Ieri. Anche l’altro ieri.

Devo, per forza, iniziare dal giurassico… me ne perdonerete, spero.
Era una Voigtlander Vito II a soffietto.

Ho detto tutto, anche perchè non aveva altro.

Avevo iniziato così e non dico quanti anni fa.
Messa a fuoco manuale, “da qui a li quanto ci sarà? Diciamo 20 mt.” e si regolava sull’obbiettivo la distanza di messa a fuoco, ma non essendo un laser pensavo, se chiudo un po di più il diaframma ho maggior profondità di campo e magari la foto viene a fuoco.
Ma allora devo abbassare di conseguenza la velocita di scatto, considerando che sto usando un 100 ASA devo scattare a non piu di 1/30 sec.
Tutto questo senza esposimetro.

Quando acquistai, usando la stessa macchina, un Gossen Lunasix, che misurava la luce riflessa e ti dava l’accoppiata tempo/diaframma in base alla sensibilità della pellicola che avevi impostato su una rudimentale ghiera metallica, mi sembrò fantascienza. L’oggetto di cui sopra era una sorta di scatola che conteneva una cella al silicio, questa leggeva la luce riflessa dalla scena, nessuna media ponderale, spot o bilanciata al centro.

Leggeva tutta la luce!

Si impostava la sensibilità della pellicola e lui forniva tutte le accoppiate tempo/diaframma possibili, a te la scelta di quella più idonea per la foto che stavi scattando.

Ancora oggi molti fotografi di studio utilizzano il “fratello” più evoluto, questo però misura la luce incidente, perfetto per, accostato al soggetto, leggere la vera luce prodotta da lampade da studio, illuminatori o altro.

Le foto sovra o sottoesposte erano un decimo rispetto a prima. Ma la messa a fuoco era ancora a livello preistorico.

Avevo 14 anni e non vi dico quante foto nere o bianche!
Senza dimenticare che tutto ciò era perfetto per scattare al Partenone, immobile da secoli!

Con il passare del tempo la sensibilità si affina, si migliora ogni cosa, si fa tesoro delle decine di rullini buttati al vento e fortunatamente la tecnologia avanza.

Zenit E

Ottica intercambiabile a vite, niente esposimetro, ma la messa a fuoco era finalmente nel mirino, essendo una delle prime (economiche) SLR.

Gia pronunciando quella sigla mi sembrava di aver raggiunto Marte.
Vedevo nel mirino ciò che realmente scattavo, Leica aveva già da qualche tempo inventato il telemetro, ma vedere la propria foto attraverso l’obbiettivo era tutt’altra cosa, anche perchè , cambiando ottica continuavi a vedere ciò che stavi riprendendo, mentre con il telemetro per certi obbiettivi, eri costretto a montare sulla slitta flash un mirino ad hoc per l’ottica che avevi messo.

Zenit propose poi una reflex con esposimetro incorporato, ma ancora con lettura esterna.

La procedura di settaggio della macchina a livello esposimetrico era identica a quella che si faceva precedentemente con l’esposimetro esterno, la sola differenza era che avevi un pezzo in meno da portarti in giro.

Quando poi, finalmente arrivò la prima reflex TTL da Marte si passò direttamente ad un’altra galassia.
In questo caso, finalmente, la cella esposi metrica era inserita nel percorso stesso che la luce faceva all’interno della macchina, chi scelse di metterla sullo specchio, chi nel pentaprisma, chi ai lati dell’oculare di visione, chi dietro lo specchio stesso (realizzandolo semiriflettente), chi a lato dello specchio (inventando una specie di lente deviatrice).

Il risultato era concettualmente lo stesso: leggere la luce che effettivamente sarebbe andata a finire sulla pellicola, con l’ovvio vantaggio che , al cambio di ottica per esempio dal 50mm. al 135 mm, l’esposimetro leggeva la luce che sarebbe andata a imprimere lo strato sensibile e non TUTTA la luce esistente!!!

I passi successivi furono Minolta SRT 101 e a seguire SRT 303 (lascio ai lettori il piacere di cercarle su Google.

Macchine meccaniche SRL TTL decisamente piu’ evolute, ottiche finalmente con attacco a baionetta e non a vite (come le citate Zenit e come le prime serie di Asahi Pentax), oggetti davvero robusti, totamente in metallo, otturatori a tendina in stoffa, mirini luminosi, ed un sistema esposimetrico molto ben fatto.

A seguire Minolta presentò la XE 1 la reflex con esposizione a priorita di diaframmi, mentre altri costruttori predilessero la priorita’ di tempi, eh si… non si poteva averle entrambe sulla stessa macchina, diventava una scelta in funzione del tipo di foto che volevi scattare.

Facendo prevalentemente paesaggi, soggetti, natura, macro.

Decisi di propendere per il controllo della profondita di campo per poter “giocare” con lo sfocato.

Ovvio che chi amava fotografia sportiva optava per macchine a priorita di tempi, dove, impostato il tempo di posa, con pellicole sufficientemente sensibili, la macchina regolava in automatico il diaframma a prescindere dalla profondita di campo, ma evitando cosi il mosso e potendo congelare oggetti in rapido movimento.

Le macchine a priorità sono state un deciso passo avanti nelle velocizzazione delle operazioni di scatto, riferendosi alla priorita di diaframmi, il fotografo ruotando la ghiera del diaframma posta sul barilotto dell’obbiettivo sceglieva l’apertura che riteneva più consona alla scena e la macchina in automatismo regolava di conseguenza il tempo di scatto.

Al contrario per la priorita di tempi.
Cio’ che restava davvero complicato, materialmente parlando , con fotografia sportiva, era il riuscire a fare in modo che la mano sinistra fosse cosi’ sensibile e veloce nel ruotare ghiera di messa a fuoco, ghiera del diaframma e se era montato escursione dello zoom, magari con un soggetto in movimento tipo auto da corsa .

Ma la messa a fuoco… era ancora manuale.

Visivamente correggibile grazie a schermi di messa a fuoco, talvolta intercambiabili, dove ai microprismi spesso veniva inserita una lente di Fresnel che, dividendo il centro dell’immagine permetteva una piu accurata messa a fuoco.

Si puo’ notare: vetro smerigliato, corona di microprismi, lente di Fresnel centrale.

Dopo la serie SRT ed XE venne presentata da Minolta la serie professionale XM…

Acquistai una XM usata , bellissima , grande , robusta , ben bilanciata , addirittura con pentaprisma intercambiabile , schermi intercambiabili , ed un parco ottiche a disposizione da far spavento , per quell ‘ epoca.

Dopo il periodo Minolta arrivo’ il periodo Olympus.

Nacque la OM 1; OM 2; OM 3; OM 4; OM 10; OM 20; OM 30.

(non vi sembra assomigli molto alla OM-D EM-1)

Piccole, leggere, maneggevoli, robustissime e per la prima volta, con la OM 2 Spot Program, una prima proposta di automatismo evoluto.

Il sistema era pubblicizzato da Oliviero Toscani, mito dell’epoca, e tutti i possessori di Olympus si sentivano tali e quali a lui!!!

Ecco uno stralcio dell’allora poster del sistema.

Quanto sopra, ed è solo l’inizio, per trasmettere a chi di analogico non conosce nulla o poco, di quanto la correlazione tra pellicola, ottica, messa a fuoco, diaframma e tempo, porti anche solo variando una di queste ad ottenere immagini della stessa scena, completamente diverse, in funzione di ciò che si vuol far percepire.

Ecco, ciò che è mio intento e piacere con questa rubrica è di portare colui che, tecnologicamente avanzato, è in possesso di 24 MB di risoluzione, 51 punti di messa a fuoco, sistema esposimetrico Matrix 3D, messa a fuoco ultrasonica, video in 1080p, raffica a 8 ft/sec e… chi piu ne ha più ne metta, possa entrare nella mente della macchina per sfruttare al meglio la propria mente.

Ogni macchina digitale permette tutto ciò, basta non usare quell‘amatissimo quadratino verde sulla ghiera delle impostazioni.

Nelle prossime puntate di questa mia carrellata di emozioni, partendo dalla citata serie Olympus OM, vi portero’ alle prime reflex autofocus ed a come si è arrivati al digitale.

Cercheremo insieme di capire le ottiche, le loro prerogative in funzione della lunghezza focale, parlemo di pellicole (che erano il sensore di ieri per capire il sensore di oggi), esamineremo insieme ciò che ogni macchina fotografica nasconde per scoprire come e perchè avviene la magia della fotografia.

Un saluto a tutti e alla prossima.

Franco Mercanti.

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4 Comments

  1. Davide Tambuchi Reply

    Quando da ragazzo ebbi l’occasione di acquistare una bella Z4 me ne innamorai subito. Guardando nel mirino ho esclamato: “E’ come una LeiCA!!!!”. Nello stesso tempo avevo acquistato una compattina, con pochi essenziali comandi, pensando: “questa me la porto con me in bici”. Era una “LC-A”, che all’inizio mi deluse per le distorsioni ai bordi, ma che molti anni dopo apprezzai per la vignettatura tipica. La uso ancora, specie in spazi aperti come al mare (dove non distorco le linee degli edifici). Una volta durante un tour cicloturistico mi si erano allentate tutte le viti, che ho dovuto fissare con dello smalto per le unghie. Invece il mirino della Zenit E, che riproduce una immagine leggermente a barilotto sui bordi mi ha subito fatto rammentare l’immagine distorta nel monitor dell’aeroporto del cortometraggio Toby Damnit del grande Federico Fellini. La Zenit E è stata per me la “nave scuola” della fotografia con le reflex; potevo studiare la composizione e la profondità di campo meglio che con altre macchine (avevo preso una Nikon F301 che non mi aveva mai soddisfatto, non mi costringeva a pensare e non mi piaceva il mirino; dopo poche settimane l’ho restituita al suo precedente proprietario). Ma la mia cara Z4 (che ora giace in una vetrinetta) l’ho usata intensivamente sino al 2009, sino a “stracciarne le tendine” – poi l’ho subito rimpiazzata con una F2 (Fed 2 – che ha sulla parte superiore una incisione in lingua ucraina fatta dal precedente proprietario nel 1960 come dedica a sua moglie) e con un paio di Z4 e Z4K. Recentemente si sono aggiunte due piccole Z1, una Z5 ed una Z6, tutte revisionate per durare ancora anni ed anni. Quando ho un mano una Zorki la “sento” al 100% come la mia macchina a telemetro preferita, per abitudine ai suoi comandi.

  2. Davide Tambuchi Reply

    Dimenticavo: un consiglio: togliete dalle vostre amate russe e dai loro obiettivi il grasso da carri armati e fatele lubrificare da un riparatore professionista. Le differenze nella morbidezza dei comandi di avanzamento pellicola e di messa a fuoco saranno notevoli!

  3. Franco Mercanti Post author Reply

    È un piacere incontrarla
    Predico sempre che una vetusta…. Antiquata…. Manualissima macchina analogica debba essere l inizio per ciascuno voglia conoscere veramente i fondamentali della fotografia.
    Cordiali saluti

  4. Andrea Apra` Reply

    Nel testo si confonde il telemetro di Dodin detto anche “a immagine spezzata” con la lente di Fresnel, quest’ultima è un’altra cosa. Il telemetro di Dodin consente la facile messa a fuoco tramite lo spezzamento di oggetti lineari presenti nel campo di ripresa, la lente di Fresnel ha invece lo scopo di distribuire la luminosità sull’intero campo visivo (in particolare ai margini) ed è costituita da una serie di anelli concentrici (detti anelli di Fresnel) che non sono altro che il frazionamento successivo di una grande lente sferica. La lente di Fresnel è praticamente sempre presente nei comuni schermi di messa fuoco, mentre i dispositivi di messa a fuoco come i microprismi od il telemetro di Dodin possono essere o non essere presenti, in base al tipo di schermo.

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