Un fotografo non dovrebbe mai farsi dare consigli da un altro fotografo. Questa frase l’ha pronunciata ieri una persona che stimo. L’ha seminata in me, oserei dire, fino a farmi germogliare quanto sto per scrivere.
La questione dunque è: mai affidare le scelte che fate al parere dei vostri colleghi. Attenzione, non sto parlando di discenti e docenti: chi impara deve necessariamente rimettersi a chi possa insegnargli la tecnica e la pratica, come si misura la luce o come inquadrare, progettare, raccontare una storia. I maestri servono a questo, ci fanno crescere guidandoci, ci aprono la porta di un nuovo mondo e poi saremo noi a doverlo esplorare da soli.
Succede però che chi ci ha educati a guardare, trasformandoci in un potenziale autore consapevole, nel momento esatto in cui ci attribuisce un valore, entri in competizione con noi. E’ la natura umana, è il nostro ego, la nostra stessa insicurezza, a renderci imperfetti, e quando chi abbiamo cresciuto può “farci ombra”, tendiamo a diventare autoprotettivi. Ho parlato al plurale, ma è un comportamento che aborro e che non metto mai in atto (che io ricordi), perché il successo altrui mi rende felice quanto il mio. I casi però sono molteplici: può svilupparsi nel sopracitato maestro la sindrome da competizione, può semplicemente reputarvi in grado di fare scelte autonome, può infine non avere tempo da dedicarvi avendo terminato il suo compito con voi. In ogni caso, il consiglio che gli chiederete potrebbe negarvelo per disinteresse o darvelo sbagliato perché in altre faccende affaccendato o, peggio, perché teme proprio che gli facciate ombra. E’ come se vi dicesse: ragazzino (o ragazzina), ormai non è più tempo che io ti tenga la mano, cammina da solo. A un certo punto della carriera, in effetti, è quello che dovreste fare. Smettere di chiedere agli altri di decidere per voi e scegliere da soli è un segno di maturità professionale in qualunque ambito, figurarsi in fotografia dove la concorrenza impone il carattere. Senza contare che i consigli in generale si chiedono alla mamma, agli amici, e quelli specifici è meglio farseli dare da un curatore, da un gallerista, da un critico, da un photo editor, da qualcuno insomma in grado di indirizzare la vostra competenza, fermo restando che tutte queste categorie vi dedicherebbero la loro professionalità nel modo migliore se fossero pagate per farlo, e non perché li tormentate di domande gratuite.
Una postilla. Questo mestiere, che ha tra le sue peculiarità fondamentali quella di mettere in comunicazione gli esseri umani, ci costringe a continue, difficili relazioni. Se lo si vuole esercitare, bisogna saper trattare con committenti, con i soggetti che si fotografano, con gli iscritti a un workshop, con il pubblico che guarda i vostri scatti, con il collezionista o con un caposervizio del giornale con il quale vorrebbe collaborare… Per non parlare del fatto che tra i vostri oneri ci sono quelli di saper emettere una fattura elettronica o rispettare una scadenza di consegna o mandare un preventivo compiuto e chiaro, tutti compiti amministrativi che quando si rincorrono certi ideali artistici non si penserebbe mai di dover affrontare. La cosa però più determinante di tutte è che ogni aspirante deve capire da solo chi gli tende una mano o chi può rifilargli una fregatura. Si smette di avere dubbi su questo tema quando si è maturi. Altrimenti il mio pensiero sboccerà, come è giusto che sia con l’arrivo della primavera, facendomi chiudere con un suggerimento agli indecisi: tornate a studiare e impegnarvi, perché il vostro tempo non è ancora arrivato e il talento non basta per trasformarsi in un fotografo.
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