Per non affidarsi solo al fattore C

Per non affidarsi solo al fattore C

“Esco, vado a fare un servizio”. “Un servizio?” Eh già, si chiamava servizio, essere fotografi a suo tempo voleva dire realizzare servizi su commissione. Salvo i pochi bravi che si potevano permettere di lavorare in un solo settore molti, come me, hanno fatto un poco di tutto. In modo più o meno decente. Se la cavavano in ogni situazione, ove invece il fotografo esperto nello still-life di pentole, con banco ottico e luci varie, magari se lo sbattevi in strada con una reflex riportava foto orrende. Quella del fotografo tuttofare era la tipica situazione nella quale si trovavano i fotografi di paese, se vogliamo anche di quartiere, nelle città.

Spesso si tramandavano la “bottega” di generazione in generazione, il padre insegnava al figlio, il figlio apprendeva facendo. Riassumevano in se la storia del paese ed anche l’evoluzione di fotocamere e materiali sensibili. Archivi interessantissimi. Si andava alla loro bottega per le fototessere, potevano essere chiamati per fare ritratti di famiglia, cerimonie, feste patronali, comizi, propaganda elettorale. Poteva essere anche la polizia a chiamarli, quando magari c’era un morto suicida, altre volte poteva essere per pubblicità di una ditta piccola ditta locale o per l’inaugurazione di un negozio o un edificio pubblico. Se non c’era nulla da fare se ne andavano a zonzo per il loro paese, fotografando scorci architettonici, vita di paese. Erano notissimi in paese, sconosciuti altrove. Oggi la notorietà è teoricamente a portata di tutti, basta aprire un account su FB, un instagram, un sito personale, e iniziare subito ad agitarsi trai i social, per uscire in un attimo dal proprio normale ambito socio/culturale e geografico… Ma i fotografi hanno poco lavoro.

Si insinua in me il dubbio: Non è che i molti fotografi che si lamentano di non lavorare in sostanza non sanno fare una cippa?

O per dirla in modo meno crudele, oggi sono pochi i fotografi che sanno usare sufficientemente bene tutti i mezzi tecnici ed espressivi e di conseguenza molti non possono e/o non sanno offrirsi a 360 gradi.

 

© Giorgio Rossi. Pennino.

 

Il mestiere, tramandato generazionalmente è per lo più inesistente, non si può per lo più nemmeno iniziare andando gratuitamente, o per pochi sudatissimi soldini, a fare l’assistente di un bravo fotografo. I costi di una assunzione anche “pro tempore” sono talmente elevati da costringere i professionisti a rinunciare all’assistente. Sono anche molto cambiati i mezzi tecnici, per esempio, in era analogica era indispensabile avere un assistente anche per fare foto di matrimoni. I materiali sensibili avevano nel colore una sensibilità massima di 160 Asa, era praticamente impossibile lavorare in chiesa senza un flash, quasi sempre un assistente porgeva la luce di un flash d’appoggio. Le fotocamere digitali odierne permettono di avere buoni risultati anche a Iso alti, si preferisce scattare senza flash, da soli, non c’è alcun motivo che spinga ad imparare a usare il flash. Ma in definitiva cos’è il lavoro di fotografo… Professione? Artigianato?

Per lo più le professioni esigono un corso di laurea di almeno tre anni. Esistono corsi di laurea in fotografia, triennali.

Allo IED “i corsi triennali in Arti Visive forgiano professionisti in grado di gestire arte, video, sound, fotografia, grafica, illustrazione, motion graphic, animazione 3D, interaction design, arti performative e installazioni interattive. I diplomati IED posseggono quelle competenze necessarie per tradurre un concept attraverso colore, forma, spazio. L’offerta formativa triennale IED Arti Visive in Italia combina l’approccio umanistico con la sperimentazione. Il Diploma Accademico di Primo Livello è riconosciuto dal MIUR ed è equiparato ai titoli di Laurea di I Livello rilasciati dalle Università.”

Insomma il livello di studi, l’impegno richiesto, è analogo a quello di un qualsiasi corso di laurea breve. Si può uscire veramente preparati, se si hanno doti necessarie, anche se poi ovviamente ci vogliono altre doti per iniziare a trovare lavoro.

Esistono anche corsi di 12 mesi per imparare a fare l’idraulico. Prova a telefonare all’idraulico, se hai una vera urgenza e se sei fortunato, verrà a trovarti dopo due o tre giorni.
Prova a telefonare a un fotografo per avere un servizio, in genere ti riceverà entro due o tre.
Professione ed artigianato, studio e pratica, ma non bastano, bisogna sapersi muovere e raggiungere quel “quid” che fa la differenza tra la tua fotografia e quella di un qualsiasi altro fotografo,

L’ascensore per la celebrità non esiste e il fattore “C” può aiutare solo “una tantum”.

Ma allora come fare? Posso provare a dare qualche consiglio da fotografo “fai da te”, quale sono stato per almeno 30 anni.

  1. accorgersi dei propri errori.
    Esistono errori tecnici ed errori di “comunicazione”. Un errore tecnico può essere poco visibile a monitor ma risultare evidente in stampa. Se si consegna un file di una fotografia a un committente passerà poi nelle mani del tecnico che provvederà alla stampa tipografica. Se questo tecnico riscontra un errore non rimediabile che porterebbe a una stampa mediocre lo farà presente e si perderà un possibile cliente. Negli errori di “comunicazione” il cliente pensa, a torto o ragione, che la tua foto non risponda a quello che desiderava comunicare, ha comunque ragione lui, è del tutto inutile che il fotografo si appigli alla propria visione artistica. Una fotografia deve arrivare, stabilire un ponte con l’osservatore. Se non arriva può essere più o meno grave, inutile iniziare a dire che l’osservatore deve avere cultura, saper leggere una immagine. Se si ha sufficiente autocritica si possono correggere i propri errori, ed eventualmente ripetere gli scatti prima di consegnare un lavoro. Può essere utile consigliarsi con altri amici fotografi, nei quali si riconosca esperienza e competenza. Non è indispensabile che siano dei “luminari”, dopotutto non si va da un luminare medico per un raffreddore.
  2. accorgersi del problema.
    In fondo ogni scatto implica la soluzione di un problema. A volte sono assai semplici, altre volte meno. Siamo talmente abituati a prendere e scattare con una digitale che quasi non facciamo attenzione alle impostazioni di scatto. l’esposimetro manuale legge in EV, i valori luce, ti mostra tutte le coppie di tempo e diaframma per una certa sensibilità impostata, ti invita a scegliere la coppia più opportuna in relazione al movimento del soggetto e alla profondità di campo desiderata.

 

© Giorgio Rossi.

 

Ma questi sono problemi minimi. Vi racconto un piccolo aneddoto. Lavoravo tra altri per un giornale di pets. Capito in redazione, e mi dicono che la settimana dopo avrei dovuto fotografare una coppia di canarini campioni. Torno a casa e inizio a pensarci, non è cosa del tutto facile. Ovviamente saranno in gabbia mentre li fotografo, però non si dovrebbe vedere la griglia della gabbia. Decido di acquistarne una e tagliare con le tronchesi la griglia anteriore, la sostituisco con un perspex trasparente, sulla parete posteriore metto un foglio di cartoncino, lievemente dipinto per imitare il cielo, poi qualche rametto all’interno. Faccio prove di illuminazione con una coppia di flash a torcia con ombrellino riflettente, ok tutto bene, è tutto pronto. Il giorno prestabilito vado all’appuntamento, infiliamo la coppia di canarini nella gabbia, esposimetro, carico la fotocamera con Velvia 50 Asa, scatto. Tutto bene quando ritiro i rullini, vengono pubblicate. Unico problema ho chiesto un poco di più del normale. La volta dopo, sempre per una coppia di canarini dalla redazione decidono di inviare un altro fotografo. Usa la gabbia dove vivono normalmente i canarini, illuminata da quarzi da 1000. Non fa a tempo ad arrivare in redazione che arriva una telefonata dall’allevatore dei canarini. Sono entrambi deceduti per il calore delle lampade, chiede di essere risarcito, una coppia di canarini campione costa assai. Le foto sviluppaste risulteranno impubblicabili a causa delle ombre della griglia della gabbia. Va bene, non capita in genere di fotografare canarini.

Dovete fare dei ritratti? Studiateci a lungo, i classici esempi di schemi di luce servono poco, non iniziate subito con tre fonti di luce e mille accessori, strip, diffusori spot, ombrellini e quant’altro, imparate a usare prima una sola luce, poi due, infine tre se servono. Ogni luce provoca un ombra e ombre incrociate o a baffetto hitleriano non sono gradevoli. Non commettete l’errore di fare foto presso un cliente se non siete più che sicuri di quello che state facendo, dovete essere disinvolti ma concentrati, vedervi cincischiare tra ammennicoli vari provoca nel cliente una pessima impressione.

Dovete fotografare del food, delle bottiglie di vino, delle posate, attenzione cercate dei tutorial non sono soggetti facili. Ci sono specialisti che lavorano solo in questi settori

Non dico che dobbiate essere alla loro altezza, ma almeno dovete raggiungere un risultato discreto.

Questo è il minimo tecnicamente parlando, in più dovrete cercare, se possibile, di metterci un pizzico di creatività che evidenzi la differenza del vostro lavoro. ( lo so, la forchetta era sporca, ma non è un lavoro è un giochino, le altre foto sono pessime riproduzioni delle foto pubblicate).

 

© Giorgio Rossi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Alert: Contenuto protetto!