1827 “View from the Window at Le Gras”, è la prima fotografia permanente realizzata con successo da Joseph Nicéphore Niépce. Che il realtà si tratti di una eliografia poco conta, sempre una fotografia è. Sono passati quasi 200 anni, volati in un soffio.
La fotografia in una manciata di anni ha ripercorso e riassunto millenni di storia dell’arte, della necessità di esprimere noi stessi e il mondo in cui siamo immersi, dai graffiti delle grotte di Lascaux, ai tagli di Lucio Fontana, a “ Rosso Plastica” (1963) di Alberto Burri, battuta all’asta da Christie’s per 3,4 milioni e ancora oltre.
Riguardiamola questa finestra ripresa da Niépce, senza pensare alla storia della fotografia, scordandoci di conoscerla anche se per sommi capi… lasciamoci prendere, emozionare. È attuale, modernissima.
Possiamo anche pensare ad importarla in Photoshop, elaborarla, come è stato fatto millanta volte con la “Gioconda”, possiamo rubarla come ha fatto Vincenzo Peruggia che si è rubato Monna Lisa per farla sua, possiamo farla diventare una pop star.
Anche la vista dalla finestra di Grace può essere un’icona, a pensarci bene.
Sono arte i graffiti di Lescaux? Lo sono i tagli di Fontana, le opere sbruciacchiate di Burri? Sono espressioni personalissime, tuttavia perfettamente in sintonia col momento storico nel quale sono state concepite, sono state ufficializzate come arte. Cos’è l’arte? Ancora non è stato risolto questo enigma e ci si chiede: “ma la fotografia è arte?” Può esserlo nello specifico se un’opera fotografica viene ufficializzata come arte, non lo è come concetto generale. Allo stesso modo di una “carbonara”, che può essere sublime o una ignobile, mal riuscita frittata con pasta.
Che pazzo mondo quello della fotografia!
Continua ad aggrovigliarsi vorticosamente intorno a dibattiti vecchi, che non hanno soluzione, resta ambigua e indefinibile… ed allora ok, si ricorre alla “consapevolezza” senza la quale pare non possa esserci arte. Si insegna a praticare la consapevolezza, ad agire lungo la sua linea. Può esserci consapevolezza al momento del click, non è detto che ci sia, può anche essere una intuizione colta al volo.
Nel bene e nel male la fotografia è il preciso specchio della realtà in cui siamo immersi e viviamo, o sopravviviamo, con tutte le sue contraddizioni, non potrebbe essere diversamente. C’è gente che vive nel lusso e gente che muore di sete o di fame, ci sono guerre, epidemie.
Ci sono nel contempo Jova beach che non importa se distruggono l’ambiente se ci fanno stare felicemente assieme in un baccano che copre ogni possibile parola.
Se questo è il mondo in cui viviamo come e perché la fotografia potrebbe essere diversa e migliore?
C’è una qualche possibile logica in tutto ciò? E perché allora dovrebbe esserci logica e consapevolezza nella fotografia. Attenzione non voglio assolutamente affermare che non ci debba essere consapevolezza, Fontana e Burri erano assolutamente consapevole dei loro perché e modi di operare.
Viviamo, fotograficamente e non solo in un epoca di simbiosi e contaminazioni, compresenza di estremi che sembrerebbero essere inconciliabili. Eppure tutto ciò convive, deve poter convivere senza barricate nell’assolutamente reale, senza meglio o peggio, senza giusto o sbagliato, se non soggettivo.
La fotografia è ambigua e resta tale. Anche se ci si accapiglia tra analogico e digitale, tra vera fotografia e succedanei tecnologici dettati dalla modernità industriale. Esiste una diffusa esigenza di “multipli” declinati in millanta modi diversi ma tuttavia attigui, vicini , compresenti.
“Una rivoluzione ha messo nelle tasche di tutti noi uno smartphone. L’Iphone è lo strumento d’elezione del fotogiornalista Michael Christopher Brown, quando, nel 2013, si è guadagnato la candidatura per la prestigiosa agenzia Magnum. La sua nomina è stata un terremoto nel mondo della fotografia.”
Personalmente il fatto di sapere se fotografa con un Iphone o un banco ottico non mi interessa più di tanto. Anche se percettivamente , emotivamente, concettualmente, ecc. il fatto di usare un mezzo piuttosto che un altro può comportare delle differenze e portare a risultati diversi. Sappiamo cogliere le peculiarità di ogni diverso mezzo fotografico per quello che sono? Sappiamo usare un normalissimo tradizionale martello in modo diverso da un martello pneumatico?
Mi stanno più che bene le scelte di Christopher Brown, sono sue scelte che non critico minimamente, meno che mai me ne scandalizzo. Tutt’al più penso che lo sdoganare la fotografia con lo smartphone come fotografia altrettanto importante rispetto a quella realizzata con altri mezzi possa essere utile a chi produce smartphone.
Tutto scorre, per finire nel gorgo nero del web dove tutto si mescola e si perde. L’arte deve essere eterna? Forse… ma Leonardo nel dipingere Monna Lisa pensava di ritagliarsi un posticino per l’eternità?
La fotografia deve essere pura? Per essere veramente fotografia deve essere portata all’ultimo stadio, stampata, annusata, palpata? La Gioconda possiamo ammirarla solo immersi tra la folla, dietro a un vetro blindato. Capisco il gesto di quello che si è avvicinato in carrozzina, ha lanciato una torta contro il vetro blindato che protegge la Gioconda, anche se poi è stato espulso dal Louvre, ed è stato definito “un giovane esaltato che inneggiava alla “salvezza del pianeta”…
Visto con occhi diversi tale gesto potrebbe essere considerato una performance artistica di notevole valore. Dove sta il vero? Conosciamo la Gioconda? La conosciamo anche senza averla mai vista, senza nemmeno esserci avvicinati, per averla vista riprodotta millanta volte.
“CECI N’EST PAS UNE PIPE” scriveva Magritte sotto il disegno di una pipa… eh il tradimento delle immagini… ma oggi come oggi conosciamo certe cose solo per immagini, non le abbiamo mai viste nel reale eppure automaticamente le reputiamo vere, non possiamo fare diversamente! Una immagine ripetuta millanta volte diventa assolutamente vera, anche se in realtà quello che viene rappresentato non esiste. Stiamo su due piani diversi, quello della realtà tangibile e quella della sua rappresentazione su un pezzo di carta o un monitor. Tuttavia perché dovremmo reputare “vera fotografia” solo quella che possiamo percepire in 3D, annusare, toccare?
Che pazzo mondo quello della fotografia!
Leggo scritto accanto a una foto tutti i dati tecnici, dalla fotocamera e obiettivo alla pellicola, ai dati exif se è digitale… sono utili queste precisazioni? Potrebbero essere utili. Provo a immaginare i dati scritti accanto al Mosè di Michelangelo. Luogo di estrazione del marmo, scalpello, martello.
Che pazzo mondo quello della fotografia!
“Eh mi sono comperato una Nikon FTN, che meraviglia!”…
Sì, d’accordo bellissima, un mito assolutamente giustificato, desiderabile. Se ci si trova bene, se lo aiuta a fotografare come vuole , a sentirsi a suo agio indossandola e usandola, ben venga. Personalmente l’ho venduta, mi trovo meglio con la Pentax SPF, però non giudico, sono scelte estremamente soggettive.
Che pazzo mondo quello della fotografia!
Leggo scritto accanto a una immagine postata: scatto realizzato con fotocamera vintage e pellicola scaduta.
“Vendo 4 rullini Kodak Portra 120, scaduti a 129€!” – “ma vaa la confezione di 5 nuovi rullini di Portra si compera a 60 €!!!” – ” Eh certo ma di quelli nuovi ne trovi a tonnellate, quelli scaduti, sono vintage e ormai rari!”
Che imprevedibili meraviglie, che sublime arte ci offre il caso!
Che pazzo mondo quello della fotografia!
Eppure i nostri avi fotografi ci sapevano fare meglio di noi. Vere fotografie, stupende, applicate su cartoncini beige , con scritte svolazzanti che ricordavano premi vinti, nome del fotografo, indirizzo dello studio. Noi cerchiamo di vendere dei file.
Che pazzo mondo quello della fotografia!
Trovo un annuncio di vendita in un mercatino: “Vendo Fotocamera fujifilm x-T3. Otturatore nuovo. Macchina con 3 scatti. Lievi segni estetici ma nulla che pregiudica il funzionamento. Disponibile a qualsiasi domanda. Viene venduta con : 8 batterie Patona Anello adattatore lenti vintage Oculatore pro e la dotazione originale di flash più due caricabatterie.”
Beh qualche domanda l’avrei. Come mai si vende una fotocamera dopo tre scatti, e sopratutto quanta energia elettrica pensava consumasse questa Fuji per doversi comperare 8 batterie Patona di riserva? Fortuna che si era acquistato anche due caricabatterie perché ci vuole tempo a caricare una batteria tra uno scatto e un altro. Fortuna che è una macchina assai buona, dopo tre scatti l’otturatore funziona ancora come nuovo. Spero che la venda con lo scatolo, altrimenti non la compero!
Che pazzo mondo quello della fotografia!
Scorrazzando su FB mi imbatto in un post assai interessante scritto da Luca Sorbo, lo trascrivo integralmente, senza cambiare una virgola: “Oggi prevale la dimensione ludica della fotografia e lo smartphone ben asseconda questa tendenza. Le immagini sono lo strumento di un grande gioco di società che si nutre di narcisismo ed autoreferenzialità. Il cellulare è lo specchio delle nostre vanità e desideri. Questo atteggiamento è sempre esistito, ma oggi è dominante.
La fotografia come strumento espressivo ha bisogno di luoghi in cui poter vivere un confronto forte tra l’autore e lo spettatore, attivando meccanismi di lateralità e marginalità.
L’arte vera risponde alle istanze profonde del proprio tempo, si nutre delle contraddizioni e delle perversioni, trova l’oro nel fango più vile. L’artista lavora sulla ferita.
Il vuoto esteta esplora compiaciuto la possibilità, il vero artista vive la responsabilità.
Il vuoto esteta è prigioniero del proprio Ego, l’artista scopre la potenza silenziosa dell’IO.
Il problema è più nella fruizione che nella produzione. Siamo nell’epoca del disimpegno progettuale. Il mondo ci scivolerà addosso senza lasciare traccia.
La ricerca estetica è solo una fuga che non ha nulla a che vedere con la ricerca artistica.
Abbiamo bisogno di essere disconnessi per vivere solitudini originarie e necessità interiori.
Arriverà una violenta onda di realtà a svegliarci prima o poi.”
Non so, sono assai confuso, o forse non ci arrivo del tutto. Sono parzialmente d’accordo…per nulla d’accordo quando scrive: “Abbiamo bisogno di essere disconnessi per vivere solitudini originarie e necessità interiori.”
Trovo sia una visione immersa in un romanticismo tra il decadente e il pericoloso. Direi che fa anche comodo al “potere”, sempre se esiste un potere che decide.
Il disconnetterci, l’auto-segregarci vivendo in solitudini ci rende soli e vulnerabili. Sarebbe assai meglio essere connessi in una sorta di movimento, tutte le espressioni artistiche hanno determinato e/o sono state immerse in movimenti.
Però posso sbagliarmi, può avere assolutamente ragione lui, non critico. Dico solo che in fotografia si può affermare tutto e anche l’esatto contrario e va bene lo stesso, entrambe le affermazioni possono essere egualmente giuste, veritiere, degne di essere ricordate.
Che pazzo mondo quello della fotografia!
Potrei stare qui a scrivere di migliaia di altre pazzie fotografiche, del loro ripetersi ciclicamente, incessantemente (anche se apparentemente in modo assai diverso), dagli arbori della fotografia ad oggi.
La sostanza non cambia, navighiamo sempre negli stessi dubbi…
Forse ha ragione Zichici quando nutre dubbi sull’evoluzionismo.
Sono discorsi troppo complessi, lontani dalla mia e forse vostra sfera di competenze.
Sia quel che sia… “il naufragar c’è dolce in questo mare” ( cit leopardiana apocrifa)
Lo amiamo per com’è questo pazzo mondo della fotografia!
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