In collaborazione, redatto e pubblicato da Immagine Persistente
Quando nasce il ritratto psicologico? Beh la domanda non trova una risposta precisa. Di certo gli antichi preferivano tracciare un carattere più ideale e simbolico che non somigliante

Il Ritratto di Giulio II, dipinto da Raffaello nel 1511 a confronto di quello di Papa Eugenio III (1080-1153), mostra come l’attenzione verso lo studio psicologico di questo genere sia cambiati dal Rinascimento in poi.
Quando nasce il ritratto psicologico? Beh la domanda non trova una risposta precisa. Di certo gli antichi preferivano tracciare un carattere più ideale e simbolico che non somigliante.
Purtroppo di queste opere non resta spesso che il mito se non qualche copia successiva, sicché per farsi un’idea di come fosse pensato il ritratto bisogna indagare la letteratura.
Di Gilgamesh, ad esempio, si dice che è di forza perfetta, impressionante, ma poi la descrizione si ferma lì; anche Omero, vissuto oltre mille anni dopo l’epopea sumera, non pone troppa attenzione sull’aspetto fisico, e al massimo accenna solo a qualche carattere distintivo.
Nell’antico Egitto l’arte era tutta, per così dire, paradigmatica ed ogni particolare doveva rispettare un preciso canone che poco aveva a che fare con l’idea di somiglianza.
Se si toglie l’arte italica, nella parentesi etrusca e poi romana, neppure durante l’epoca bizantina e nel successivo Medioevo le cose erano poi tanto diverse: a contare era sempre il valore ideale. Per arrivare ad un giro di boa bisogna attendere il Rinascimento, tuttavia più che in Italia, il ritratto fiorisce nei paesi della Riforma dove, venuta a cessare l’arte sacra, gli artisti volgono lo sguardo verso il nuovo potere emergente: la borghesia.
Lentamente questo genere si sposta così verso la raffigurazione del volto prima, e dei caratteri psicologici poi.
La grande rivoluzione di questo genere avviene però inevitabilmente con la nascita della fotografia anche se all’inizio non segna una rottura con il passato, da cui eredita i tratti tipici della pittura: i fondali, per esempio, sono grandi tele dipinte e le pose stesse ricalcano i canoni estetici prima ancora che quelli psicologici.
Tra i primi ad andare in controtendenza sono Nadar e Carjat; entrambi approdati alla fotografia dopo aver lavorato per un certo periodo come caricaturisti.
Per queste ragioni, questi maestri possono essere considerati, a ben vedere, i padri del ritratto moderno.
Per primi difatti iniziano a concentrarsi sugli aspetti più introspettivi del soggetto; abbandonando ogni altra forma di orpello gettano le basi di quello che sarà il ritratto nel Novecento.
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Sergio Marcelli
Sergio Marcelli nasce ad Ancona nel 1971. Amante delle arti visive, si avvicina alla fotografia sin da bambino per approfondirla – dopo la maturità – con corso di visual design. Predilige il ritratto in studio, sperimenta l’uso della luce artificiale, lavora in medio o grande formato. Contemporaneamente si accosta all’audiovisivo, scoprendo una passione per il formato super 8. Appena ventiseienne inizia la carriera da insegnante, prima per una scuola di cinema promossa dalla Mediateca delle Marche, poi come docente di fotografia dell’Accademia Poliarte, dove resta fino al 2017. Nel 2000 si trasferisce a Berlino; qui entra in contatto del mondo artistico e realizza il suo primo cortometraggio che presenterà, nel 2007, al Festival Miden, in Grecia. Tornato in Italia nel 2004, lavora come fotografo commerciale pur continuando l’attività artistica e di ricerca. L’esperienza maturata gli permette di pubblicare, nel 2016 per Hoepli Editore, il Trattato fondamentale di fotografia, un manuale accolto con entusiasmo dal pubblico e adottato da diverse scuole di fotografica. L’anno successivo inizia la realizzazione di un documentario biografico prodotto da LaDoc Film di Napoli e centrato sulla figura del musicista FM Einheit. Nello stesso periodo diventa coordinatore dei corsi video del Marche Music College di Senigallia. Il suo lavoro di ricerca è presentato alla IX Edizione di Fotografia – Festival internazionale di Roma (2010) ed in diverse città italiane ed europee attraverso esposizioni personali e collettive. Di lui hanno scritto: G. Bonomi, C. Canali, K. Hausel, G. Perretta, G. R. Manzoni, M. R. Montagnani, e G. Tinti.
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