Del perché e del percome si fotografa

Sarà che io sono sempre stata in bilico tra le parole e le immagini, senza mai decidere tra questi due grandi amori. Sarà pure che mi vien facile usare questo paragone ancora una volta, ma fotografare è un po’ come scrivere: lo si fa sempre per un lettore o, nello specifico, per un pubblico che osserva la nostra produzione. Le due strade spesso si affiancano, qualche volta si intersecano, si tratta pur sempre di due modi diversi di raccontare una storia a chi ha voglia di ascoltarla. E di scegliere quale linguaggio utilizzare o se parlare in prima o in terza persona. Fate conto di essere dei romanzieri, amici fotografi, e chiedetevi per quale motivo i potenziali “lettori” (fruitori) dovrebbero acquistare il vostro prodotto. Ve lo domandate troppo poco, secondo me, e il risultato è una continua, bulimica, produzione inutile di scatti che non interessano a nessuno. Talvolta nemmeno a voi.

La storia che raccontate, sia scritta che scattata, deve incuriosire, stupire, appassionare, dire qualcosa che nessuno ha mai detto prima in un modo che vi renda riconoscibili e unici, deve invogliare ad arrivare in fondo. Deve essere fatta come fosse un editoriale in prima pagina sul Corriere della Sera. Altrimenti non ditela affatto. Pensateci. Pensate a quando leggete un buon articolo o un bel romanzo. Dalle prime righe restate catturati; dopo due capitoli di solito si fa fatica ad abbandonare quel testo sul comodino, spegnere la luce e dormire. Il lettore viene, insomma, invitato a partecipare. Poi la storia si fa articolata, arricchita di dettagli e ramificazioni, di episodi che la rafforzano e colpi di scena, in un continuo cambio di tensione, fino al gran finale. Inizio, sviluppo e chiusura, come una simbolica Esse maiuscola immaginata facendo muovere il vostro dito per disegnarla su un vetro reso opaco dal vapore.

Quella Esse, che cito spesso ai giovani fotografi che vengono da me a farsi leggere il portfolio, voi dovete averla sempre davanti, quando fotografate. Sia che stiate realizzando una singola immagine, un ritratto ad esempio, o che si tratti di un intero progetto di documentazione, il vostro obiettivo è sempre la storia che regalate a chi vi osserva e che deve avere un senso.

Diceva quel tale: “Ah, no, io faccio foto solo per me stesso”. Beh, io non ci credo quasi mai e glielo dico quasi sempre. Ogni autore, fotoamatore, turista, appassionato del mezzo, scatta per condividere con uno o più soggetti. Accade più facilmente oggi, visto che, grazie alla rete e ai social network, basta un click per divulgare un nostro contenuto a un numero sempre crescente di persone. Ma accadeva anche trenta o quarant’anni fa, quando si tornava da una vacanza con un sacco di diapositive o rullini da sviluppare e poi si organizzavano delle serate per mostrarle ai compagni di avventure, non sempre contenti di farsi ammorbare dal nostro proiettore. C’è infatti da chiedersi quante delle immagini che realizziamo interessino, oggi come allora. Anzi, oggi più di allora. Mettiamo poi che siate voi stessi il vostro pubblico. Quante volte vi capita di riguardare in Apple Photo o nell’account Instagram di un anno fa? Quante volte riordinate o sfogliate le cartelle archiviate sul pc o sull’hard disk esterno? Avete davvero il tempo di farlo? Produciamo immagini in quantità industriali, che consumano enormi volumi di energia e spazio sui server, e per fortuna sono (come dico sempre io) in formato “liquido” e non di carta, altrimenti servirebbe un altro pianeta per smaltirle tutte. Oggi sembra che l’azione creativa-filosofica, che dovrebbe ruotare intorno a questa giovane arte, abbia perso di valore. Si tende a fotografare per comunicare: dove siamo, come stiamo, con chi siamo, se ci stiamo divertendo oppure no. Lo faccio io stessa, tranne poi fermarmi per pensarci su e dire a me stessa, a voi, che ne produciamo troppe, senza sosta, in villeggiatura come in metropolitana, durante una gita o a un concerto o davanti allo specchio del bagno. Ecco, esempio perfetto: a chi interessa il vostro selfie del mattino, prima o dopo la pipì? Forse nemmeno a voi stessi. E sapete qual è la ragione? E’ che molte delle immagini realizzate oggi, non raccontano nessuna bella storia.

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