Siamo abituati a pensare che la rete sia sconfinata e sia sufficiente cercare con attenzione per trovare qualsiasi cosa. I siti web sono indicizzati da potentissimi motori di ricerca. Ciò fa si che una informazione che viene riportata da più siti salga in classifica, si trova immediatamente.
Che la notizia o informazione riportata sia vera o falsa non ha alcuna importanza. Anzi le informazioni false, le cosiddette fake news, si diffondono assai più rapidamente di quelle vere, forse perché la verità è più banale della fantasia.
Sono considerazioni che credo ciascuno di voi abbia fatto… però la realtà è un poco più complessa. Per ogni sito che trovate sul web è stata pagata una quota di iscrizione a un web hosting provider che ospita il sito su un server del suo data center.
Anche questo è notorio, ha tuttavia dei risvolti interessanti. Si pensa abitualmente che tutto quello che si trova sul web sia gratuito o quasi. Gratuito in genere per chi visita un sito, a pagamento per il possessore del sito. Mettiamo Sensei, vi interessa? Allora fareste bene ad abbonarvi, sarebbe una piccola soddisfazione per chi ci lavora, un riconoscimento di un impegno e uno stimolo a proseguire.
Mettiamo che Giordano Suaria, il capitano di questo vascello che vi porta notizie sempre diverse del mondo della fotografia, un giorno si stanchi, oppresso dal superlavoro, e smetta di condurre il vascello? Forse Sensei chiuderebbe, forse la quota annua di iscrizione al provider non verrebbe più pagata. Sicuramente se succedesse dei millanta articoli che sono stati pubblicati su Sensei da vari anni a questa parte sparirebbero.
Ho iniziato a collaborare alla rivista on line il 23 febbraio del 2019 con un articolo sulla Pentax SPF. È stato letto da 26.400 persone, da quell’articolo in poi quasi ogni sabato ho pubblicato un articolo, ormai la lista dei miei saltuari pensieri sbilenchi è lunghetta.
Nei miei articoletti metto spesso dei link che portano ad approfondimenti, però può succedere che un link non funzioni più. Chi ha messo quella notizia sul suo sito per una qualche ragione ha smesso di pagare il provider, così il sito è stato chiuso. Potrebbe anche essere essere che quel sito portasse ad altri siti, ad ulteriori approfondimenti… Il circuito di notizie verrebbe interrotto. In pratica la rete che pensiamo solidissima ha una miriade di buchi.
Un esempio. Molti anni or sono comparvero sul web articoli interessantissimi sull’HDR. Spiegavano scientificamente cosa è.
Ora quei siti non si trovano più da nessuna parte. Se ne trovano altri, spiegano come si fa un HDR. Però dicono una marea di sciocchezze che non hanno nulla a che fare col vero HDR, che è una sorta di astrazione scientifica. Non può essere visualizzato da nessun monitor, prenderebbe fuoco. Potete immaginare di riprodurre esattamente su un monitor il chiarore del sole? No, non potete. Sarebbe un poco lunga da approfondire la faccenda, comunque può essere che sia come spiegava il dott. Frankestin ai suoi allievi: “il lavoro di mio nonno è solo…”
Interessanti o meno di certi studi che vennero pubblicati sul web anni or sono non resta alcuna traccia. Troverete sempre la storia dell’antica Roma sul web, interessa a molti e molti continueranno a pubblicarla sul web. Informazioni e cronaca più di nicchia tendono a scomparire. Oggi se cercate la notizia del bacio tra Rosa e Fedez sul palco dell’Ariston la trovate da molteplici fonti. Tra dieci anni a chi interesserà?
Anche giusto, non tutto è degno di passare alla storia. La cronaca la trovate in ogni dove, quella sottile border line che sta al confine tra l’attualità e la storia spesso viene ancora tramandata a voce. “Mi ricordo che…”
Per esempio la Polaroid. Ricostruirne la storia e l’evoluzione non è del tutto agevole. Il suo inventore, Edwin Herbert Land, è stato definito L’ultimo dei grandi geni, secondo, come numero di brevetti depositati, solo a Edison. Inventò, intorno al 1939, i filtri polarizzati per occhiali da sole, quelli che conosciamo credo tutti. Vennero prodotti dalla sua ditta, la Polaroid.
A partire dal 1948 Polaroid produsse anche macchine fotografiche a sviluppo immediato. La prima macchina è la Model 95, seguirono molti modelli, sino intorno al 1964, la Land Camera 240 e la 185 con l’obiettivo totalmente manuale in cui imposti sia il tempo che il diaframma. Può essere usare per farci qualche positivo diretto oppure qualche foto invertendo la carta come se fosse un processo per diapositiva in bianco e nero. Quando esisteva la sua pellicola fu assai diffusa tra i fotografi ambulanti, quelli che attualmente hanno riscoperto la fotografia minutera della quale ho parlato in un precedente articolo.
La pellicola per la Land non viene più prodotta dl 2017. Vennero anche prodotti dorsi per pellicole Polaroid 4×5 e 6×9, la 699. Praticamente ogni importante casa produttrice di fotocamere analogiche a banco ottico o mezzo formato aveva in listino un dorso Polaroid. Ne venne prodotto uno anche per la Nikon. Poteva essere utile a studio scattare una Polaroid di prova, non tanto per verificare l’esposizione quanto per controllare la distribuzione della luce, le ombre, possibili riflessi.
Polaroid produsse anche rullini di diapositive istantanee, la Polapan in B/N e la Polachrome a colori. Venivano sviluppate con la Autoprocessor 35, girando una manovella che faceva avanzare la pellicola. Ne ho una in ottimo stato, devo metterci dentro un poco di piombo per usarla come fermaporte, dato che la pellicola 35 mm Polaroid da anni non è più in produzione.
Intorno al 1980 venne addirittura prodotta in pochissimi esemplari la Giant Polaroid 50x60cm, usata credo l’ultima volta da Galimberti. Di tutto ciò sul web si trovano solo scarse tracce.
Celeberrima, davvero stupenda, fu la SX-70 reflex resa famosa da Andy Wahrol.
Nel 2008 la società chiuse per bancarotta, e l’eredità viene accolta da un’azienda olandese, The Impossible Project.
Nel 2017 The Impossible Project acquisì la proprietà intellettuale del marchio Polaroid, cambiando denominazione prima in Polaroid Originals e poi semplicemente in Polaroid. Così venne prodotta di nuovo il Color i-Type Film il Color SX-70 Film ed altre, molte fotocamere Polaroid possono di nuovo funzionare.
A dare una brutta stangata alle Polaroid fu l’avanzare delle prime digitali reflex a partire dalla Canon EOS D30, presentata nel 2000.
Indubbiamente dopo qualche anno di rapidi progressi tecnologici nessuna Polaroid poteva più competere nel settore della fotografia professionale con la praticità, la rapidità, la qualità delle digitali. Tuttavia, se nel normale uso professionale sono per lo più inadatte, le nuove Polaroid sono state salutate come la manna dal cielo dai moltissimi che si dedicano alla fotografia artistica. Non dimentichiamoci che ogni scatto Polaroid è un numero unico, irripetibile.
Tra questi l’amica Ketty Domesi, con la quale ho parlato qualche giorno fa…
“Ciao Ketty, buona giornata, stavo pensando di scrivere un articoletto su di te e le tue Polaroid, su Sensei, se ti va”
“Ne sarei veramente molto onorata! Ehm… ma stai scherzando?”
“ Ma noo, non scherzo affatto!”
“OK ma cosa dico? Solita premessa? Invento cose? O dico semplicemente che faccio foto?”
“Vai a ruota libera…”
“Va bene allora iniziamo nel dire che odio le etichette quindi alla domanda: “che genere di foto fai?” La mia risposta è semplicemente: faccio foto.”
Ritratti? Paesaggi? Still-life? Storytelling? Dobbiamo veramente cadere per forza in una categoria?
E poi… Polaroid… Ah vabbè… Perché abbiamo sempre bisogno di etichettare? Che tipo di genere faccio? Il genere che parla di me, che prende vita dai miei pensieri, dai miei stati d’animo, poi che sia un ritratto o un paesaggio dipende solo da come ho bisogno di esternarlo.
Amo il confronto, sono molto curiosa e se mi metto in testa qualcosa difficilmente lascio perdere prima di aver ottenuto il risultato… Quindi appena ho del tempo libero, anche se molto ridotto, vado in giro per mostre, approfondisco argomenti attraverso lo studio e si, lo ammetto: se incontro persone diverse dal mio modo di pensare o fanno cose che non fanno parte del mio mondo parto con una incessante richiesta di informazioni, tipo l’accollo di Zerocalcare.
Va bene credo che a questo punto qualche informazione di servizio sia doverosa:
Sono nata nel 1971 ad Ancona, dove tutt’ora vivo. Lavoro in un laboratorio fotografico (Foto De Angelis) di Ancona da più di 30 anni, in pratica sono una stampatrice. Con il mio primo stipendio mi sono comprata una Canon EOS 1000fn, ottima compagna di viaggio per i miei primi passi come “fotografa”. Nel 2012 ho avuto la fortuna di incontrare un fotografo di Roma, Stefano Corso, che attraverso le sue immagini mi ha dato una nuova visione, forse quella che stavo cercando da anni, per parlare attraverso la fotografia.
Così, nonostante mi fossi appena comprata una delle prime mirrorless digitali, la mia passione mi ha dirottato forse in maniera definitiva verso la fotografia analogica. Ho acquistato diverse macchine a pellicola sia 35mm che medio formato e il vantaggio di potermi sviluppare i negativi da sola, non ha fatto altro che rafforzare questa passione.
Arriva il novembre del 2015, c’era una sorta di Nitalday con la presentazione dei loro vari brand… Casualità il mio amico di Roma era in Ancona, quindi gli propongo di andare in pausa pranzo a vedere questo evento… Arriviamo in una sala… Impossibile Project… In un tavolo c’era un promoter che mostrava l’ultimissima novità di quell’azienda: una pellicola Polaroid duochrome giallonera.
Mi avvicino, lo ammetto non riesco a nascondere bene quello che penso, se ne è accorto anche il ragazzo che stava presentando la nuova pellicola… Alan Marcheselli che in Italia (e non solo) è sicuramente tra i più esperti in materia Polaroid.
Da lì è partito questo mio viaggio nel mondo della fotografia istantanea.
Altro punto di svolta è stato il lockdown causa pandemia. Non ero più libera di uscire a far foto, dovevo far qualcosa per sfruttare quello stare forzatamente a casa. Così ho dedicato un piccolo progetto a Gilbert Garcin, che mi aveva colpito forse proprio per il suo modo di reinventare la normalità, stravolgendola attraverso un gioco splendido di proporzioni.
Ed ecco che è nata “MiniMe”, una serie di autoritratti che si ritrovano tra fiori giganti come se una mattina si fossero risvegliati a Lilliput.
Ed arrivano poi le prime manipolazioni, cosa che fino a quel momento avevo sempre visto come qualcosa di cui non avevo bisogno.
Sbagliavo… avevo già iniziato col dipingere le Polaroid, ma non era abbastanza.
Nelle tante ore libere poi andavo su Instagram che ha cominciato a mostrarmi pagine dedicate alla storia dell’arte… Una, due, dieci e mi sono accorta che all’improvviso ero sempre più affamata di quelle immagini…
La mia testa ha cominciato ad elaborare quelle opere, dovevo fare qualcosa. OK ci sono: quadro + Polaroid.
E si riparte con lo studio…
Da li ho cominciato a fotografare scenari o persone che potessero entrare a far parte del quadro che avrei voluto “completare” non perché ne avesse bisogno, ma piuttosto come tributo per restituirgli almeno un minimo di quelle sensazioni che mi aveva dato.
Ho iniziato con i classici come Monet e Van Gogh, sono passata ad artisti anche meno conosciuti ma non per questo meno interessanti.
Al momento ho circa 140 polaroid di questi “collage”, ma temo che sia un numero destinato a salire, visto che continuo ad essere attratta in maniera compulsiva da queste opere che hanno fatto parte della storia dell’arte.
Arriviamo al 2022…riprendono i miei piccoli viaggi…
Arriva il caffè e nascono le cartoline (Postcards): un anno raccontato attraverso il finestrino di un treno o di un autobus che mi ha portato alla scoperta di nuove città, conoscenza di nuove persone o semplicemente a rivedere dei miei vecchi amici.
Ho incontrato artisti che non fanno foto ma tutt’altro, come pittori, scultori e ho visto mostre dove l’unica fotografia era la locandina dell’evento.
Ognuno di loro mi arricchisce con quella loro visione del mondo così lontana dalla mia.
Quindi metabolizzo il tutto, prendo la mia macchina fotografica e “faccio foto”.
Dato che fai molte elaborazioni nelle tue Polaroid, me ne puoi un poco parlare?
“Ho iniziato con il “semplice” colorare la Polaroid. Inizialmente con pennarelli indelebili ,fino ad arrivare ad inchiostri Ecoline.
Sono passata per timbri e trasferelli per sopperire al mio non saper disegnare come vorrei.
Poi sono iniziate le trasparenze, in pratica è come, paragonando a Photoshop, se l’immagine fosse su un livello separato dallo sfondo.
E ancora l’ammollo in acqua ossigenata o ammoniaca a seconda dell’effetto voluto, fino ad arrivare al caffè.
L’emulsion-lift mi permette di trasferire il positivo su altri supporti, tipo il soldato della polaroid “lettere dal fronte” o la serie della madreperla.
Sono in continua sperimentazione, credo sia complicato spiegare tutte queste tecniche, certo si vedono i risultati e forse si può immaginare”.
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Grande Ketty!