TheSpack, la qualità celata. Seconda parte.

Segue dalla prima parte

 

IL SOFTWARE DI SVILUPPO

Come funziona un software di sviluppo? A grandi linee possiamo riassumere la spiegazione dicendo che il programma di sviluppo esegue un processo articolato di funzioni matematiche in sequenza tese a convertire dati numerici non visualizzabili in immagini rasterizzate e pertanto a stampabili sui dispositivi di output. Tradotto in poche parole significa che il software è un flusso di lavoro ordinato nel quale vengono applicati uno dopo l’altro specifici comandi che l’utente può modificare (curve, bilanciamento del bianco, contrasto, saturazione, nitidezza, profilo colore, ecc.) con la finalità di ottenere da un documento un’immagine.

Questa sequenza di funzioni compone un processo di sviluppo lineare e riproducibile che è nascosto all’interno del nostro programma. Non è a noi visibile, non è noto se non attraverso l’interfaccia d’uso che è l’interprete di ciò che accade “di nascosto” al nostro file. Noi inseriamo dei parametri e questi vengono applicati seguendo un preciso schema di lavoro.

L’interfaccia d’uso è però separata dal reale motore del software, in sintesi quello che vediamo a monitor è una preview di quello che sarà il file definitivo, l’interfaccia ci permette di vedere i dati lavorati come se stessimo gestendo il file in tempo reale, ma non è così, è una semplice previsualizzazione di ciò che avverrà in seguito nella fase di calcolo e esportazione, proprio per questo tutti i nostri comandi vengono applicati con la massima rapidità e semplicità. Alla fine, seguendo il proprio iter di lavoro, il software esporta i file con i parametri da noi inseriti, l’agevolazione grafica a monitor è solo un modo più semplice per controllare visivamente valori che altrimenti sarebbero solo numerici.

 

IL FLUSSO DI LAVORO DEL SOFTWARE

 

 

Ma se i file RAW sono solo documenti di dati, perché riesco a vedere una preview e perché in alcuni casi i software non mi permettono di vederli correttamente?
La risposta è duplice e molto semplice: i file RAW, nella maggior parte dei casi, contengono un’anteprima JPG per permetterne la visualizzazione nel sistema operativo, talvolta, però, il file di anteprima non è presente o
il file RAW proprietario non è compatibile con il nostro software o il nostro sistema, pertanto, non potendo decodificare le informazioni interne il computer (sistema operativo o software) non è in grado di resituirci un’anteprima.

Il programma più diffuso a livello professionale è Capture One Pro di PhaseOne, un software completo che si basa su un flusso di lavoro ICC e in parte ricorda le operazioni possibili su ColorQuartet, ai tempi uno dei migliori software di scansione per Esko-Graphics. Il controllo dei parametri avviene attraverso un’interfaccia ordinata e intuitiva, per prima cosa si definisce il profilo colore della fotocamera e i parametri di esposizione, in seguito si svolgono le operazioni di modifica e ritocco. In effetti questa logica è insita nei programmi che operano secondo un flusso ICC, ovvero basato su profili colore che seguono lo standard dell’International Color Consortium. Molti definiscono Capture One il miglior software di sviluppo per i file RAW, ma non tutti sono d’accordo con questa asserzione. Non è un software scadente, anzi, a mio avviso risulta ancora eccellente per molti utilizzi, ma ha una limitazione oggettiva: si basa su un flusso di lavoro limitato che non consente di esprimere la massima qualità dei file.
Più semplicemente: i software che operano come Capture One considerano la fotocamera uno scanner e la sorgente luminosa come la lampada dello scanner, variabile entro certi limiti, avete mai visto uno scanner con la luce da tramonto, alba, temporale, sole estivo, sole autunnale, cielo nuvoloso bianco grigio giallo rosso blu? Direi di no, ma in fotografia ne vediamo realmente di tutti i colori.
Di certo la luce di uno scanner, se non si rompe, non cambia totalmente intensità, contrasto e colore da un momento all’altro, quindi, quando è calibrata, tutto risulta stabile e le tolleranze di variazione sono minime. Differente è il discorso relativo alla fotografia digitale, da una situazione a un’altra tutto cambia per contrasti, saturazioni, tonalità e pertanto il profilo deve essere più flessibile e intervenire in più fasi durante l’uso del software. Non essendoci poi un vademecum ufficiale su come gestire i profili colore ICC nel proprio flusso di lavoro, questi vengono applicati all’apertura del file e non intervengono più nelle successive fasi di lavorazione.

 

SOFTWARE BASATO SU UN FLUSSO ICC

 

 

In pratica, quello che dovrebbe essere l’interprete dei dati colore viene coinvolto solamente in una fase del processo mentre, per tutte le correzioni successive viene ignorato. È come se questi software aprissero l’immagine, la sviluppassero e poi la mandassero all’Adobe® Photoshop® di turno per le successive lavorazioni. In questo caso, però, il profilo colore non può fare particolari danni, intervenendo limitatamente nella gestione dello sviluppo, è utile per la normalizzazione e l’ottimizzazione di molteplici situazioni di ripresa. È infatti possibile realizzare un semplice profilo colore ICC anche su un set ottenendo così l’ottimale taratura della luce e restituendo una miglior brillantezza ai colori. Quella che sotto molti aspetti è una limitazione, da un altro punto di vista si palesa come un vantaggio.

Con questo sistema, infatti, il lavoro si divide in due fasi: lo sviluppo e la correzione. La parte di sviluppo prevede tutte le azioni tese a convertire un file RAW, privo di informazioni colore in ogni singolo pixel, a un file raster ovvero un’immagine contenente le informazioni necessarie per ogni singolo punto. Questo passaggio determina di conseguenza la qualità del prodotto rendendo prioritaria la transazione tra l’immagine latente e il file sviluppato. Le correzioni effettuate in questi software sono quindi una parte successiva e non integrata nello sviluppo vero e proprio poiché non determinano né influiscono sui dati iniziali del file.

Spezzare in due la fase di lavoro non è però così logico, si sfrutta solo in parte il potenziale dei file digitali e si rischia di perdere la possibilità di recuperare appieno le informazioni nelle alte e nelle basse luci.
I software basati su un flusso di lavoro ICC non sono però così negativi, consentono di gestire rapidamente i file, permettono correzioni più modulate e meno invasive lasciando all’utente la possibilità di correggere con maggiore attenzione ogni singolo dettaglio ma soprattutto, producono risultati più stabili poiché la gestione del colore risulta meno complessa e è più semplice ottenere un profilo idoneo in molteplici situazioni d’uso. I vantaggi fanno preferire a moltissimi operatori questo tipo di software. anche perché è semplice ottenere stili personalizzati con correzioni che risultano omogenee per tutte le fotocamere.

Discorso differente, invece, per i profili colore DCP che intervengono in più fasi e determinano costantemente il miglior risultato del file.
Altra domanda molto spontanea: e chi cavolo sono questi dicipì?
Andiamo come sempre per ordine e facciamo un salto indietro nel tempo, nel passato recente Adobe® vide un problema per il mercato dell’immagine digitale, troppi produttori di apparecchiature, troppi formati, troppe istruzioni proprietarie e l’impossibilità di creare un software compatibile con tutto questo. Era disponibile lo standard ICC per la gestione del colore ma come anticipato vedeva le fotocamere come scanner con tutte le limitazioni interconnesse. Adobe® studiò e quindi rilasciò (2004) un protocollo, non un prodotto, un formato, un software proprietario, ma un protocollo chiamato DNG ovvero Digital Negative e lo rilasciò in forma open source (gratuito, per tutti, libero). In pratica venne redatto un documento che forniva le indicazioni necessarie per scrivere i file in un nuovo formato, il DNG appunto, ma non solo, venivano fornite istruzioni per leggerli e anche istruzioni per creare un nuovo tipo di profili colore, i DCP, Digital Camera Profile. Ora, già il nome la dice lunga, Profilo Colore per Fotocamere Digitali, se non vi è balenato il dubbio che sia un’idea azzeccata poco ci manca, comunque la rivoluzione venne dal fatto che per tutti i suoi software di gestione d’immagine Adobe® adottò questo nuovo formato, questo nuovo flusso di lavoro, integrandolo in Camera RAW, il modulo di sviluppo comune a Lightroom e Photoshop®. Sì, ci siamo intesi, un modulo comune che gestisce tutte le immagini come se fossero file DNG, in pratica è stato messo un paletto a priori, basta sistemi proprietari e profili colore destinati agli scanner, da ora in poi si userà un solo standard facilmente gestibile e un flusso di lavoro ottimizzato.

Come si suol dire Adobe® l’ha toccata piano e di certo non ha fatto tutti felici così come in passato quando aveva imposto nuovi formati per i caratteri o per i documenti, ma il mercato alla fine ha assorbito il cambiamento. Alcuni vantaggi del formato DNG sono però palesi, la compatibilità, la minor dimensione del file, la semplicità di gestione delle istruzioni, ma altri sono rimasti celati ai più e sono insiti nella struttura del profilo colore, non sono infatti visibili. Da una ricerca di Raw Studio reperibile a questo link, i software che si basano su un flusso di lavoro ICC limitano le interazioni del profilo colore con il file digitale e pertanto risultano meno validi nella gestione della qualità dell’immagine. I software che si basano su un flusso di lavoro DCP hanno invece maggiori vantaggi e permettono uno sviluppo dei file più accurato e preciso raggiungendo livelli di qualità superiori.

 

SOFTWARE BASATO SU UN FLUSSO DCP

 

 

Perché questa grande differenza?
Perché i profili ICC intervengono solo in una fase della lavorazione mentre i profili DCP in più fasi?
Cosa succede? Quali sono le differenze?
Aiuto!!! Scusate ma capisco, comprendo benissimo che alcune cose non siano chiare.
Cerco di sintetizzare quello che ho introdotto prima anche se non avviene propriamente in questo modo: Software basati su un flusso di lavoro ICC = Apro l’immagine – sviluppo l’immagine – lavoro l’immagine nel software di sviluppo – esporto l’immagine definitiva
Software basati su un flusso di lavoro DCP = Apro immagine – converto nel file di lavoro – lavoro l’immagine interagendo con il profilo colore – esporto l’immagine definitiva
In pratica i profili colore DCP forniscono maggiori informazioni in fase di sviluppo, consentono un maggior controllo, agiscono durante tutte le fasi della lavorazione e, se sono stati creati correttamente, permettono di mantenere la massima qualità in tutte le condizioni.
Ecco, una frase è molto importante “se sono stati creati correttamente”.

A differenza dei profili colore ICC e come erroneamente si potrebbe pensare, i profili colore DCP sono molto più complessi, agiscono più in profondità e intervengono sulla effettiva qualità dell’immagine, non si può pensare di svilupparli su un set con un semplice software in pochi minuti e sperare di ottenere il massimo dalla propria fotocamera.
Realizzare un profilo colore ICC è semplice e immediato, valutando la fotocamera come uno scanner, basta posizionare una tabella di colori, scattare un’immagine, inserire il file sviluppato senza correzioni in un apposito software, aspettare che venga elaborato ed è fatta. Geniale! Immediato! E i colori sono fedeli! Per ogni situazione di ripresa possiamo calibrare i nostri colori, bilanciare le dominanti e ottenere i risultati desiderati. Certo, se ogni volta portiamo con noi una chart per realizzare il profilo colore e ne realizziamo uno per ogni situazione di luce… Notate bene che i profili colore ICC vengono sviluppati partendo da un file rasterizzato, ovvero processato dal software, agiscono pertanto in una conversione diretta: tanto entra tanto esce, non ci sono variabili aggiunte e
la tonalità, la saturazione e la luminosità del colore non incide nel risultato finale proprio perché agiscono solo e esclusivamente come tabella di conversione andando sempre e allo stesso modo da A a B senza mai interagire con i dati registrati dal sensore.

 

DIFFERENZE TRA I FLUSSI DI LAVORO DEI SOFTWARE

 

 

I profili DCP, come detto, sono molto più complessi, sono un microsistema a parte. In primo luogo considerano la fotocamera un sistema di acquisizione di luce, non un sistema di riproduzione di documenti, questa distinzione prevede pertanto la creazione di un profilo idoneo alla maggior parte delle situazioni di ripresa, al variare della temperatura colore varia infatti il modo in cui vengono processati i dati e al variare della luminosità cambia di conseguenza la saturazione dei singoli colori. Spiegandolo semplicemente, il profilo DCP agisce come un vero e proprio completamento del software e interagendo in tutte le operazioni permette di determinare più fasi della lavorazione e controllare al meglio il file. I profili DCP si sviluppano infatti a partire da file DNG (RAW) e non da file rasterizzati ovvero sviluppati, si basano su un numero di dati più estesi e su una maggior possibilità di variazioni, di conseguenza anche su una maggior possibilità di errori nella generazione dei medesimi.

Ma hanno anche un’altra particolarità, quando si parla di microsistemi si parla in effetti di prodotti più simili a un software che a un documento, possono essere generati in modo da permettere diverse mappature del colore, sono possibili differenti miscelazioni dei canali RGB e, cosa da non sottovalutare, possono essere realizzati in modo differente tra loro. Lo stesso profilo può infatti essere sviluppato in tre differenti modi: normale, invariato e senza cambio di tonalità. Il profilo normale presenta una conversione dell’immagine più percettiva, meno realistica nel colore ma più fotografica, il profilo invariato, quello usato comunemente da Adobe®, permette di controllare lo scostamento della tonalità del colore al variare della luminosità e dell’esposizione mentre nell’ultimo caso è possibile mantenere i colori fedeli e invariati in tutte le fasi della lavorazione.

Non esiste pertanto un metodo unico e semplice per sviluppare un profilo colore DCP, esistono però più sistemi per fornire all’utente la miglior soluzione in funzione delle proprie esigenze.

Lo schema di funzionamento di un software, però, resta sempre lo stesso, in poche parole: vengono lette le informazioni contenute nel file della fotocamera, applicato l’algoritmo idoneo per la conversione, convertiti i dati tramite il profilo colore in un documento usabile dal software, lavorate le immagini, salvate le preferenze di lavoro in un file proprietario e alla fine esportate le immagini nel formato richiesto.

Ma oltre a questo sorge spontanea una domanda: chi usa questo sistema? Ci sono altri software oltre a quelli di Adobe® e perché non tutti usano i profili DCP?
Sicuramente sul mercato troviamo Iridient Developer, che è uno dei software più flessibili ma anche più complessi da usare, ma vi sono anche RAW Therapee e DxO PhotoLab 3 che adottano sia profili colore DCP che profili colore ICC. Altri prodotti come Skylum Luminar e Silkypix restano ancorati alla gestione dei profili colore ICC. La ragione per cui non tutti cambiano immediatamente il flusso di lavoro e si spostano verso questo “nuovo” formato è molto complessa da dirimere, riassumerei brevemente il concetto: se avete un programma che funziona bene, è veloce, stabile e piace, avete accordi con tutte le maggior aziende e i vostri utenti sono soddisfatti, voi lo cambiereste? Direi di no. I cambiamenti sono lenti, problematici e nel cambiamento insorgono errori, meglio andare con calma e implementare quello che già si ha. Il percorso di conversione è comunque in atto e tutti i produttori si sono resi conto che il flusso di lavoro ottimale si sta spostando verso i profili colore DCP ma è anche difficile spingere i professionisti che hanno investito svariate migliaia di euro nella realizzazione dei propri stili e preset a cambiare per un nuovo sistema con il rischio di perdere una fetta di clienti e dover ricominciare il lavoro dall’inzio. Alla fine se gli utenti non chiedono un miglioramento, il miglioramento non ci sarà.

 

Simone Bassani

TheSpack

 

NOC SENSEI è un modo nuovo di vedere, vivere e condividere la passione per la fotografia. Risveglia i sensi, allarga la mente e gli orizzonti. Non segue i numeri, ma ricerca sensazioni e colori. NOC SENSEI è un progetto di New Old Camera srl

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