Come farsi strada fra tigri, foche e pinguini

Parliamo di chiacchiere da bar. Un bar virtuale, che sta nella piazza sempre più rumorosa e perditempo di Facebook, dove si soffermano di più coloro che hanno poco da fare nella vita reale. Beh, l’altro giorno avevo tempo e curiosavo anche io tra gruppetti arroccati e passanti distratti, e sono incappata in due polemiche che mi hanno decisamente infastidita. Mi succede sempre quando intercetto fotografi che criticano altri fotografi. Quando si critica in generale, a dire il vero. Ma ancor di più quando a farlo sono persone che dovrebbero amare la condivisione, il bello, la cultura, gli scambi, i confronti. Invece no, è più divertente pontificare dall’alto (o pensando di trovarsi in alto) dispensando a pioggia il nostro sapere ineguagliabile a chicchessia.

 

 

Ho letto di uno che si scagliava contro il vincitore del Wildlife Photographer of the Year, 2020, il concorso di fotografia naturalistica più antico e prestigioso del mondo, organizzato dal Museo di Storia Naturale di Londra e dalla BBC. Il signore in questione affermava in un post che l’immagine vincitrice potesse farla chiunque. Non usava esattamente questi modi forbiti, ma tant’è. Aveva la solita voglia di aizzare la polemica. La foto la vedete in cima a questo articolo. Mostra una tigre siberiana, specie in via d’estinzione, che abbraccia un albero nodoso, un robusto abete dell’estremo Oriente russo. E’ stata scattata da Sergey Gorshkov, un fotografo nato in un remoto villaggio siberiano e cresciuto in mezzo alla natura, che ha passato la maggior parte della sua vita a osservare animali selvatici, prima imbracciando un fucile poi, dopo un viaggio in Africa, convertendosi alla fotografia. Gorshkov è anche il fondatore dell’Unione russa dei fotografi naturalisti. Le sue immagini sono stampate sulle riviste di tutto il mondo e ha vinto premi in Russia, Regno Unito, Italia e Francia. Per realizzare quello scatto premiato, ha trascorso undici mesi nella foresta e ha usato fotocamere sofisticate dotate di sensori di movimento.

Queste le parole del presidente della Giuria Rosamund Kidman Cox, editore del Wildlife Magazine (poi BBC Wildlife Magazine) per 24 anni, e giudice della competizione fin dal 1981: “È una scena come nessun’altra, uno scorcio unico di un momento intimo nel profondo di una foresta magica. Gli alberi illuminati dal basso sole invernale mettono in risalto l’antico abete e il mantello dell’enorme tigre mentre afferra il tronco in evidente estasi e inala il profumo della resina, lasciando il suo segno come messaggio. È anche una storia raccontata con colori e consistenza gloriosi del ritorno della tigre dell’Amur, un simbolo della natura selvaggia russa”.

Ora, un professionista sta quasi un anno nella foresta, mette la sua esperienza e l’attrezzatura e il denaro e la fatica e le incertezze e tutti i rischi e la distanza da casa sua in un progetto che manco sa dove lo porterà. Riesce a fotografare con quella luce e quella posa un felino del quale restano vivi meno di 500 esemplari, e una persona dall’altra parte del mondo, uno che sul sito dice di se stesso “non sono un fotografo”, si permette di denigrare con supponenza il suo lavoro. Ma perché? Perché lo sport preferito di chi fa foto mediocri deve essere quello di gettare fango su chi si impegna mille volte più di lui e sul suo lavoro ha investito tutto? Perché non si pensa di più a fare cose buone e belle, a fare auto analisi sulla propria produzione, invece di pensare alle fotografie degli altri con così tanta presunzione?

Una scena più o meno simile si è verificata in un altro gruppo. Si parlava in quel caso delle foche di Greg Lecoeur: lo scatto di questo fotografo, dal titolo “Forze Mobile Home” (tradotto è “casa mobile congelata”), lo vedete qui sotto e ha vinto il Siena International Photo Awards, altro premio di tutto rispetto. Chi lo criticava, affermava che la ripresa è troppo ravvicinata e piatta. Secondo loro naturalmente. Loro che non sono mai andati sott’acqua nella vita, non hanno la più pallida idea di quanta roba bisogna comprare per scendere sott’acqua in Antartide a fare foto, di quali difficoltà si debbano superare, di quanti anni di lavoro ci vogliano per arrivare lì e loro che non hanno probabilmente mai partecipato a un contest internazionale.

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2 Comments

  1. alessio bonaccorsi Reply

    Mah… sarà che proprio perché mi immagino abbastanza quali scelte di vita, investimenti, notti insonni e chissà quali altre rinunce… e questi vengono a pontificare.
    Detto che oltretutto, le due foto in questione, sono a dir poco meravigliose.
    Sai… una volta mi sono trovato in una mostra di sculture, ed io ero li ad ammirare una semplicissima opera, che però andava pensata prima di eseguirla, ed un salone con un gelato in mano ed infradito, lo sento commentare..
    Ehh ma questa cosa qui, la potevo fare pure io…
    Mi sono voltato guardandolo in faccia con la voglia immensa di mandarlo a quel paese, e il mio senso critico mi ha convinto che era meglio lasciar perdere.
    E allora.. che ci vuoi fare…

  2. Barbara Silbe Post author Reply

    Io mi trovo continuamente a che fare con la sicumera di chi non sa e parla, critica, contesta. E’ un po’ la moda di questi tempi dove tutti si sentono in diritto di dire la loro, spesso attaccando il prossimo a sproposito e facendo delle grandissime figuracce delle quali manco si accorgono. Se guardi sulla mia bacheca di Facebook, proprio ieri ho dovuto rimettere al suo posto un testa di rapa. Ma tutto sommato capita anche che io mi diverta a farlo per vedere la fine che fanno. Di norma, consiglio però di non perdere tempo con questi soggetti, come diceva quella vignetta ironica che girava tempo fa, “è come voler giocare a scacchi con un piccione” 🙂 e si sprecano inutili energie. Dargli ragione, come si faceva coi matti al manicomio, è più salutare per noi. A presto caro!

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