Sul finire degli anni ‘70 ero a Parigi, ospite di un amico che mi fece conoscere la musica di Alan Stivell, un cantautore e arpista francese di “celtic fusion”.
A lui si deve in gran parte la rinascita ed il rinnovamento della musica tradizionale bretone che, a partire dagli anni settanta, lo ha reso celebre nel mondo intero. Il suo nome è legato indissolubilmente all’arpa celtica, strumento del quale non solo è un virtuoso, ma che è letteralmente rinato con lui e con la sua famiglia.
Anni dopo ebbi modo di ascoltarlo dal vivo al Festival Inter-celtico di Lorient. In quell’occasione, dovendo scrivere un articolo sulla musica celtica, ebbi modo di conoscere i dirigenti di varie case discografiche bretoni.
In quegli anni stava crescendo in tutta Europa il fenomeno musicale del folk-revival. Tra i primi gruppi irlandesi, intorno al 1962, i Dubliners, molto ancorati alla tradizione. Successivamente divennero famosi i Fairport Convention e gli Steeleye Span, entrambi contaminarono quella musica tradizionalmente acustica con strumenti elettrici e con le sonorità del rock allora diffuso.
Il seme di tutto ciò era stato diffusamente piantato molti anni prima, in tutta Europa e anche in Italia, da Alan Lomax, grande ricercatore di blues.
Fra il 1953 e il 1954 Lomax collaborò con l’etnomusicologo reggino Diego Carpitella (a sua volta collega e collaboratore dell’antropologo Ernesto de Martino), conducendo una vasta opera di registrazioni sul campo in Italia. In Abruzzo Lomax ebbe modo di conoscere il menestrello Giuseppe “Giuseppillo” Gavita da Scanno
…Scanno, non è un caso. Molti fotografi, da Henry Cartier Bresson, a Giacomelli scesero a Scanno. Ferdinando Scianna ebbe a dire:
“Non sono mai stato a Scanno e non credo di volerci andare…
Troppi santi del mio Paradiso vi hanno fatto miracoli: Cartier-Bresson, Giacomelli, Berengo Gardin.
Meglio evitare le tentazioni, i confronti, le sconfitte”.
(Ferdinando Scianna, dalla prefazione al libro “Scanno” di Giovanni Bucci)
Ma poi, in una primavera nevosa del 1999 ha finito per andarci anche lui, sulle orme di Cartier-Bresson, lungo un itinerario che ormai può ben chiamarsi pellegrinaggio.
Questo per dire di come espressioni culturali e artistiche diverse come fotografia e musica siano intimamente congiunte. Però appunto intorno ai primi anni ‘70, come mi raccontarono i discografici bretoni, cresceva un acceso dibattito tra ricercatori di tradizioni popolari ed etno-musicologi puristi che propendevano per una musica tradizionale e popolare assolutamente incontaminata ed musicisti “evoluzionisti”, spesso giovani.
Sia nel caso di Alan Stivell per la musica bretone che per la musica irlandese, e anche per la musica popolare italiana, fortunatamente vinse la tendenza evoluzionista, in grado di crescere contaminandosi con altra musica, anche elettronica, di derivazione rock e quant’altro. Non fosse stato così ogni musica ma anche ogni tradizione popolare di qualsiasi genere, artistica, fotografica, eno-gastronomica, sarebbe sparita ormai da innumerevoli anni. Insomma che viviamo irrimediabilmente in un mondo contaminato e globalizzato lo dovrebbero sapere anche i sassi, bisognerebbe accettarlo con saggezza e rispetto, come cosa del tutto normale nel mondo odierno.
Penso che ogni espressione più o meno artistica, compresa la fotografia, non dipenda tanto da assunti teoreticamente “assoluti” ma da come vengono poi soggettivamente modellati e applicati da ogni singolo autore. In assoluto non esiste il modo giusto e quello sbagliato, però secondo me l’errore in pratica esiste ancora, se qualcosa non arriva come e dove dovrebbe c’è un errore di comunicazione.
Il fatto tremendo è che oggi come oggi non ci sono “critici” in grado di discriminare con autorevolezza. Da un lato forse è un bene, da un lato credo che ciò porti a livellare tutto, a non riconoscere punte di vera eccellenza in grado di imprimere una direzione a nuovi possibili movimenti artistici. Se ci aggiungiamo il fatto che noi italiani siamo una società che privilegia da sempre l’importanza della famiglia, e di quelle piccole attenzioni reciproche che poi, non del tutto di rado sfociano nella “famigghia”di stampo raccomandatario e in odore di mafia, la frittata è servita. Vero anche che anni or sono ad una certa notorietà si arrivava attraverso anni di lavoro e non improvvisamente grazie alla spinta di followers che può avere per conseguenza l’affidamento di lavori nel reale.
Sì ma che ci azzecca tutto ciò con la fotografia?
Beh forse un poco ci azzecca. Ci sono sempre almeno due aspetti nel fare reportage o fotografia di viaggi per turismo. Uno è quello palese, visibile nel risultato fotografico, altra faccenda è la narrazione di come si è giunti a tale risultato fotografico, il racconto di un evento. Tutto ciò che avviene è in costante rapida evoluzione, procede al ritmo della globalizzazione.
Anni or sono tra i miti dei viaggi di esplorazione possibili ed abbordabili in albergo o villaggio vacanze, c’era la Thailandia.
Per chi va in Thailandia è imperdibile una visita a Bangkok. Ti innamorerai perdutamente dei suoi spettacolari templi buddhisti, del maestoso Palazzo Reale ricco di pagode e preziose statue, e dei suoi caotici ma affascinanti mercati. La capitale è la sede del Festival della danza e della musica, che si svolge in Autunno.
Oggi il Festival gode di un forte sostegno in tutta l’Asia ed anche in Europa, attirando ogni anno migliaia di visitatori stranieri. le cene a tema con spettacolo sono diffuse in tutta la Thailandia: dai suggestivi ristoranti all’aperto dell’isola di Koh Samui, ai tanti locali di Bangkok.
Anni or sono era un must per un fotografo dilettante andare a fotografare danze del genere. Del resto danze o spettacoli imperniati sulle tradizioni popolari erano e sono ancora in voga ovunque, dai villaggi vacanze alle località turistiche, alle sagre di paese. È anche interessante, per esempio in una esibizione di ballo popolare in Trentino ho avuto modo di verificare che le movenze erano identiche a quelle di balli tradizionali diffusi in tutta Europa e successivamente in America.
Il buon selvaggi non esiste né a Bangkok, né in Trentino, né in Romania, né in Nuova Guinea, né altrove. Eppure tornando da una vacanzina in quei luoghi si è soliti “spacciare” involontariamente le foto realizzate per reportage, anche se si tratta tutto sommato di viaggi turistici.
Anche a Maramures tramite Booking si possono riservare ottimi alberghi con piscina. Che poi in effetti non si tratta di spacciare, mica si dice nulla, uno posta una foto di una vecchina sdentata in una casa un poco malconcia ed è così, è assolutamente vero, però anche da quelle parti ci sono splendide ragazze, ma la narrazione che si da del luogo spesso è assai parziale. Nulla di che scandalizzarsi, il lavoro del fotografo è quello di mostrare, ogni inquadratura censura quello che non mostra.
Stessa cosa accade per i reportage in nuova Guinea, ok si tratta di foto di selvaggi aborigeni, ma sempre fotografie di viaggi turistici. Certo c’è un poco da spaventarsi vedendo le foto degli ultimi possibili cannibali dipinti di giallo, i Korowai.
Il primo contatto documentato con il mondo esterno è avvenuto con un un gruppo di scienziati nel marzo 1974. Fino ad allora, gli appartenenti alla tribù Korowai, 2500 abitanti delle foreste pluviali nell’area occidentale della Papua Nuova Guinea, ignoravano l’esistenza di altri popoli sulla terra. Nel maggio 2006 una troupe televisiva australiana, guidata da Paul Raffaele, ha documentato la vita quotidiana del popolo Korowai, proprio dopo che il giornalista era stato avvicinato da un appartenente alla tribù che aveva raccontato che la sua nipotina di sei anni era stata accusata di stregoneria ed era in pericolo di essere cannibalizzata. Il giornalista australiano descrive poi il suo arrivo: «Era notte quando siamo arrivati nel villaggio. Eravamo in una capanna che si affaccia sul fiume, seduta da un piccolo falò. Due uomini si avvicinano attraverso l’oscurità. Hanno detto: “Ti piacerebbe vedere il cranio dell’ultimo uomo che abbiamo ucciso? Noi lo conoscevamo bene, era un buon amico”. Ho detto di sì e ci hanno portato fuori. L’hanno consegnato a me, non volevo toccarlo, ma non ho avuto molta scelta. Avevano tagliato la parte superiore del cranio per arrivare al cervello, la loro parte preferita». Tutto ciò avveniva intorno al 1974, sono passati ormai quasi 50 anni…
In effetti pare che nel 2014 si siano riscontrati ancora da quelle parti episodi di caccia alle streghe.
Attualmente esistono pacchetti viaggio che, partendo da Jayapura e finendo a Jayapura (Papua Indonesiana), vi permettono di andare a verificare.
Ecco dunque il “tribù Korowai” trekking:
I Korowai chiamati anche Kolufo, sono una comunità tribale di circa 3000 individui che vive totalmente isolata nel cuore della foresta pluviale incontaminata a Papua (Nuova Guinea), Indonesia. Una etnia nomade che vive in piccoli nuclei e costruisce le case sugli alberi ad un altezza di circa 25/30 metri. La presenza Korowai a Papua risale al Neolitico (ultimo periodo dell’età della pietra).
Durata 9 giorni 8 notti: guida parlante Inglese, 4 persone 2 camere (sconti se si aggiungono altri partecipanti), € 2.100 a persona.
Una piacevole alternativa potrebbe essere un viaggio in Papua Nuova Guinea in occasione del Festival Tribale di Mount Hagen, 12 giorni, che si tiene ogni anno ad agosto a Mount Hagen, che raggruppa le principali tribù del Paese in un tripudio di colori, danze e tradizioni.
Il sospetto è che tanto a Papua quanto in altri luoghi più o meno arretrati o addirittura “selvaggi”, la popolazione locale che andremo a fotografare sia costituita da attori a volte svogliati, pagati dalle agenzie di viaggi. Voglio dire che questo genere di fotografie sono deliziosamente inutili, anche se strappano dei “wooow!” di ammirazione? No, sono innanzi tutto dei bei ricordi, potrebbero essere dei reportage interessanti se documentassero la realtà in modo meno parziale.
Concludo lasciandovi dell’ottima musica, eseguita dal “trio Mandili” che dalla lontana Georgia ormai parte per tournée in tutto il mondo. Tutto ciò è frutto di un approfondito lavoro di gruppo, non si tratta di “buone selvagge”!
Giustissimo il commento a quel video: You don’t need to spend millions for advertising your country, you just need right people doing right things. Congratulations girls. People have started discovering the beauty of Georgia, thanks to you. Love from Turkey
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