Un Provino, tante storie. Renè Burri e Che Guevara

Icona, cosa vuol dire icona? Dipende, è difficile dare di questo termine una interpretazione univoca. Per un informatico l’icona è un disegnino che rappresenta un’applicazione, una cartella o un file. Per un credente è immagine sacra, specialmente dell’arte bizantina, dipinta su una tavola di legno o più raramente su vetro e caratterizzata dall’ampio uso di vernice dorata.

Per un fotografo è uno scatto entrato nella storia, che ha segnato un’epoca ed è diventato un vero e proprio simbolo di un periodo storico, di un modo di credere, vedere, pensare. Certo dipende dalla nostra memoria storica , è un valore tanto personale e soggettivo quanto universale, appartenente alla memoria collettiva.

 

 

Andando alla ricerca dello scatto più iconico della storia mi sono imbattuto in una classifica interessante.

In vetta alla classifica c’è la foto dei Beatles che attraversano Abbey Road, scattata l’8 agosto del 1969 da Iain Macmillan

Il celebre scatto fu causa di deliri infiniti dei complottisti dell’epoca… P-I-D? (Paul Is Dead ? ndr)

Nulla da stupirsi se oggi come oggi ci sono molti terrapiattisti.

Sicuramente cercando nel web troverete altre classifiche del genere. Forse fa intimamente parte dell’essere umano lo stilare classifiche. Chi è il batterista più famoso della storia? Ecc. ecc.

Scendendo la classifica delle foto più iconiche all’ottavo posto si trova “ritratto del Che”. Lo scatto fu realizzato dal fotografo cubano Alberto Díaz Gutiérrez, meglio noto come Alberto Korda.

 

 

Ritrae Ernesto “Che” Guevara nel 1960 mentre si trovava a L’Havana. Divenne un’icona anche grazie all’elaborazione grafica che fece dello scatto Jim Fitzpatrick

Tale elaborazione, ripresa da Andy Warhol divenne addirittura pop art.

 

Andy Warhol. Che

 

Esiste un’altra icona fotografica del Che, realizzata da René Burri.

Ne ho un poco parlato nell’articolo della settimana scorsa.

 

© Renè Burri. Ernesto “Che” Guevara / Magnum Photos, Inc.

 

Un aneddoto.

Alberto Korda inviò una lettera a Burri, nella busta c’era la foto del Che, che aveva realizzato, con un breve scritto “Che’s most famous photo that had ever been made”

Burri gli rispose inviandogli una stampa della sua fotografia e scrivendo: “Dear Alberto, it is a great honor to receive that photograph you made of Che, but now I send you the best photo of Che Guevara that has ever been made.”

Quanti aneddoti, quante leggende nascono introno alle icone fotografiche!

Burri si meravigliò di trovare la sua foto del Che riprodotta su T-shirt e poster.

In those days neither photo exhibitions nor photography awards existed. All we had were the magazines that printed our pictures.” Pensava Burri, ed è interessante il confronto con l’attuale diffusione della fotografia. Tuttavia Burri parzialmente si sbagliava. Penso sia nella natura delle icone nella nostra era il propagandare una fede e diventare di conseguenza un prodotto commerciale, che già ai tempi di Burri poteva essere diffuso in millanta modi diversi.

 

© Renè Burri. Ernesto “Che” Guevara / Magnum Photos, Inc.

 

“Dopo la morte, il Che divenne un eroe mondiale dell’anti-establishmentarismo, l’immagine fu stata rubata migliaia e migliaia di volte per essere riprodotta su poster, bandiere, magliette, così come orologi, tazze da caffè e posacenere.

Il marchio “Che” divenne così diffuso che nemmeno l’agenzia fotografica Magnum riuscì ad impedire che le foto venissero revocate. Questo nonostante Magnum – di cui Burri è membro a pieno titolo dal 1959 – sia stata espressamente costituita per prevenire tali accadimenti”

 

Ernesto “Che” Guevara / Magnum Photos, Inc.

 

Alla fin fine una icona o la si accetta per com’è, senza farsi troppe domande, credendo per fede, oppure suscita la nostra curiosità, il desiderio di sapere com’è nata.

Io sono curioso.

Parto dal provino dal quale fu scelto quel ritratto del Che, per venire pubblicato.

Anzi dai provini, perché ne esistono di quella sessione di riprese, almeno ufficialmente due.

Uno, apparentemente realizzato da Burri in persona, è di per sé un’opera d’arte pop.

 

 

Allo shop della Magnum lo vendono a 310€ e mi meraviglio.

È un multiplo dell’originale? Che senso ha?

Vabbè comunque anche l’altro forse più noto provino degli scatti realizzati in quell’occasione viene venduto dalla Magum, sempre a 310€.

Ben incorniciato dietro al tavolo da pranzo di un fotografo fa sempre la sua porca figura.

 

 

In era analogica i provini fotografici venivano realizzati “a contatto”.

Si disponevano i negativi in ordine su un foglio di carta fotografica ( argentica si dice oggi, a quei tempi ogni carta fotografica era argentica), sovrapponendo un cristallo pesante in modo da spianare bene i negativi, poi illuminando in camera oscura il “sandwich” sotto la luce dell’ingranditore, infine sviluppando il foglio di carta fotografica. Esistono ancora provinatori appositi.

 

 

Attualmente, in digitale, i provini si fanno con uno scanner piano, eventualmente con Photoshop, non è esattamente la stessa cosa.

Esaminando il provino si evince immediatamente che la pellicola usata è la Tri-x Kodak, scelta abitualmente dai reporter per la sensibilità di 400 Asa, alta a quei tempi, e per latitudine di posa e qualità generali ottime.

 

 

La numerazione del rullino in alto termina con gli scatti 35-37, sotto 29-34, quindi a seguire 23-28, 17- 23, 11-16, 5-10, infine 2-4. evidentemente Burri era prudente, faceva qualche scatto iniziale col tappo copri-obiettivo. Faceva bene perché mi sembra di vedere nel fotogramma 2 e 4 una leggera infiltrazione di luce. Gli scatti sono tagliati come da tradizione, a gruppi di sei, con l’avvertenza di lasciare lo spezzone degli scatti in testa e in coda di una lunghezza necessaria per maneggiarli facilmente nel porta negativi dell’ingranditore, cosa che sarebbe scomoda con uno spezzone di pellicola corto che comprendesse alla fine solo il negativo n. 37.

Provo ad analizzare le inquadrature. Gli scatti 2-3 sono stati realizzati in verticale, pulsante di scatto in alto. Gli anglofoni chiamano Portrait (ritratto) gli scatti in verticale, Landscape ( paesaggio) quelli in orizzontale. Burri continua a scattare, alternando scatti in portrait a scatti in landscape.

I fotogrammi 17 e 18 sono interessanti. Burri ha scattato in portrait… ma pulsante di scatto in basso. Sono gli unici due scatti realizzati realizzati tenendo la fotocamera in questa posizione. Con quale fotocamera, quali obiettivi sono state realizzati gli scatti?

Trovo scritto: “Burri wanted to make sure that he didn’t miss a shot. He went on the assignment with three cameras”

Scattò con tre fotocamere, per essere sicuro di non perdere uno scatto? Quali?

Eccole qui, non svenite, potete osservarle nei minimi particolari, vi sem breà di percepirne l’odore!

M2 black paint no. 1130045 in original condition with rare black paint 8-element Wetzlar Summicron 2/35 mm lens no. 2099898, M3 chrome no. 984743 with Summicron 2/50 mm lens no. 1708377.

René Burri used these cameras for over 30 years, taking many of his iconic photographs with them. This M3 he also used for shooting Che Guevara”.

Dunque una Leica M2 con il 2/35mm e una M3 con il 50mm.

Di una terza fotocamera non ho trovato traccia.

 

© Renè Burri. Ernesto “Che” Guevara / Magnum Photos, Inc.

 

Dalle inquadrature mi sembra evidente che tutti gli scatti di questo provino siano stati realizzati con la M3 e il Summicron 50mm.

Torno ad esaminare i singoli scatti, è evidente che Burri mentre scattava si muoveva nell’ambiente, il ministero dell’Industria all’Avana. Come troviamo descritto, c’erano delle tapparelle che sarebbe stato meglio aprire per fare entrare più luce, ma il Che si rifiutò di aprirle. Sempre dalle varie inquadrature è evidente che Che Guevara non fissò mai negli occhi Burri, il che come tra poco avrete modo di leggere, era anche normale. Ma quando mai un intervistato si mette a guardare il fotografo se chi lo intervista è una bella giornalista? Sempre osservando il provino si nota che quelle tapparelle erano uno sfondo distraente ed invasivo. Nel fotogramma 25 sembra addirittura che lo spigolo di una tapparella parasole stia per sfiorare la testa del Che!

Altri scatti hanno come sfondo una porta, il soggetto ripreso staglia poco. Non v’è dubbio che l’unico scatto “pulito” sia quello del fotogramma 23, in seguito diventato l’icona che tutti conosciamo. Non penso sia stata una scelta difficile. Anche altri primi piani simili a questo scatto hanno lo sfondo “pulito” ma sono meno “impressivi” come espressione. Parlare del rapporto fotografo/soggetto ripreso, o dell’inconsapevole o volontario porsi di un soggetto per offrirsi all’obiettivo facendo emergere i tratti caratteriali che desidera emergano, mi sembra fuorviante in questa sede, o argomento da strizzacervelli. Dunque passo al “come “avvenne l’incontro.

Ho trovato a proposito un articolo in italiano, in Svizzera:

Parole testuali di René Burri: «All’inizio del 1963 ricevetti l’incarico di recarmi a Cuba. La stella del giornalismo Laura Bergquist aveva il compito di scrivere una storia su Che Guevara e sulla «nuova» Cuba dopo la rivoluzione del 1958. Soprattutto anche grazie al mio passaporto «neutrale» svizzero, mi venne offerto di occuparmi delle immagini.

Quando arrivammo nell’ufficio del Che (al Ministero dell’Industria, Havana, Cuba. 1963), le persiane erano abbassate. Chiesi di alzarle un po’ per avere più luce, ma egli rifiutò bruscamente. Fu così che fotografai per più di tre ore senza flash. La bellissima Bergquist e il Che si lanciarono in un’intensa discussione in cui si alternavano a vicenda alla perfezione. Il Che camminava avanti e indietro, proprio come una tigre in gabbia. Ciò mi diede la possibilità di muovermi attorno ai due senza farmi notare. Ebbi un’occasione unica per fotografare il Che in tutte le situazioni immaginabili e da tutte le angolazioni: mentre rideva, si adirava e gesticolava; davanti e dietro.

La foto che divenne così celebre in seguito non destò il nostro interesse inizialmente. In occasione della sua prima pubblicazione (Look, 9 aprile 1963, non sono riuscito a trovare copia originale della pubblicazione ), venne addirittura tagliata in modo pesante.»

 

 

Più o meno è quanto si legge in inglese nel sito della Magnum:

“Sono arrivato con la giornalista statunitense Laura Berquist della rivista Look. Il Che l’aveva invitata quando si erano incontrati alla fine del 1962 a New York. Nel 1966, alcuni amici mi chiesero: ‘René, possiamo fare un poster?’ E realizzarono un enorme poster incorniciato esattamente come la fotografia del Che. E da quel momento in poi, tutto ebbe inizio. La gente voleva avere la foto.

Il vero boom è stato a Parigi, nel maggio del 1968, quando la foto è apparsa sulle bandiere. Più tardi, quando sono tornato all’Avana, ho visto la mia foto sulle magliette del Ministero dell’Informazione e ne ho persino comprate alcune per i miei figli. Ho detto al venditore: “Quella foto è mia!” E ho comprato le mie magliette. Mi pento di non aver rivisto il Che. Per me ciò che conta davvero è preservare la sua immagine di visionario, di uomo disposto ad arrivare fino in fondo. Credo che la lotta continui”.

C’è anche un bel video, se siete interessati a farvi raccontare da Burri in persona questo ed altri suoi celebri scatti.

Però, però… Ho trovato qualche altro particolare interessante.

I used up eight rolls of film. He didn’t look at me once, he was so engaged with trying to convince Laura with maps and graphs.”

Eh sì, pare abbia scattato 8 rullini…

Ma gli altri scatti, gli altri provini, dove sono? Sempre su sito della Magnum si trovano altri scatti.

Sono più contestualizzati, realizzati sicuramente con la M2 e il 35mm, si vede l’ambiente e si vede il Che che accende una sigaretta alla sua intervistatrice, Laura Berquist. Sono scatti importanti, interessantissimi anche per sapere qualcosa di quella ambiente, uno studio al ministero dell’industria arredato con interessanti lampade dal design tipicamente di quel periodo.

 

© Renè Burri. Ernesto “Che” Guevara / Magnum Photos, Inc.

 

Non esiste alcun provino di questi scatti? Cercando cercando uno ne ho trovato uno realizzato, con la M2, come possiamo osservare la pellicola utilizzata per questi scatti è la Kodak Supersensativa Pancromatic, 200 Asa.

 

1950 Kodak SUPER XX Panchromatic 35mm Black White

 

Esamino la numerazione dei fotogrammi. 4A, 5A, 6A, 7A, 10A, 39A.

Evidentemente è un provino dal quale sono stati eliminati vari fotogrammi.

 

 

Può essere che esista un provino più completo di quel rullino, non l’ho trovato.

Ho trovato altre foto singole di quella sessione di scatti, che a loro volta non sono incluse nel provino di cui sopra.

 

© Renè Burri. Ernesto “Che” Guevara / Magnum Photos, Inc.

 

Tutto ciò mi porta a pensare… perché di 8 rullini si trova documentazione sul libro dei provini edito dalla Magnum solo del provino dal quale è stata scelto quel famoso ritratto diventato una icona della fotografia?

Sono io che non sono stato capace di trovare i provini degli altri rullini? Ci fu una qualche censura? Era meglio non si vedessero troppo gli scatti che includevano l’ambiente? I rullini furono visionati dal Che o da chi per lui? Fu deciso che dovesse essere diffusa una immagine che esaltasse in qualche modo uno dei possibili aspetti della personalità del Che? Probabilmente sto cadendo nella dietrologia. Sono i piccoli grandi segreti sepolti tra le pagine della Storia della

Fotografia. Serve a qualcosa cercare di svelare tali segreti (sempre se sono effettivamente segreti) oppure è meglio accontentarci di quella iconica foto?

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

 

 

© Renè Burri. Ernesto “Che” Guevara / Magnum Photos, Inc.

 

 

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