Con sentenza in data 19 Novembre 2021, la Corte di Appello di Roma ha rigettato l’appello di Tony Gentile avverso la sentenza del Tribunale sulla celeberrima fotografia di Falcone e Borsellino, per la quale il suo autore chiedeva il riconoscimento dei propri diritti una volta che la stessa era stata utilizzata, senza autorizzazione, dalla RAI.
La decisione era molto attesa da chi si occupa professionalmente di tali temi.
In questa stessa rubrica ci siamo già occupati della questione “fotografia semplice” e “fotografia creativa”. Ciò a proposito della decisione di primo grado del Tribunale di Roma nel caso di Tony Gentile, e a proposito di questione analoga riguardante la fotografia di Massimo Sestini sul barcone dei migranti, anch’essa decisa dal Tribunale romano.
Rinviamo alla lettura di tali articoli per il più completo inquadramento delle questioni.
È opportuno ricordare che l’attribuzione all’una o all’altra categoria fotografica è tutt’altro che nominalistica.
Essa determina importantissime differenze sotto il profilo dei diritti:
- nel caso della fotografia “semplice”, il fotografo gode dei cd. diritti connessi, cioè i diritti di “riproduzione, diffusione e spaccio”, che si esauriscono con lo scadere dei venti anni dalla realizzazione della fotografia;
- nel caso della fotografia “creativa”, all’autore è accordata la piena tutela dell’opera ai sensi della legge sul diritto d’autore, essendo la fotografia considerata come opera dell’ingegno (alla stregua di tutte le altre: opere letterarie, musicali, della scultura, della pittura, del cinema ecc.). I diritti che ne conseguono, morali e patrimoniali, durano per tutta la vita dell’autore e fino a 70 anni dalla morte.
Entrambe tali pronunce del Tribunale nei due casi citati, il cui esito opposto (di rigetto nel primo, di accoglimento nel secondo) è dipeso solo dal mero profilo temporale (la riproduzione della fotografia senza autorizzazione entro o dopo i venti anni dallo scatto), si fondano sull’assioma “opera autorale-creativa = opera d’arte”. Non essendosi individuati, ad avviso dei giudici, gli estremi per qualificare dette fotografie come “opere d’arte”, e dovendosi utilizzare a tal proposito i medesimi parametri da utilizzare per la valutazione di un’opera pittorica, la stesse sono state considerate come fotografie “semplici”.
In sintesi, è opportuno qui ribadire le critiche rivolte alle due sentenze del Tribunale.
Il primo punto critico riguarda l’affermata equivalenza tra opera creativa ed opera d’arte: in tale modo, infatti, si realizza una confusione tra giudizi estetici e analisi giuridiche. Come abbiamo già evidenziato nei precedenti articoli, infatti, se è certamente vero che un’opera d’arte è un’opera creativa, non è necessariamente vero il contrario e parificare i due concetti equivale ad avvilire il concetto di opere dell’ingegno così come indicate dalle fonti normative.
La legge sul diritto d’autore, infatti, prescinde completamente da valutazioni estetiche e tanto meno artistiche, ma ha riferimento – come detto sopra – al solo valore creativo.
Il secondo punto critico riguarda il concetto di arte e pone una serie di questioni di non poco conto.
La domanda viene infatti spontanea: che cosa e l’arte? E, soprattutto, è giusto che tale qualificazione sia posta nelle mani del Giudice?
Il concetto di arte è quanto di più impalpabile e mutevole si possa immaginare. A partire dalle avanguardie del primo Novecento fino alla più estreme e controverse realizzazioni contemporanee, il concetto di arte ha progressivamente spostato i propri confini, superando quelli che erano i canoni imperanti nel secolo precedente (per vero il processo era già iniziato nell’Ottocento con la pittura impressionista, dai benpensanti bollata come “non arte”).
Il terzo punto attiene alla disparità di trattamento con le altre opere ingegno, per le quali (si pensi ad un’opera letteraria o musicale), non si richiede che essa debba essere valutata sotto il profilo “artistico”, ma è sufficiente che essa sia originale.
Il quarto punto critico concerne il fotogiornalismo in sé.
Ad avviso del Tribunale (nel caso di Tony Gentile), infatti, la circostanza che una fotografia rientri nell’ambito di un “reportage fotografico”, è per ciò stesso causa dell’inclusione della medesima all’interno della categoria “semplice”, come se essa fosse ontologicamente priva di qualunque valore creativo.
E perché mai al fotogiornalismo dovrebbe essere sottratto a priori valore creativo? Forse che la finalità documentativo-informativa non possa essere accompagnata da un elemento creativo?
Ma veniamo alla sentenza di appello.
Occorre anzitutto dire che in tale sede la Corte, pur confermando la sentenza impugnata (e quindi rigettando la domanda dell’attore/autore), ha parzialmente corretto il tiro, abbandonando il criterio artistico-estetico ma appuntando piuttosto la propria attenzione sul contenuto espressivo, che deve evidenziare “tratti individuali marcati riflettenti la personale visione della realtà del suo autore”.
Aggiunge la Corte di voler fare ricorso, per compiere la propria analisi, “non ad una nozione oggettiva di creatività (che ravvisa tale carattere nella riproduzione fotografia connotata da elementi originali ed innovativi tale da distinguerla da qualsiasi altra opera preesistente), ma ad una nozione soggettiva, sottolineando che l’oggetto della tutela non è necessariamente l’idea in sé, la quale può essere alla base di più opere dell’ingegno, bensì la forma particolare che assume a prescindere dalla sua novità e dal valore intrinseco del suo contenuto”.
Contenuto espressivo che nella specie non è stato ritenuto sussistere. Ciò in quanto – ad avviso della Corte – la peculiarità dell’immagine, il suo carattere “particolarmente toccante” non risiede nel suo carattere creativo ma nell’eccezionalità dei soggetti, ovvero dei due magistrati, simbolo della lotta alla mafia, trucidato poco tempo dopo quello scatto.
Anche a tale decisione presta il fianco a molteplici critiche.
Se è vero, infatti, che il successo di quella fotografia è dipeso dalla fine tragica dei due soggetti ripresi, che ha segnato la vita civile del nostro Paese, è anche vero che è proprio “quella foto” (e non altre) ad aver avuto quella storia.
Lo stesso Tony Gentile, in quelle medesima sessione fotografica, ne ha scattate almeno altre due. E sul luogo erano presenti altri fotografi. La verità è che “quella immagine” rappresenta un momento di intesa tra due amici (chiunque essi fossero), ritrae l’attimo fugace di un sorriso ed è accompagnata da una costruzione compositiva armonica e simmetrica. Il fatto che sia ritenuta “toccante” alla luce della sorte dei due protagonisti è del tutto irrilevante ai fini della sua qualificazione.
Quindi, se la si vuole vedere e – aggiungo io – se si è capaci di vederla, la forma particolare c’è eccome.
Ma a ben guardare è proprio questo il punto. Il giudice, spesso, non ha le capacità né le conoscenze per esprimere un giudizio sull’aspetto creativo o meno di una fotografia. Per giunta, come nei casi sopra descritti, i giudici neppure hanno ritenuto di affidarsi all’opera di un consulente tecnico, probabilmente ritenendo – in perfetta buona fede, sia chiaro – di aver essi stessi le conoscenze per esprimersi al riguardo.
E, se ben ci si riflette, non è neppure giusto caricare sui magistrati il compito di una valutazione che spesso è talmente soggettiva e discrezionale, fondata sul bagaglio culturale di ogni singolo giudicante, diversa da caso a caso, da divenire potenzialmente arbitraria.
Occorre poi riflettere su un altro aspetto.
La durata limitata dei diritti connessi alla categoria “fotografia semplice” era giustificata per il fatto che, quando tale nozione è stata introdotta (nel 1941), la fotografia aveva un’importantissima funzione di medium. In un’epoca in cui l’analfabetismo in Italia era ancora elevatissimo, la televisione non esisteva ed in cui la quasi totalità dell’informazione passava attraverso la carta stampata, la limitazione dei diritti di privativa sulle immagini aveva una sua specifica funzione.
Non per niente tra gli anni ’20 e gli anni ’60 si colloca l’epoca d’oro delle riviste e dei Magazines ospitanti fotografie (Life, Vu, Regards, Paris Match, Illustrazione Italiana, Epoca, Europeo ecc.).
Ottant’anni dopo, in un contesto tecnologico completamente cambiato, tale categoria appare del tutto anacronistica. Nel mondo digitalizzato, del web, dei social, delle tv satellitari, l’informazione generale non passa più attraverso la fotografia, la quale – in disparte l’aspetto artistico – si configura, anche nel fotogiornalismo, come un punto esclamativo su un articolo, una notizia, un servizio. Il reportage non è più (o non è solo) quello del medico di campagna di Eugene Smith, che raccontava su Life agli americani quella storia, ma è sempre più un lavoro di riflessione e indagine, in cui l’aspetto informativo non è preponderante.
Ecco allora che, data la sostanziale incertezza nel tracciare una netta linea di demarcazione tra fotografia oggetto di diritto d’autore o di diritto connesso, ed a fronte di una giurisprudenza ondivaga, appare quanto mai necessario indirizzarsi verso il superamento del regime del cd. “doppio binario”.
Ciò con l’introduzione, a livello legislativo, di un unico sistema che conceda un’uniforme protezione alle opere fotografiche, fondato non già su valutazioni di tipo estetico-creativo, ma sulla presenza di un minimo di prestazione personale da parte del fotografo. O quanto meno, in prima battuta, estendere adeguatamente la durata della protezione della fotografia “semplice”.
Avv. Federico Montaldo
Complimenti ottima produzione
Anch’io ne ho scritto, qualche tempo fa…su Nikonland.it
vexata quaestio…
Adesso l’ Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, pare stia per emettere una moneta raffigurante la foto di Toni Gentile sul recto…
Guarda caso scaduti i vent’anni…