Mi capita spesso di osservare progetti fotografici con l’occhio un poco annoiato. Viaggi in Paesi lontani dove il progresso non è arrivato. Eh un poco ne ho fatti anche io di quei viaggi anni or sono. Mi ricordo di uno nel deserto sahariano, donne vestite in abiti di colori sgargianti, prodotti con i tessuti sintetici tipici delle fabbriche dei nostri paesi. Per terra in un mercatino ho visto una miriade di saponette Palmolive, verdoline sotto il sole. Insomma a prima vista uno pensa ecco, finalmente ho trovato il “buon selvaggio”, poi si accorge che il buon selvaggio si veste e si lava con gli scarti della nostra società.
Il mito del “buon selvaggio” è duro a morire, è basato sulla convinzione che l’uomo in origine fosse un “animale” buono e pacifico e che solo successivamente, corrotto dalla società e dal progresso, sia diventato malvagio.
Non di rado questi progetti fotografici sono rapide visite per calarsi in un mondo che ci è vicino e lontano allo stesso tempo, quello delle tradizioni popolari, della sagre e manifestazioni religiose come la processione della “Desolata” di Canosa di Puglia o la “Festa dei Serpari” di Cocullo.
Trovo anche questi progetti fotografici assai prossimi alla ricerca del buon selvaggio. Per carità spesso sono bellissime foto ma mi sanno di già visto troppe volte.
Ho visto anche l’assurdo eh, non mi faccio mancare niente! Ricordo una serie di foto scattate in una qualche città italiana in occasione della festa di Holi, una sorta di carnevale indiano.
Una atmosfera simpaticamente coinvolgente e vestiti coloratissimi…almeno nella descrizione del fotografo, perché gli scatti erano stati realizzati tutti in quel B&W contrastato tipico della fotografia di street. Perché se un fotografo ha nel sangue l’esprimersi in B&W farà sempre e solo foto a due colori. Un bianco, un nero.
Girovagando nello spesso poco variegato mondo della fotografia attuale non cerco il nuovo talento da promuovere, da innalzare affinché prenda parte al banchetto dei fotografi Maestri della fotografia. Cerco piuttosto un approccio fresco e un poco diverso che possa essere di spunto o di riflessione ad altri fotografi.
Si parla spesso di come affrontare un progetto fotografico, di come farlo evolvere nello scorrere dei click, sino a diventare un opera compiuta, da esposizione. Il problema è trovare un tema, lo spunto di partenza magari lo abbiamo a due passi ma non sappiamo vederlo. Forse basta passeggiare, magari anche senza fotocamera al collo e guardarci intorno, essere recettivi , poi elaborare mentalmente quello che abbiamo incontrato sui nostri passi ed ecco, finalmente quel tema improvvisamente ed inaspettatamente lo abbiamo trovato. Se non avevamo la fotocamera con noi possiamo tornare un’altra volta e finalmente fotografare.
Qualche giorno fa, quasi per caso sono capitato in un festival di musica Rap a Novafeltria. Non è che io sia uno fanatico di questo genere di musica, la ho ascoltata solo qualche volta di sfuggita, riprodotta in un qualche cd di mio figlio che ha gusti assai variegati. Spazia tra Califano, rock vintage assorbito dai mie vinili, Roberto Murolo, Miles Davis, Pino Daniele e “Samba de Verao” eseguita dal gruppo “Nossa alma canta” dell’amico Renato Greco, sino ad arrivare a Fabri Fibra ed molto oltre. Indubbiamente, mi piaccia o non piaccia un genere musicale, ascoltarlo dal vivo è per me sempre molto coinvolgente. Colpi di note secche ripetute incessantemente, bassi che fanno vibrare le budella nella pancia.
Oggi come oggi musica, videoclip, rumori, danza e altro convivono e si mescolano come in questo brano della Ludo, che per la realizzazione ha coinvolto mezza Novafeltria nel vicino teatro di Sant’Agata Feltria. Chiudi gli occhi, ascolti e non ti dice nulla, poi li riapri, ti fai prendere, ti piace.
Oppure “Allez, allez” di Antonio Toni, che essendo musicista ha realizzato una canzone più strutturata , piacevole anche al solo ascolto, che tuttavia nel videoclip realizzato con amici di Novafeltria acquista moltissimo. Non è che i giovani sia no lontani dal mondo della fotografia, lo usano a modo loro. Spesso fotografie fisse in un montaggio in rapida successione sono utilizzate in video pubblicitari.
Penso che se la fotografia spesso mi risulta noiosa è perché spesso è “ingessata”. Viene esposta assai staticamente in cornici tutte uguali come se fosse una moltiplicazione di quadri in esposizione, tutti della medesima dimensione, incorniciati, intervallati di qualche decina di centimetri, appesi al muro in una sequenza frutto di un abile editing. Tutto perfetto, anche troppo perfetto.
Penso sia necessario essere ricettivi, con gli occhi aperti, pronti a farci prendere da quello che abbiamo intorno, così inavvertitamente ci facciamo ispirare, troviamo il tema, cadiamo in un progetto a chilometro 0.
Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un progetto fotografico di Domenico Memoli. “Happy Hour”.
Ce lo descrive l’autore:
“Andando a bere qualche birra in serate calde al mare, ho notato come è cambiato il mondo della notte in spiaggia… Ora c’è Happy Hour nei “Bagni al mare di Marina di Ravenna” dove i ragazzi bevono e fumano di tutto facendo chiacchiere sopra una musica assordante… ho deciso di cogliere qualche particolare da sobrio.
Non voglio spacciarlo per un progetto perfetto, frutto di un fotografo destinato ad un sicuro successo. Devo essere un poco ripensato, diciamo così “asciugato”. Le foto in totale sono 27, troppe se venissero esposte a muro. Ne ho scelte 15, tuttavia forse anche una decina di foto sarebbero sufficienti a rendere bene l’idea. Provate a sceglierle voi… però tutto dipende da come verranno esposte, potrebbero anche venire proiettate tutte 27 da vari proiettori incrociati, oppure ancora si potrebbero trarre da una decina di file a massima risoluzione, moltissime altre inquadrature isolando particolari diversi. Il tutto accompagnato da musica boomboomboom a palla!
La “finalizzazione” di un progetto si apre a moltissime diverse soluzioni.
È necessario nel caso di una esposizione “normale” fare un editing oppure è sufficiente scegliere una foto di “apertura”?
È un esercizio assai utile scegliere tra le foto di un progetto di un altro fotografo quelle che secondo voi sono necessarie a renderlo un progetto completo, non ridondante. Nello scegliere potete essere asettici, neutrali. È importante imparare a essere neutrali, imparare a prendere le distanze da un progetto, è abbastanza facile farlo se non vi appartiene. È un esercizio che può insegnarvi ad essere neutrali e obiettivi nella scelta delle foto per un vostro progetto.
Osservando le foto di Happy Hour mi è venuto in mente “Il Lupo della Steppa”…
Harry Haller si concentra sempre più nel proprio lavoro fino a che non comincia un po’ alla volta a perdere la soddisfazione in esso. L’idea di felicità di Harry è definita e determinata da quei brevi momenti in cui “beatitudine, estasi ed esperienza d’esaltazione” vissuta attraverso la poesia e la musica si fondono. Harry Haller, è certamente l’isolamento ed il mancato riconoscimento in una società che sta cambiando rapidamente, che forse è già cambiata.
L’uomo, malgrado la vasta cultura e l’acutezza mentale, non riesce a trovare posto in un mondo governato da valori che non accetta (nazionalismo, pensiero borghese, corsa alle armi…), un mondo che ha relegato i suoi ideali (pace, amore per la musica classica, la filosofia…) in un angolo buio e privo di importanza; queste sono le caratteristiche che accomunano gli intellettuali che vivono in periodi di transizione, in cui i secoli, le ideologie, le società si sovrappongono e si accavallano: periodi di gran fermento culturale, ma anche di nostalgia e tristezza.”
“E così a tarda notte andai a finire in un sobborgo lontano che conoscevo poco, in una trattoria dalle cui finestre uscivano violente musiche da ballo. All’atto di entrare vidi una vecchia insegna sopra la porta: “All’Aquila nera”. C’era una festa da ballo, una gran folla di gente rumorosa e fumo e odor di vino e grida, nella sala in fondo si ballava e di là veniva quella musica impetuosa.”
Domenico Memoli è nato a Bitonto il 17/04/1958, vive attualmente a Ravenna. Ha scoperto la passione per la fotografia negli anni 80 con una Canon AE1 Program.
Ha fatto parte del Circolo Fotografico Ravennate, dove ha partecipato a vari corsi ed imparato la tecnica del B/ N in camera oscura.
In “Happy Hour” il suo occhio fotografico è attratto, senza alcun pregiudizio, senza preclusioni mentali, dalla vita, dalle interazioni e dalla gioia espressa dai giovani nel frangente del divertimento. Foto sporche, mosse, sfuocate, inquadrature colte al volo come viene viene, colori, emozioni, boomboomboom.
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