La storia del marchio Jordan è stata oggetto di un film diretto da Ben Affleck; vi si ripercorrono gli inizi della collaborazione tra Michael Jordan e Nike, ma soprattutto la creazione di un modello di business innovativo tra un atleta già promettente sin dai suoi esordi e una azienda che in lui ha investito sino a creare una scarpa, una linea, un brand attorno all’atleta.
Se il design della scarpa è arrivato dall’interno fin da subito, solo successivamente all’iconico modello si è aggiunto un elemento identificativo dell’intera linea: il cosiddetto Jumpman.
In realtà la posa iconica di Jordan ora impressa grazie a Peter Moore e Tinker Hatfield su ogni scarpa nasce da una iconica foto che ha creato non pochi problemi a chi per primo l’ha ideata.
Era il 1984 e la rivista LIFE chiese a Jacobus Rentmeester un servizio su un giovane cestista ancora di stanza in North Carolina, con la divisa della nazionale di basket e un paio di Converse ai piedi.
La posa specifica della foto, voluta da Rentmeester, era ispirata a quelle del balletto e voleva creare un’immagine dell’uomo che salta verso il cesto con in mano la palla. Nike chiese di avere la licenza della foto, che venne concessa per presentazioni e slides, escludendo qualunque altra duplicazione.
L’anno dopo Nike commissiono’ ad un suo fotografo una immagine di Michael Jordan per poterne fare un poster e successivamente un vero e proprio logo.
All’inizio era posizionato solo su qualche capo di abbigliamento, ma a partire dal 1988 (anno in cui venne disegnato l’emblema che conosciamo oggi) divenne talmente identificativo del brand da essere posizionato su ogni scarpa e prodotto a marchio Jordan.
Verrebbe da pensare che l’idea di Rentmeester fosse quindi oggetto di protezione e quindi di adeguato compenso. Nel 2015, molti anni dopo la messa in uso del marchio, il fotografo fece causa alla Nike lamentando una violazione del copyright sulla sua foto, spiegando proprio che l’idea originale apparteneva a lui e pertanto anche le successive forme di utilizzo dello stesso. I giudici però ritennero che le caratteristiche anche tecniche della foto fossero non uniche, troppo generiche, non degne di essere oggetto di protezione della proprietà intellettuale e pertanto non risarcibili.
Non bastava quindi una posa per potere vantare una copia, ma dovevano essere emulate alla perfezione l’angolo, i tempi di esposizione, la velocità espressamente scelta dall’autore per l’otturatore.
Inoltre la posa scelta dal fotografo era troppo innaturale, lontana dal mondo del basket e richiamava molto di più il contesto del “grand jetö” appartenente al mondo della danza. Una posa costruita a tavolino dal fotografo che rendeva distante Jordan da cio’ che sarebbe arrivato dopo.
Infine la corte decise che il logo era molto piu’ simile alla produzione fotografica del 1985 commissionata da Nike che non a quella prodotta da Rentmeester l’anno prima.
Time Magazine ha inserito lo scatto di Rentmeester tra le cento foto più significative del secolo. E’ la numero 78.
Lascia un commento