Sono passati oltre 40 anni da quando ho iniziato a scattare con una fotocamera, o prendere fotografie come diceva Ando Gilardi eppure anche dopo l’evoluzione epocale da fotografia analogica a digitale nulla o quasi è cambiato. Le discussioni che si accendono intorno alla fotografia sono identiche nonostante da più parti siamo invitati ad una fotografia consapevole.
Direi però che più che intorno alla Fotografia le discussioni si accendono intorno al mezzo, la fotocamera. Un quesito che affascina da sempre: il tale aggeggio è PROFESSIONALE? Per fortuna che che su questo argomento interviene di solito l’esperto di turno: professionale è lo strumento che serve ad esercitare la professione.
Anche se come martello è fortemente consigliabile un martello a norme DIN (Deutsches Institut für Normung)
Diradato questo dubbio angosciante ne sorgono altri. C’è chi si chiede: perché esiste una rotellina di selezione PASM in quasi tutte le fotocamere digitali professionali?
OK, tutti sanno che si tratta del selettore per l’esposizione. Può essere del tutto automatica (P) , se la fotocamera sceglie sia il tempo che il diaframma, automatica a priorità di diaframma (A), di tempo (S) o completamente manuale (M). A queste letture automatiche dell’esposizione si è aggiunta da qualche anno la possibilità di esporre in Auto Iso. Praticamente la fotocamera può scegliere autonomamente anche la sensibilità da impostare in relazione alla luce ambiente. Questo per quanto riguarda il cosi detto triangolo dell’esposizioe: tempo, diaframma, sensibilità alla luce.
Ma non basta, perché anche la lettura dell’esposizione può variare in relazione a suo modo di leggere e interpretare la luce. Con un esposimetro esterno si può “leggere” in luce incidente o riflessa.
Gli esposimetri delle fotocamere leggono solo la luce riflessa da un soggetto, non può essere che così, ed è anche un problema perché non tutti i colori assorbono e riflettono in modo analogo la luce. Quindi bisognerebbe tenerne conto fotografando una superficie rossa o verde. Ma non basta ancora perché in un esposimetro interno può variare anche l’angolo di campo al quale è più sensibile alla luce e la sua posizione. Può essere media, spot, media ponderata al centro e addirittura anche matrix. Ora non venitemi a chiedere cosa sia la lettura matrix, io so solo che non è all’amatriciana e ne ho sempre diffidato, forse a ragione, forse a torto vai a sapere.
Autorevoli voci dicono che sia il modo di lettura più efficace.
Come se non bastasse c’è anche il problema di dove posizionare in punto di messa a fuoco preciso, può variare anche in funzione del diaframma impostato. I fattori in gioco non sono pochi. Praticamente è come se ti dessero le chiavi di un’automobile, senza aver fatto nemmeno una lezione pratica, e ti dicessero: ok vai!
D’accordo che c’è il libretto di istruzioni della fotocamera, ma mica possiamo digerire 100 e passa pagine prima di iniziare a fotografare! Molto utile è un amico già esperto che ti guidi passo passo a conoscere e sopratutto a capire. In mancanza dell’amico anche un corso base di fotografia può essere utile. Sarebbe molto utile alternare in continuazione tecniche apprese ed esperienza sul campo, procedendo per gradi. Ho iniziato con una Rolleicord ed esposimetro a mano. L’esposimetro a mano, analogico, con l’aghetto che oscilla e dà la lettura, è un ottimo modo di iniziare.
La lettura viene espressa in EV.valori esposizione. Praticamente per ogni sensibilità della pellicola impostata si legge un valore luce al quale corrispondono una serie di coppie diverse di tempo e diaframma che producono una analoga esposizione alla luce della pellicola o del sensore. Come si vede dalla tabella, per 100 ISO, se l’esposimetro rileva EV 12 le coppie, segnalate in giallo, che producono una analoga esposizione variano da 1/4000 di sec. f.1.0 a 1sec. f.64. Si tratta dunque di scegliere la coppia più adatta in relazione alla profondità di campo desiderata e al movimento del soggetto ripreso.
Da quando ho iniziato a lavorare professionalmente ho sempre alternato fotocamere 24×36 con esposimetro interno a medio formato con esposimetro a mano.
Per tutta la mia vita da fotografo ho avuto come fedele compagno il Lunasix 3, ed è stato utile per imparare scegliere l’esposizione che ritenevo più opportuna sempre pensando alla profondità di campo desiderata, che per me era importante più del tempo di esposizione dato che fotografavo soggetti fermi.
Gradualmente sono entrate in produzione fotocamere 24×36 con preselezione del diaframma o del tempo d’esposizione. Nel 1981 uscì la Canon AE program, con program scritto per intero sulla ghiera dei diaframmi, credo sia stata la prima con tale programma di esposizione. Oggi Pasm, matrix, messa a fuoco automatica e quant’altro sono disponibile su praticamente tutte le fotocamere anche professionali. Il motivo è semplice. Questi automatismi possono essere utili e in genere mettere un automatismo in più costa poco. Però bisogna capire bene come funzionano, in sostanza ogni automatismo ti propone qualcosa, sta a te capire se in quel frangente quello che propone va bene, non è del tutto facile senza esperienze pregresse. In ogni caso aver iniziato gradualmente esponendo completamente in manuale aiuta a capire a fondo il triangolo dell’esposizione e quello che attiene alla profondità di campo, che è ovviamente correlata al diaframma impostato. Avendo maturata l’esperienza si possono tranquillamente usare gli automatismi d’esposizione anche in campo professionale. Non esiste un unico modo professionale, non c’è una unica soluzione valida, chi lo afferma vi sta insegnando una cosa sbagliata. Si può scegliere di lavorare in P ed essere assolutamente professionisti come si può esserlo lavorando in manuale, non fa alcuna differenza. Per esempio Kevin Mullins noto fotografo professionista di matrimoni, spiega che lui scatta sempre in P.
Dobbiamo dunque scattare tutti in P? Altri ci spiegano che si esposimetra solo in tutto manuale. Hanno ragione?
Ognuno sceglie quello che gli sta più comodo anche se non è detto che la sua scelta sia valida per altri.
Qualsiasi automatismo si adotti nel mirino o nel display è evidenziato normalmente il diaframma e il tempo, che sia scelto dalla fotocamera in automatico, o che sia stato impostato manualmente. Parimenti se si scatta con una mirrorless nel mirino è possibile visualizzare l’istogramma e vedi direttamente i colori e contrasti che verranno nella fotografia ancor prima di aver fatto click. È facile rendersi conto di come anche 1/3 di diaframma in + o – dia luogo ad una immagine totalmente diversa per contrasto e densità di colori. È altrettanto facile accorgersi osservando l’istogramma se i bianchi sono sovraesposti e bruciati. Bruciare i bianchi in fotografia digitale significa che nella zona di forte sovraesposizione non c’è segnale, e se non c’è non può essere ben ricuperato nemmeno lavorando un raw. Si può fare qualcosa, ma non più di tanto. Meno grave è chiudere le basse luci, lavorando in post-produzione si riesce abbastanza a ricuperare le ombre troppo chiuse. Cosa vuol dire in pratica?
Vuol dire che l’esposimetro ti da valori d’esposizione che sono in genere mediamente corretti ma forniscono un risultato appunto medio o standard che dir si voglia. E possono addirittura fornire dati totalmente sbagliati in alcune situazioni di luce come per esempio in forti controluce. A volte basta personalizzare un poco l’esposizione, anche 1/3 di diaframma cambia molto, non per nulla la rotella della staratura intenzionale di esposizione è compresa in genere tra + 3 e – 3 diaframmi.
Un articolo di Efrem Raimondi del 4 settembre 2014 ha per titolo “FORSE”
“…. Salvo in casi estremi o immediatamente pratici, tipo “Vuoi del bourbon?”
O sì, o no.
Forse, non è una risposta…
In fotografia, essendo un altro mondo, una realtà parallela ma in quanto tale non coincidente, FORSE è la condizione.”
La fotografia vive di forse, di trail & errors, è possibile tutto e il suo contrario, non esiste una ricetta giusta e una soluzione univoca, ahimè molti giovani vogliono certezze e le cercano in chi pare offrirne con ostentata sicumera. E tra parentesi saper usare ancora la regola del 16 sarebbe più importante del sapere usare un esposimetro spotmeter.
Qualche esempio per spiegare fotograficamente:
la fotografia di una clementina ammuffita, dati exif: lunghezza focale 27mm su apsc. L’illuminazione era da una piccola torca con un led, dava una dominante fredda ma mi stava bene, pochissima luce ambiente. Macchina in mano non su cavalletto, perché son pigro e non mi va di tirare fuori il cavalletto per fare una foto se non serve. Dovevo avere sufficiente profondità di campo, riuscire a farla ferma. Iso 800, T 1/9s contando sulla stabilizzazione dell’ottica. Diaframma 5,6 impostato in AE il tempo era di conseguenza. Orientamento dell’esposizione a -0,7. Quindi rispetto all’automatismo ho sottoesposto di quasi un diaframma, o per meglio dire di un tempo. Perché? Perché fermo restando il diaframma impostato in AE l’esposimetro della fotocamera avrebbe impostato un tempo più lungo, impossibile tenere ferma la fotocamera. Così è venuta leggermente sottoesposta ma se fosse stato più lungo il tempo di scatto i colori sarebbero venuti troppo chiari se non sovraesposti.
Analogamente per il caffè l’esposizione AE è a + 1,3. Per le bottiglie a – 1,3. Strada con pali + 0,7. Una bella differenza da quello prescritto dall’esposimetro della fotocamera, eppure stanno nel range dei 0-255 senza sbordare. Prendendo il giusto tempo per esporre come si preferisce poi non c’è bisogno di lavorarle in post-produzione, vengono come si è previsto.
Morale? Prima di scattare la foto, a monte per l’esposizione c’è un ragionamento, semplicissimo e rapido, derivato dall’esperienza, ci sono delle motivazioni che lo sostengono, ovvio non è l’unico ragionamento possibile ma solo quello che ho preferito. Morale bis ? Non esiste un modo giusto di esposimetrare e nessun esposimetro darà mai l’esatta esposizione in funzione di quello che si cerca da una immagine.
Lascia un commento