Long time exposure photography e horror vacui

Long time exposure photography e horror vacui

Di Giorgio Sitta

 

Ognuno di noi ha le proprie idiosincrasie, si sa.

Tutto sommato, se non si trasformano in manie, un po’ di sana e personale avversione nei confronti di qualcosa può esserci utile anche per conoscerci meglio.

In campo fotografico, lo confesso, per esempio, non sono mai stato un grande appassionato della cosiddetta “long time exposure photography”, spesso usata a sproposito per “spalmare” elementi naturali, come acqua e nuvole.

E’ un genere che non amo per due motivi fondamentali.

Il primo è che, caratterialmente, ho un forte rispetto per la “materia” che fotografo, che preferisco spesso accentuare, tramite contrasto locale e altri metodi, piuttosto che rendere indefinita.

Mi piacciono, per esempio, le nuvole belle “gravide”, quasi un presagio di tempesta, piuttosto che dei rassicuranti “baffetti”, così come preferisco l’onda del mare all’acqua setosa.

Il secondo motivo è un po’ più profondo, che deriva dal mio amore per il “vuoto”, che vorrei, in qualche modo, “donare” a chi guarda le mie foto.

Mi piace, in altri termini, che chi guarda le mie fotografie possa “riempirne” i vuoti fisici, concettuali e temporali con la sua visione, cosa per me impossibile se si “spalmano”, temporalmente e fisicamente, gli elementi di una fotografia.

E’ un po’ il vizio di una società nella quale siamo sempre più stimolati, abbiamo paura del “vuoto” (horror vacui) e cerchiamo di riempirlo anche visivamente.

Difficilmente, infine, uso i lunghi tempi per la fotografia di paesaggio urbano, che per me perde di senso se privo della presenza umana, cancellata invece dalla combinazione del veloce movimento delle persone e dei lunghi tempi di esposizione.

I miei filtri ND, insomma, passano gran parte del tempo a prendere polvere.

 

Giorgio Sitta

www.giorgiositta.com

 

© Giorgio Sitta.

 

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