Da tempo seguo divertito (lo so, mi diverto con poco) le invettive di chi, proclamandosi purista della fotografia, grida contro le tecnologie digitali o contro la postproduzione.
Cari nostalgici, vi ricordo che non vi è percezione più alterata della realtà di quella data da una pellicola.
O forse pensate che il mondo ipersaturo della buona vecchia cara Velvia sia quello vero? Allora vivete in un continuo trip psichedelico!
Nel momento in cui scegliete un’ottica, una certa composizione, un determinato taglio di luce (anche naturale), fate già una precisa scelta estetica, ma anche “ideologica” e, direi, “politica”, di proporre la vostra visione della realtà, che non è mai neutrale.
Questo ben prima della postproduzione.
Cari detrattori di Photoshop e simili, vi segnalo, spero che ciò non vi getti nello sconforto, che da sempre i fotografi, i photo editor e gli art director hanno fatto ricorso alla camera oscura, anche nelle forme più pure di fotografia, come il reportage di guerra, persino nello stiloso bianco e nero!
A tal proposito, vi consiglio di guardare il bel film War Photographer, prestate attenzione all’enorme lavoro che viene fatto in camera oscura da James Nachtwey, ore e ore per rendere l’esatto mood che potrà fare commuovere o inorridire milioni di persone.
Vi segnalo anche il video di Ruben Salvadori, un (finalmente) giovane reporter che racconta il “dietro le quinte” di un conflitto nel quale il dramma, la quotidianità, direi quasi la routine, sono lo sfondo perfetto per dimostrare come il backstage spesso sia drammaticamente diverso da quello che il pubblico poi percepirà.
Cari radical click, lo so che per voi il dolore sarà immenso, ma non siete dei puristi, non esiste la neutralità nella fotografia, ma solo la sua illusione, un rifiuto ideologico che spesso maschera incapacità tecniche e limiti culturali.
Il vero nemico non è Photoshop, ma la vostra presunzione.
Quoto al 100%. Io, che sono daltonico e che non ho photoshop, quanto vorrei dedicare tempo allo studio della post anche se, probabilmente, ne a userei in modo sfacciato ottenendo immagini ancora più irreali dei colori che “non vedo”.
Però, la domanda da porsi davvero sarebbe capire dove finisce la fotografia e dove finisce il buongusto della fotografia.