Uno dei più grossi fraintendimenti della società tecnologica è quello che tende a confondere i mezzi con il fine.
Non sfugge il mestiere del fotografo, che spesso viene visto più come uno smanettone, super-esperto di tecnologie e attrezzature, mentre se ne trascura (e lo facciamo anche noi) il suo ruolo più importante: quello di autore.
Ai miei allievi e a i miei clienti spesso propongo un paragone: guidando un’automobile è sì importante sapere sterzare, usare l’accoppiata cambio/frizione e così via, ma questi sono automatismi che devono essere acquisiti e applicati senza nemmeno considerarli.
Quello che conta è l’attenzione al percorso e, soprattutto, la meta alla quale vogliamo giungere, un concetto che vale per l’automobile come per la macchina fotografica.
Ogni tanto, quindi, fa bene ridurre i fardelli tecnici e concentrarsi sull’idea e sulla sua esecuzione.
Ecco cinque semplificazioni che ci possono aiutare e ricondurre, con una benevola costrizione minimalista, sulla direzione autorale di una sorta di “slow-photography”:
- utilizzare solo un’ottica, per di più fissa;
- Fotografare solo con luce naturale, anche in studio;
- evitare qualsiasi automatismo, anche nella messa a fuoco;
- progettare e realizzare le immagini per essere stampate;
- immaginare di avere un limite simile a quello imposto dai rullini di pellicola: 24 o 36 foto al massimo per sessione.
L’attrezzatura, ovviamente, è spesso indispensabile per ottenere determinati risultati, io stesso mischio spessissimo luce naturale e flash, così come a seconda del servizio fotografico vario ottiche e accessori.
Le attività artigianali, come la fotografia, però, vivono soprattutto di idee e di dedizione, non di utensili: ogni tanto è bene ricordarselo, per ricominciare a usare la nostra complessa attrezzatura e non a subirla.
Giorgio Sitta.
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