In collaborazione, redatto e pubblicato da Immagine Persistente
Chi abbia letto uno dei tanti manuali per fotografi principianti, sa che per fotografare bisogna lasciarsi il sole alle spalle, massimo di fianco, eppure i professionisti spesso fanno l’esatto opposto.
Chi abbia letto uno dei tanti manuali per fotografi principianti, sa che per fotografare bisogna lasciarsi il sole alle spalle, massimo di fianco, eppure i professionisti spesso fanno l’esatto opposto: sistemano la macchina in controluce, in modo che il sole lasci in ombra il soggetto che poi possono schiarire o meno con un riflesso o con un colpetto di flash. In questo modo la luce naturale staglia il soggetto, illumina lo sfondo. Basta solo controllare che i raggi non colpiscano direttamente l’obiettivo e che l’esposizione sia letta correttamente: qualcosa che s’impara in mezz’ora.
Una buona foto non può certo prescindere dall’illuminazione, ma più in generale questa regola vale anche in pittura: nel suo trattato in materia Leonardo spiega come costruire uno schema di luce in studio, seguendo lo stesso principio adottato oggi dai fotografi.
Non deve sorprenderci dunque se Storaro, uno dei più grandi direttori della fotografia che il cinema italiano abbia prodotto, sia riuscito a trasporre magistralmente in pellicola l’esperienza di uno dei più grandi pittori del XVI secolo: Caravaggio. Il maestro lombardo staglia i propri soggetti dallo sfondo, conferendo loro un effetto plastico quasi tridimensionale, sceglie poi una luce che piove dall’altro, data leggermente di lato, per disegnare attraverso le ombre i tratti del volto.
La sua è una luce mediterranea, satura, incisiva, diversa da quella di un altro grande maestro nato in Olanda poco dopo la sua morte: Rembrandt. Come Caravaggio, Rembrandt fa propria la luce, ma si tratta di una luce diversa: è la luce del nord caratterizzata da tonalità soffuse e da contrasti morbidi, quasi crepuscolari.
Lo studio di questi giganti del passato può servirci meglio di qualsiasi manuale per capire quanto un certo tipo di ricerca non possa essere condotta soltanto sui libri, ma debba fruire attraverso la propria sensibilità a partire dalla contemplazione del mondo che ci circonda.
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Sergio Marcelli
Sergio Marcelli nasce ad Ancona nel 1971. Amante delle arti visive, si avvicina alla fotografia sin da bambino per approfondirla – dopo la maturità – con corso di visual design. Predilige il ritratto in studio, sperimenta l’uso della luce artificiale, lavora in medio o grande formato. Contemporaneamente si accosta all’audiovisivo, scoprendo una passione per il formato super 8. Appena ventiseienne inizia la carriera da insegnante, prima per una scuola di cinema promossa dalla Mediateca delle Marche, poi come docente di fotografia dell’Accademia Poliarte, dove resta fino al 2017. Nel 2000 si trasferisce a Berlino; qui entra in contatto del mondo artistico e realizza il suo primo cortometraggio che presenterà, nel 2007, al Festival Miden, in Grecia. Tornato in Italia nel 2004, lavora come fotografo commerciale pur continuando l’attività artistica e di ricerca. L’esperienza maturata gli permette di pubblicare, nel 2016 per Hoepli Editore, il Trattato fondamentale di fotografia, un manuale accolto con entusiasmo dal pubblico e adottato da diverse scuole di fotografica. L’anno successivo inizia la realizzazione di un documentario biografico prodotto da LaDoc Film di Napoli e centrato sulla figura del musicista FM Einheit. Nello stesso periodo diventa coordinatore dei corsi video del Marche Music College di Senigallia. Il suo lavoro di ricerca è presentato alla IX Edizione di Fotografia – Festival internazionale di Roma (2010) ed in diverse città italiane ed europee attraverso esposizioni personali e collettive. Di lui hanno scritto: G. Bonomi, C. Canali, K. Hausel, G. Perretta, G. R. Manzoni, M. R. Montagnani, e G. Tinti.
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