THE AMERICARS

Di Giorgio Rossi.

 

© Giorgio Rossi. The Americars.

 

Come nasce un progetto fotografico? Ehhh, è un discorso lungo, vedrò di riprenderlo.
Qui vi racconto di come nasce questo progetto, che poi chiamarlo progetto forse è eccessivo. Tuttavia nasce dalla confluenza di due motivazioni assai distanti l’una dall’altra. Come del resto sono distanti tra di loro gli elementi che si sono trovato, loro malgrado, a essere compresenti in queste immagini. Gli “sfondi”, paesaggi urbani e non. Scatti realizzati in tempi e luoghi diversi. Presi a sé forse piacevoli ma comunque scatti singoli, realizzati senza un preciso motivo, per quell’intimo bisogno di fare click, forse scaricare un poco di tensione.
Li riguardo e mi sembrano perfettini e inutili, mi vien voglia di sporcarli un poco, contaminarli…. Vi è mai capitato di amare e nel contempo odiare una vostra fotografia? Beh, non siete pazzi.
Del resto una leggenda vuole che Michelangelo, contemplando il Mosè, abbia esclamato «Perché non parli?», percuotendone il ginocchio con il martello.
Quindi ok, da un lato i paesaggi, dall’altro loro, le “AMERICARS”.

© Giorgio Rossi. The Americars.

 

Scaricate dal web, da realtà lontane, che non so bene immaginare come non so nulla dell’autore delle foto. Vorrei citarlo, ma è impossibile. Quindi commetto un furto, contamino, tanto comunque inserite nelle mie immagini diventano altro. In fondo i collage, specie nella satira, sono sempre stati così, piccoli furti per dire altro.

© Giorgio Rossi. The Americars.

 

La curiosità per le big cars mi scaturisce assolutamente spontanea una sera… 10/11/2014 h 20,04   così recitano i dati exif dello scatto. Passeggiando in Garbatella, un quartiere magico dove tutto può essere e la cosa più normale che ti possa capitare è di perderti, per poi ritrovarti.
Così avviene l’incontro con una Volvo SW Polar, assurdamente enorme, parcheggiata lì sembra più grande della casa dietro, sembra urlarmi : “Fai click!” e le do ascolto.

© Giorgio Rossi. The Americars.

 

Passa il tempo e quell’immagine torna a ronzarmi nella testa come una mosca, mescolandosi a pensieri sbilenchi. Diventa un “progetto”, che è anche un complice gioco di citazioni tra me e chi osserverà le immagini: “ THE AMERICARS”, storpiatura del titolo del libro fotografico di R. Frank, “The Americans”. Non sarebbero Americans senza le loro Americars!
Rivedo mentalmente la foto in B/W di Wegee. Scrive davvero a macchina, nel bagagliaio della sua Chevrolet, tra gli attrezzi del mestiere? Intorno al 1936 gli piaceva già giocare con l’ambiguità della fotografia. Spesso non sai nelle sue foto cosa sia vero, cosa falso.

© Giorgio Rossi. The Americars.

 

Ripenso ad Ansel Adams, più o meno negli stessi anni, in giro per i National Park o mentre sale sul portapacchi della sua Ford Woodie per fotografare “Moon rising, Hernandez”. Un inno fotografico alla grande bellezza della sua terra. Lo immagino mentre girando per lande desolate incontra una autostoppista. Un omaggio in B/N certo, ma il colore non poteva mancare. Ho letto di una lettera di sdegno che dicono A. Adams scrisse indirizzata al MoMa di New York, quando John Szarkowsky organizzò la prima mostra di William Eggleston, nel 1976, a colori! Allora era un’eresia, solo il B/W veniva considerato arte. Mentre tutti si interessavano al “momento decisivo” Eggleston per primo rivolge il suo sguardo al banale quotidiano, facendolo diventare soggetto. Fu stroncato dalla critica. Eppure lo sguardo di Eggleston, di S. Shore, di J. Meyerowitz, oggi fa ormai parte del bagaglio visivo di molti fotografi acculturati, si mescola a L. Ghirri, agli altri autori di “Viaggio in Italia”. È diventato “New topography,” anche se la ricerca del “non luogo” ormai è diventata essa stessa un luogo comune, spesso senza alcuna vera intenzione dietro, ripetizione della ripetizione, estetica sovraesposta in più delle volte di due stop, moda.
E per di più senza Americars!…. Così ce le ho messe io.

© Giorgio Rossi. The Americars.

Least but not last. In era analoga era praticamente impossibile fare un fotomontaggio senza farlo smascherare e spacciarlo per realtà. In digitale, volendo, si può costruire una immagine pixel per pixel. Certo ci vuol tempo ma è possibile. Nemmeno un’attenta analisi può, se ben fatto, smascherare un fotomontaggio digitale. Non per nulla il quasi tutti i concorsi importanti chiedono, in caso di dubbio, la consegna del Raw originale dello scatto. Insomma il confine tra ciò che è vero e ciò che è falso oggi come oggi è labile. L’unica differenza evidente può essere quella della “credibilità” di una immagine. Però è assai soggettiva l’interpretazione di un’immagine.

© Giorgio Rossi. The Americars.

 

Sta a noi farci suggestionare o meno. In fondo è anche bellissimo farsi suggestionare, cadere nella “favola”. Il fotografo è una sorta di burattinaio che di nascosto regge i fili della sua favola. Nulla di male dunque a meno che non cerchi deliberatamente di ingannarci.

Tra la suggestione e l’inganno c’è una certa differenza, questione di etica… ma la fotografia è in piccolo regno puro e felice dove l’etica domina sorridente e incontrastata?

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

 

 

 

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