Sappiamo ancora leggere?

A volte mi chiedo se sappiamo ancora leggere. Non intendo strettamente leggere una fotografia e capire cosa è stato scritto in quella immagine. Dopotutto sappiamo bene che fotografare vuol dire scrivere con la luce, ma leggere una fotografia è un passaggio diverso. Presuppone l’essere osservatori, dall’altra parte rispetto a chi ha scritto l’immagine. Coglierne il senso e i perché, andare oltre i quando e i come, che sono a volte espliciti, altre volte dichiarazioni d’intento. Per alcuni versi presuppone il leggere a questi livelli una fotografia richiede   competenza e profonda cultura dell’immagine, quindi non è da tutti.

 

Pieter Bruegel il Vecchio. The Tower of Babel, 1563

 

Chi si dedica alla lettura di portfolio normalmente ha o dovrebbe avere queste doti. Non di meno è assai importante una lettura più istintiva, spontanea, anche se forse soggetta ad abbagli. Dopotutto chi scatta una fotografia, scrive lo fa, spesso ma non sempre, per comunicare un qualcosa, perché altri leggano e capiscano cosa intendeva scrivere. Se scrivesse solo per gli addetti alla lettura, sarebbe un ben misero risultato. Però non intendo parlare solo di lettura di fotografie.

Assimilo una fotografia più al linguaggio testuale e grafico che al linguaggio pittorico. Di conseguenza mi viene spontaneo chiedermi se la gente sa ancora leggere e capire un testo scritto. Non interpretarne significati accessori che possono essere anche simbolicamente complicati, insomma leggere e comprendere quello che gli inglesi chiamano “plain text” , un testo semplice, concreto.

 

Maurits Cornelis Escher, Concavo e convesso

 

A volte ne ho seri dubbi, dopotutto mai come in questi tempi si parla di “analfabetismo funzionale”. Sembra un analfabetismo assai diffuso attualmente, se ne iniziò a parlare vari anni or sono. “L’UNESCO definisce dal 1984 l’analfabetismo funzionale come «la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità». Il termine, coniato all’interno di un’indagine sui nuclei familiari svolta dalle Nazioni Unite nel 1984, fu introdotto per sovvenuta esigenza di un concetto di alfabetizzazione superiore rispetto a quello di alfabetizzazione minima, introdotto dall’agenzia nel 1958.”

Un esempio pratico, anche se non attinente alla fotografia. Giusto ieri cercavo informazioni su un notebook “freeDos” ovvero senza S.O. senza sistema operativo pre-installato. Uso da oltre 15 anni Linux come sistema operativo, serve alle mie esigenze e non mi piace pagare nell’acquisto di un pc anche Windows per poi cancellarlo. Uso programmi “open source”, diciamo (anche se è una semplificazione) “gratuiti”, per tutto quello che attiene alla fotografia e a molto altro. Principalmente Gimp e Raw Therapee.

Non intendo affermare che siano i migliori, sono quello che mi basta e avanza. Ok insomma trovo il notebook che mi interessa. Vado a leggermi domande e risposte su quel PC.

7 pagine, dico 7 pagine nelle quali venivano ripetute le stesse domande e date le stesse risposte. Eppure le specifiche tecniche erano assai ben specificate. 7 pagine in cui ognuno dei curiosi faceva le stesse domande che avevano fatto altri prima di lui, e riceveva identiche risposte. A questo punto mi sono chiesto che valore comunicativo ha oggi la parola scritta, e anche parlata, se serva ancora a qualcosa, se non sia tempo sprecato e convenga limitarsi a mangiare e bere e fare le altre più o meno piacevoli cose quotidiane.

 

Maurits Cornelis Escher. Drawing hands

 

La comunicazione è comunicazione, al nostro attuale grado di evoluzione sociale e storica dovrebbe essere almeno un poco cosa assodata, base del nostro convivere. Se ti dico: “passami quella mela rossa che sta nel portafrutta sulla credenza” intendo quello, non capisco perché fai mille domande, visto che sei italiano e parliamo la stessa lingua. Ovvio che situazioni del genere sono assai diffuse anche in ambito fotografico, basta scorrere le pagine di molti social. Nessun vero dialogo ed argomenti ciclici, in genere molti sono attratti da disquisizioni e diatribe su argomenti tecnici. Stile: meglio gli obiettivi fissi o gli zoom? Meglio Jpeg o Raw? Ecc. Da qui partono a volte infiniti commenti senza che in genere chi commenta abbia letto e capito quanto è stato scritto due commenti prima da altri.

Esiste inoltre una comunicazione e una metacomunicazione. Tipica metacomunicazione è quando un’affermazione verbale (comunicazione) è contraddetta da una non verbale (tono della voce o postura del corpo), che è metacomunicazione. Possiamo dire “ti amo” ma dirlo in modo inespressivo o col volto atteggiato al severo.

Su internet, in un dialogo, non possiamo lanciare segnali gestuali, siamo pura parola.
Quindi dovrebbe essere più semplice comunicare in modo univoco, scambiarci informazioni importanti, arrivare a un qualche risultato, diciamo così definitivo, concreto, invece per lo più non si arriva a nulla. Aggiungiamoci che la Fotografia è materia ambigua, si può affermare una cosa e l’esatto opposto senza venire mai definitivamente smentiti. Nessuno ha veramente ragione nessuno ha veramente torto. O, a volere essere buoni, in ognuno c’è almeno uno piccolo spicchio di verità. Si ma in questa situazione la Fotografia come e in che direzione può evolvere?  Ovvio, evolve poco, forse evolve solo in ciò che appare, non nei contenuti,non a livello comunicativo diretto e concreto.

Penso che la fotografia non sia cosa a sé stante, è intrisa nel quotidiano, nel sociale in cui viviamo. Dimostra spesso desiderio di fuga dal contingente. Diventa sempre più astrazione, rappresentazione senza vera comunicazione, non testimonia nulla. Nessuno sembra interessato più di tanto alla documentazione. Tuttavia nella percezione di una immagine, forse a puro livello istintuale, si arriva talvolta a credere di recepire. Ammesso che non sia solo uno specchio, che quello che vediamo in realtà siamo noi riflessi in una immagine prodotta da altri. E solo in questo senso e verso si attui una comunicazione tra l’autore e il fruitore e viceversa.

Insomma per quanto riguarda la convivenza civile e sociale mi pare che ormai viviamo salendo e scendendo le scale di una torre di Babele, siamo al limite, corriamo verso l’implosione o verso il collasso.

Mi domando: in questa situazione la Fotografia può godere veramente ottima salute?

 

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

 

Maurits Cornelis Escher. Métamorphose du monde

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