© Roberto Besana
Nell’ Apocalisse – erroneamente attribuita a Giovanni, o da lui scritta dopo avere assunto un potente allucinogeno, la sola, fra circa un centinaio, che è stata ritenuta degna di fare parte delle Sacre Scritture – l’autore ce l’ha su con i cani, con le donne, con gli avvelenatori, gli impudichi, gli omicidi, gli idolatri, i mentitori, e di sicuro ce l’avrebbe avuta su, se fossero già esistiti, anche con i fotografi, dei fastidiosi, secondo lui, fabbricanti di peccaminose icone, capaci solo, con il loro diabolico apparecchio, di prelevare immagini dalla realtà, delle inutili copie visive, totalmente incapaci di vedere “oltre” l’apparenza delle cose, quanto, e soprattutto, di sapere visualizzare il futuro: vale a dire il compito di ogni apocalisse.
Fra i principali soggetti indesiderati, che “Giovanni” avrebbe voluto cacciare fuori dalla città, c’erano, dal momento che li nomina per primi, i cani, gli animali che Ando Gilardi, il mio amico fotografo e iconologo, ha probabilmente amato più dei suoi simili: e chi ha davvero conosciuto questo incredibile amico dell’uomo non farà certo fatica a comprenderne le ragioni.
Sarà allora forse meno difficile accettare che il fotografo e il cane abbiano, a mio avviso, qualcosa in comune: con diversi, ma entrambi potentissimi, “miracolosi” strumenti, uno semiartificiale e l’altro naturale, non possono infatti fare a meno di andare in giro a prendere odori della realtà. Non è un passatempo quello del vero fotografo, qualcosa che si fa per ingannare la noia: è, come per il cane, un’esigenza vitale, il bisogno di quotidianamente verificare la natura delle cose, la necessità di confermare che la realtà visibile, come quella invisibile ma conoscibile dal cane con il naso, è iconicamente prelevabile e conservabile grazie a un potente prolungamento della vista e della memoria.
Apocalisse significa “rivelazione” di avvenimenti che accadranno, avvenimenti che, a causa dell’Apocalisse attribuita a Giovanni, sono comunemente avvertiti come catastrofici. La bella, curiosa, immagine di Roberto Besana, che mostra un cartello con la scritta “Uscita” davanti a un panorama di campi e alberi – un’immagine che, probabilmente, come tante di quelle da lui presentate su questa pubblicazione, è stata prelevata durante una passeggiata insieme a Chicca, la sua cagnolina che l’accompagna felice in cerca di odori – ci suggerisce che esiste la possibilità di uscire dalla strada sbagliata che abbiamo da troppi anni imboccato: il pianeta che ci ospita non è, come ci fanno credere vecchie anacronistiche religioni, un’inesauribile risorsa a nostra disposizione per un esponenziale inquinante sviluppo economico. Per “uscire” da questo “apocalittico” modello di sviluppo è necessario, come ha scritto Roberto Besana accompagnando questa sua immagine, avere a cuore la «salvaguardia dell’ambiente», «la rimodulazione del desiderio di consumare», e «“prendersi cura” dell’esistente».
Nello Rossi
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