Ogni volta che vado a vedere una mostra di un celebre fotografo che in era analogica scattava in B/N mi vien da sorridere. Sotto ogni stampa oltre il nome dell’autore, l’eventuale titolo e anno di produzione, c’è la dicitura “stampa ai sali d’argento”.
Perché sorrido? Perché mi ricordo di molti anni or sono quando andavo a fare la spesa nel mio negozio di riferimento a Roma e dicevo al commesso: “Mi serve un pacco da dieci di Brovira, 30×40, cartoncino, glossy” non dicevo baritata, c’era solo quella, la politenata non esisteva ancora, non dicevo “ai sali d’argento”, tutta la carta fotografica era ai sali d’argento. Ora si chiama carta fotografica anche quella non emulsionata da usare con le inkjet e quindi priva di sali d’argento (in realtà sarebbe corretto chiamarla fotorealistica).
Va detto che musei, importanti gallerie, collezionisti, soprattutto all’estero, prendono in considerazione solo le stampe ai sali d’argento. Su questo punto non c’è nulla da discutere, è così, facciamocene una ragione.
All’estero, e in numero crescente anche in Italia, ci sono fotografi che ancora continuano a fotografare in “tutto analogico”, dalle pellicole o lastre di ripresa sino alla stampa.
Sì, ma ora siamo in era digitale, quasi tutti lo adottano, vuol dire che non si possono ottenere stampe inkjet di buona qualità? No, si possono ottenere stampe di ottima qualità, ma semplicemente non si può parlare di stampe fotografiche. Una stampa fotografica avviene per metodo fisico chimico. Una stampa inkjet è ottenuta, come dice il nome, spruzzando minuscole goccioline di inchiostro su un foglio di carta, che può anche essere di ottima qualità e non diverso come supporto base da quello delle stampe ai sali d’argento. Sì ma la qualità ottenibile è paragonabile a quella ottenuta dalla carta chimica? No. Il che non vuol dire che sia di qualità inferiore, ma semplicemente diversa.
Una stampa analogica è sempre un esemplare unico, è difficilissimo ottenere una stampa perfetta e replicarla in modo altrettanto perfetto e da sempre quello che determina il valore di un’opera d’arte è la sua unicità o estrema rarità. Non c’è dunque soluzione? Solo la stampa analogica ha un vero valore collezionistico?
Una soluzione l’ha trovata alcuni anni or sono GIULIO LIMONGELLI, fotografo di mestiere da oltre trent’anni con altrettanti dedicati alla stampa in camera oscura.
Giulio si occupa di fotografia ad ampio raggio. Ha collaborato a riviste importanti, ha fatto fotografia pubblicitaria, dépliant, matrimoni, still life alimentari col banco ottico e molto altro. È un ottimo tecnico, ha girato il mondo, in parte per suo conto, stampando le sue e quelle dei suoi clienti: 300.000 all’anno per i 15 anni più floridi dei trenta di attività, per i seguenti 15 anni una media di 150.000 l’anno. È Il classico esempio di fotografo artigiano, di quell’artigianato che ha origini forse nel medioevo quando voleva dire possedere l’arte, essere capaci di seguire la propria produzione dal momento dell’ideazione sino all’oggetto finito. Ha iniziato molti anni or sono con l’analogico e prosegue oggi col digitale.
Giulio si è reso conto che per ottenere la massima qualità e l’unicità di una stampa occorreva costruire un ponte tra il digitale e l’analogico. Dunque, basandosi sulle sue esperienze pregresse in ambito analogico e digitale, ha studiato e sviluppato in maniera indipendente una retro-innovazione e cioè un ingranditore digitale a cui ha dato il nome di DIGINGRANDITORE.
Per stampare i file in camera oscura con il Digingranditore occorre lavorarli ottimizzandoli per la carta ai sali d’argento per poi procedere alla stampa col tradizionale sistema a tre bacinelle: esposizione della carta con eventuali interventi manuali, sviluppo, arresto, fissaggio ed infine eliminazione dei sali residui, lavaggio, asciugatura. Solo in Camera Oscura si chiude il cerchio del processo fotografico: dalla luce alla luce, ed il risultato è una perfetta stampa analogica ai sali d’argento da file digitale.
Ma la differenza rispetto a un’ottima stampa ottenuta da una inkjet si vede? Beh sì, si vede. È insita nel procedimento, nella natura della gelatina d’argento. L’immagine pare uscire da dentro la carta e non da sopra la carta. Un’ottima stampa inkjet può avere una incisività maggiore, ma i tenui passaggi tonali di una stampa ai sali d’argento non sono replicabili da spruzzi di inchiostro. Un granulo d’argento sviluppato può assumere praticamente infinite gradazioni di nero, mentre le gradazioni di nero ottenibili dalle diverse gradazioni/intensità ottenibili dagli spruzzi d’argento solo finite. Certo queste differenze non sono apprezzabili da tutti, come del resto non tutti sanno apprezzare la differenza di resa di un Summicron da quella di un Helios. Ma ci sono.
Ormai da anni io faccio stampare i miei file bianco e nero solo da Giulio, col suo Digingranditore.
Avevo in mente un piccolo progetto, una serie di fotografie: “Piccola Fotografia Domestica”. Come faccio da sempre per ogni mio progetto, forma e contenuti sarebbero stati studiati per convivere e completarsi a vicenda. Dal mezzo di ripresa (fotocamera e obiettivo), all’illuminazione, dallo scatto, sino al risultato finale stampato, tutto doveva convergere alla perfezione. Solo così il progetto avrebbe avuto senso. La “Piccola Fotografia Domestica” doveva essere un dialogo con quello che chiamiamo “il banale quotidiano”, gli oggetti che vivono e respirano accanto a noi, ma che spesso guardiamo distrattamente. Quindi nessun freddo set da still life, doveva essere una fotografia emozionale, a mano libera, fatta con semplicissimi mezzi tecnici, molto analogica. Poiché con una macchina analogica, tecnicamente, non si sarebbe potuto fare, scattai con una digitale, la Fuji X-E1, con un 50mm f 1,8 Zuiko.
Volevo un risultato dal sapore analogico. Non puntavo tanto alla iper-nitidezza quanto a una buona definizione e ad una ottima scala dei grigi. Ci dovevano essere neri intensi, bianchi brillanti ma non bruciati. La carta doveva essere quella che ero abituato ad usare in camera oscura: baritata. Solo quella poteva rendere ciò che volevo ottenere. Provai vari tipi di stampa, con diverse calibrazioni della macchina, il risultato era buono ma non rispondeva esattamente alle mie aspettative… Volevo altro, qualcosa che avevo chiaro nella mia mente ma che mi risultava difficile trasformare in stampa, in prodotto finito.
Ne parlai lungamente con Giulio. Un dialogo, un’intesa profonda con lo stampatore è indispensabile. Anche storicamente è così, molti grandi fotografi senza uno stampatore di fiducia non avrebbero prodotto un risultato finale da esposizione, degno di nota. Ed avvenne quello che sulle prime stentavo io stesso a credere: le stampe del Digingranditore prodotte da Giulio erano esattamente coerenti con quello che avevo in mente.
Testo di Giorgio Rossi.
Maggiori info su Giulio ed il suo Digingranditore
https://www.facebook.com/digingranditore/
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