Frame: un vocabolo che in inglese significa cose diverse, a seconda del contesto.
Può essere la cornice, può essere il fotogramma, quello che c’è dentro l’inquadratura. Cornice, di una foto stampata, sia parte esterna dell’area impressionabile di una pellicola.
In era analogica ogni pellicola, B/N o colore, su uno o due lati era contrassegnata con nome, sensibilità o sigla, nella zona in cui non veniva esposta alla luce. Poteva essere utile riconoscere dalle scritte bordo pellicola se una foto fosse stata scattata da una EPY o da una EPN, da una FP4 o da una Tri-x, e sapere il numero dello scatto.
Poteva anche essere utile a “scopo diagnostico” analizzare il bordo pellicola per verificare eventuali infiltrazioni di luce, velature, sviluppo poco uniforme e altro. Una forte striscia di velatura su un lato di un rullo di pellicola poteva voler dire anche che era stato stretto male chiudendolo una volte estratto dalla fotocamera. con la linguetta di carta dal sapore di francobollo, a volte alla menta.
Non solo. Un bordo pellicola poteva anche spesso ad identificare la fotocamera usata per lo scatto.
Praticamente quasi ogni fotocamera medio formato aveva un bordo pellicola che la identificava.
Tipico quello della Hasselblad con due incisure che lasciavano a sinistra due “triangolini” di esposizione, neri sul negativo, bianchi in stampa. Il bordino nero in stampa era leggermente diverso anche a seconda della focale usata.
Un obiettivo grandangolare, a causa dell’incidenza di raggi molto laterali obliqui, poteva dare in stampa un bordino leggermente più sottile a quello di una ripresa col teleobiettivo.
Il bordino nero in stampa attorno alla foto testimoniava che non fosse stato effettuato alcun taglio al negativo in fase di stampa.
Quasi tutte le foto di Henri Cartier Bresson includono il bordo nero del negativo ad indicare che non era stato fatto alcun tipo di crop in camera oscura. Ahimè attualmente quasi sempre sul web si trovano foto di Cartier Bresson senza il bordino nero.
Filologicamente sarebbe stato assai meglio mantenerlo.
Insomma il bordino nero era anche un’estetica precisa, un modo di concepire la foto come oggetto finale.
Delimitava il frame, inteso come fotogramma, area esposta alla luce e impressionata, il limite esterno dell’inquadratura.
Specie se nel negativo c’era un cielo ‘sfondato’, sovraesposto , senza alcun particolare, in stampa sarebbe risultato facilmente assolutamente bianco , non si sarebbe colto il limite tra l’inquadratura e il bianco della carta fotografica.
Da notare che sopratutto negli anni ‘70 era di gran moda sviluppare e stampare molto contrastato, magari su carta gradazione 4, neri chiusi, bianchi sparati. Il bordino nero si otteneva con precisione usando marginatori a 4 lamelle, difficili da trovare in Italia e costosi.
Tuttora un marginatore SAUNDERS SLIMTRACK 11×14’ costa usato, in buono, stato oltre i 150€.
Sono soldi assolutamente ben spesi, è preciso e pesante, non rischia di spostarsi aprendolo per inserire la carta fotografica.
Richard Avedon faceva stampare quasi sempre il bordino nero, dal tacche del bordo si può osservare che le sue foto sono state spesso eseguite su pellicola a lastre per banco ottico.
C’era anche chi stampava il 35 mm comprensivo di scritte sulla pellicola, un effetto piacevole, forse eccessivo.
Tuttavia esiste una Lomography Spinner 360 che adotta pellicole 35 mm e le impressiona sino sopra le scritte identificative della pellicola.
Anche Richard Avedon fece stampare il bordo pellicola nel ritratto di Marilyn Monroe.
I ritratti di Avedon erano spesso molto essenziali, ripresa in primo piano frontale , sfondo bianco, grigio o nero, “chiusi in sé stessi” il bordo nero delineava con precisione il ‘dentro’ l’inquadratura, separandolo dal ‘fuori’.
HCB e Avedon erano dei precisini dell’inquadratura, quello che è dentro è dentro, quello che è fuori è fuori, il bordino nero è un confine invalicabile.
Anche Robert Frank usò il bordino nero, a volte, non sempre. Alcune sue stampe avevano solo il bordo bianco se le zone chiare dell’inquadratura erano ben delimitate.
Però Frank era assai meno precisino, anzi l’opposto, le sue inquadrature non sono mai chiuse in se stesse, alludono il più delle volte a qualcosa oltre l’inquadratura, alla vita che continua fuori dal frame.
Con il dentro e il fuori dal frame, sottolineato dal bordo dell’immagine a Cristiano Vassalli piace giocare in modo un poco surrealista.
La sua serie “À la recherche du temps perdu”, una rielaborazione da scatti anni ‘40, è , come lui stesso dice, un tentativo di uscire dal limite dello spazio fotografico fatto dal bordo del negativo.
Henry Cartier Bresson è stato forse uno dei primi ad iscrivere il suo frame col bordino nero, in seguito intorno agli anni ‘60/’70 divenne assai diffuso.
Attualmente in fotografia digitale il frame non esiste. Tutta l’area del sensore è sensibile alla luce e può essere impressionata. Il bordino nero può essere aggiunto solo in post-produzione ma non racconta nulla di quello che il bordo della pellicola raccontava. È un bordo assai preciso, asettico, non ha il fascino sottile del bordo della pellicola analogica.
Esistono addirittura frame vuoti, fatti come la pellicola 35mm, con finta doppia perforazione scritte indicanti la pellicola e numerazione fotogrammi. Dentro si può inserire l’immagine. Secondo me questo genere di frame è davvero inutile oltre che fintissimo, anche se può piacere.
Tuttavia penso che un bordo attorno all’immagine possa essere ancora utile e piacevole. Serve a circoscriverla e a guidare lo sguardo all’interno isolandolo dallo spazio circostante. Quindi in post-produzione aggiungo sempre un doppio bordo in
B/N attorno all’immagine. Bordo interno nero se la fotografia ha toni prevalentemente chiari, e bordo esterno bianco. Oppure il contrario. Bordo interno bianco e bordo esterno nero, se la fotografia è in low key o ha toni prevalentemente scuri. In sostanza è più una cornice che un bordo fotogramma, mi piace applicarla sia nelle foto che posto sui social che in quelle che stampo
Ovvio è un mio gusto personale anche se ha, come detto, motivazioni pratiche.
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