
Isabelita, una trans colombiana viene uccisa tra la folla con una puntura di curaro.
La vittima è molto nota in città. Non solo per il suo attivismo nell’ambiente LGBT ma anche per la lunga collaborazione con la Comunità di San Bernardo, fondata da Don Dario Drago, prete di strada divenuto una sorta di istituzione.
Le indagini sono affidate al Vice Questore Alvise Loredan, poliziotto di lungo corso, ormai disilluso e in attesa solo della imminente pensione. Soverchiato dall’immane compito di esaminare migliaia di fotografie, chiede aiuto al suo amico Pascal Simeoni, fotoreporter, che accetta malvolentieri per adempiere ad un debito d’onore risalente ad un passato lontano.
Tra i caruggi della città vecchia, ricordi del passato e digressioni gastronomiche e fotografiche, i due protagonisti si confronteranno con l’ambiente e i temi LGBT, con i personaggi del vecchio ghetto ebraico e con l’ipocrisia del mondo “per bene” nei confronti della transessualità.
Isabelita è un noir ambientato a Genova, scritto da Federico Montaldo e nel quale la fotografia è co-protagonista, oltre che a rivelarsi fondamentale per la risoluzione delle indagini.
Il libro verrà pubblicato al prezzo di 13,00 euro (volume) e 6,99 euro (eBook) al raggiungimento della raccolta in crowdfunding alla quale potete partecipare a partire da questo link.
– Non credo di avertelo mai chiesto: perché ti hanno chiamato Pascal?
L’amico fece un sospiro, si alzò dalla sedia si diresse in cucina. Ne tornò con un Laguiole con il manico in legno d’ulivo e un pandolce basso di pasticceria, omaggio dell’ospite.
– Beh, tu sai di mio padre. Senza volerlo ci hai preso. Il mio nome d’origine era Pasquale. In omaggio a Pasquale Paoli, il mito degli indipendentisti corsi. Quando mi trasferii a Marsiglia lo francesizzai. Già era difficile fare Simeoni di cognome, ma chiamarsi pure Pasquale era davvero troppo. Così lo cambiai in Pascal e tale rimase, anche perché come fotografo iniziai a essere conosciuto come Pascal Simeoni. E comunque mi ci affezionai.
– Un po’ come quel famoso americano. Quello che saltò su una mina in Vietnam. Robert … Robert … Robert Capa! Quello dello sbarco in Normandia. Che in realtà si chiamava … Come si chiamava più?
– Si chiamava Endre Friedmann e non era americano ma ungherese. E non morì nella guerra del Vietnam ma nell’allora Indocina francese, nel 1954, dove non avrebbe neppure dovuto andare. Comunque no, quella è tutta un’altra storia. Si racconta che il nome Capa fu un’invenzione della sua compagna, anch’essa fotografa, Gerda Taro, per meglio piazzare le fotografie alle riviste. Che poi neppure quello di lei era il suo vero nome. Si chiamava Gerta Pohorylle ed era tedesca, ebrea e socialista, rifugiata a Parigi. Morì schiacciata da un cingolato nella guerra di Spagna nel ‘37. Non aveva neanche trent’anni. Una fine orrenda.
– Certo che voi fotografi avete un talento particolare per andarvele a cercare.
– Che vuoi, di qualcosa bisogna pur morire… E di certo è meglio morire con la fotocamera appesa al collo che consumati dal cancro in un letto d’ospedale.
– Ehi! Siamo in forma stasera! Offrimi un grappino che è meglio.
Tratto da: Isabelita di Federico Montaldo
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