Eh,, davvero non è facile definire cosa sia un progetto fotografico, o un progetto in generale. Quando, come, da dove nasca.
Direi che nasce da una intuizione. Da un qualcosa che colpisce i nostri sensi.
Ma subito occorre cercare di definire cosa sia una intuizione.
L’intuizione in filosofia indica quel tipo di conoscenza immediata che non si basa sul ragionamento o sulla conoscenza sensibile.
Quindi un qualcosa ci colpisce, urla alla nostra sensibilità, richiama il nostro interesse, entra in noi, attraverso i nostri occhi, o le nostre orecchie o forse il nostro tatto, ci provoca comunque uno stimolo sensoriale, spesso anche emotivo.
Il termine intuizione deriva dal latino intueor (composto da in = «dentro», + tueor = «guardare», cioè «entrar dentro con lo sguardo»).
Cosa c’è di più bello per un fotografo di una intuizione?
L’intuizione rappresenta una forma di sapere non spiegabile a parole, si rivela per lampi o bagliori, come una lampadina che si accende improvvisamente.
Certo spesso quel qualcosa era già parzialmente dentro noi, quindi la riconosciamo fuori di noi. Penso sempre che si possa fotografare solo ciò che si riconosce, altrimenti quel qualcosa non attirerebbe la nostra attenzione, non saremmo in grado di vederla, di percepirla.
Da una intuizione può nascere un’idea… che è una sorta di formalizzazione a livello più consapevole di quello che percepiamo o di cui abbiamo avuto esperienza, diventa un criterio in base al quale noi “giudichiamo” o tendiamo a dare una personale interpretazione e un ordine alla realtà che percepiamo, per comprenderla meglio, per farla in un certo senso nostra.
“Mi sono fatto l’idea!”…
Ma quando è che un idea nasce veramente dentro di noi? Quand’è che invece la accogliamo e la facciamo propria senza averne avuto esperienza diretta e personale?
Una volta si conosceva solo quello di cui si aveva esperienza diretta, oggi conosciamo o pensiamo di conoscere molte cose delle quali non abbiamo mai avuto e forse mai avremo esperienza diretta. Sappiamo più o meno quanto è grande e come si muove un elefante, magari non le abbiamo mai visto uno dal vivo.
Su questa faccenda bisogna ragionare non poco. Un’idea, sia che nasca davvero in noi, sia che venga semplicemente da noi accolta ed accettata, può essere l’inizio di un pregiudizio.
Spesso esiste un nesso, un rapporto, sta a noi indagare sul possibile rapporto tra due cose o due accadimenti contigui nello spazio o nel tempo. A volte non ce lo sappiamo spiegare, accettiamo per buono che un rapporto ci sia, senza chiedercene il perché.
Spingiamo su un interruttore e una luce di accende….
Oh MAGIA!…. Eh sì, il pensiero magico è una forma mentale che distingue il funzionamento cognitivo infantile.
Questa forma di pensiero non abbandona mai del tutto la mente umana, spesso tracce del pensiero magico infantile si trovano anche nel pensiero adulto quotidiano.
Derivano dal porsi acriticamente di fronte ad un possibile nesso causa/effetto. Quindi un’ idea, espressa attraverso un progetto fotografico realizzato, per essere veramente condivisibile ed interessante per altri dovrebbe arrivare, essere riconoscibile anche visivamente. Se ne dovrebbero cogliere i nessi causa /effetto.
Può essere che sia necessario spiegare un progetto fotografico anche a parole, possono essere un utile complemento. A volte c’è uno scollamento tra una spiegazione assai cervellotica e complessa e quello che ognuno può rilevare osservando le foto di un progetto.
Può essere che sia l’osservatore a non essere all’altezza di comprendere, può anche essere che il fotografo si sia espresso male, o a parole o fotograficamente.
Quindi prima di diffondere un progetto ad un pubblico più ampio sarebbe spesso opportuno che il fotografo ne parlasse e si confrontasse con altri fotografi amici o esperti obiettivi. Insomma un progetto andrebbe sottoposto a verifica, per capire se può arrivare all’osservatore, essere compreso, suscitare qualcosa.
Certo un progetto andrebbe pianificato, condotto attraverso step, dall’intuizione all’idea, da questa al progetto, dal progetto alla realizzazione finale. Accade spesso, per inveterata abitudine, di parlare di progetto mentre osserviamo la realizzazione finale.
Alla fin fine all’osservatore quello che arriva è la realizzazione finale, l’iter progettuale è certo importantissimo per il fotografo, non è detto che sia altrettanto importante per l’osservatore.
Naturalmente c’è progetto e progetto. Ci sono progetti che durano una vita, come quello che porta avanti Salgado, ci sono progetti che possono continuare per anni, come “Il Muro”di Francesco Cito.
A volte un progetto continua diciamo così sotto traccia, mentre si fa altro, e ogni tanto si aggiunge un nuovo tassello, qualche nuovo scatto. Un progetto può essere quindi diacronico, dipanarsi lungo la linea del tempo.
È quello che viene spiegato in modo meraviglioso nel film Smoke (le fotografie del mio angolo)
Un progetto può anche essere almeno parzialmente sincronico (dico parzialmente perché ovviamente non si possono scattare contemporaneamente più fotografie in luoghi diversi), raccontare uno stesso momento in un unico luogo, ma visto da angolature diverse, oppure spiegare cosa avviene alla stessa ora in posti diversi.
Può anche essere che si tratti di una sequenza di immagini in relazione tra loro ma senza una precisa collocazione nel tempo.
Eppure anche in un progetto del genere può esserci, se non un tempo, un ritmo, un crescere e calare, un modulare diversamente le sensazioni che si intendono comunicare.
Dolcezza, allegria, ansia, paura, ecc
Un progetto può anche svilupparsi seguendo le tre unità aristoteliche che hanno caratterizzato il teatro greco.
Unità d’azione: la tematica affrontata ha uno sviluppo unitario, si riferisce ad un unico avvenimento, la situazione iniziale e quella finale sono collegate da una sequenza di eventi che seguono il meccanismo causa–effetto.
Unità di luogo: il progetto si svolge in un unico luogo.
Unità di tempo: il progetto deve svolgersi in un arco di tempo prefissato, non oltre una giornata, altrimenti si scivola nel diacronico.
Nell’unità di luogo e tempo è tuttavia difficile raccontare visivamente eventuali antefatti.
Quando si passa da un’intuizione all’idea e da qui ad iniziare la realizzazione di un progetto siamo ancore in una fase preliminare.
Non si può prevedere tutto sin dall’inizio, occorre un po’ di “rodaggio”.
È come un testo che desideriamo scrivere, lo abbiamo in mente ma è tutto ingarbugliato.
Solo scrivendolo si definisce, ci diventa chiaro.
Scrivere qualche riga su quello che desideriamo realizzare aiuta spesso a definire un progetto fotografico, poi è buona cosa iniziare a scattare qualche fotografia. Può essere che siano solo un’ombra, che non raggiungano esattamente quello che cerchiamo, ma aiutano a procedere a definire meglio il campo. Il perché e il come.
Dinnanzi a noi abbiamo miriadi di possibilità espressive. Ne dovremo scegliere alcune, scartarne molte altre, mettere un bel po’ di paletti per delimitare bene il sentiero. B/N , colore, digitale, analogico, inquadrature verticali, orizzontali, formato e obiettivi di ripresa, tipo di sviluppo o post-produzione, numero degli scatti sino ad arrivare a scegliere come vorremo diffondere il nostro progetto e quale debba essere l’aspetto finale se intendiamo esporlo o pubblicarlo.
In questa fase, ancora preliminare, è bene realizzare delle piccole stampe, ci aiuteranno a indirizzare meglio il tiro.
Anche procedendo sarà bene stampare in piccolo formato tutti gli scatti che riteniamo possano essere utili, avremo tra le mani qualcosa di concreto, ci sarà più facile dare ad una sequenza un ordine e un ritmo. Come detto ci sono progetti molto ampi, come quelli di documentazione, richiedono ovviamente più scatti perché la tematica sia affrontata in modo esaustivo.
Tuttavia spesso ci si innamora troppo del nostro progetto, si continua senza riuscire a chiudere, a dargli un taglio definitivo. Una pubblicazione o esposizione, una precisa scadenza può aiutare a chiudere. Il più delle volte è assolutamente necessario riuscire a chiudere. Anche per potere andare avanti verso altri progetti, mete e direzioni. Un brodo troppo allungato diventa insapore. Troppe foto di un progetto in una esposizione rischiano di evidenziare pesanti cali di qualità/intensità e sopratutto di annoiare un possibile ed auspicabile pubblico.
La capacità di sintesi è importantissima. Perché dire in un volume quello che si può dire in una pagina? Dieci foto, al massimo venti, sono il più delle volte più che sufficienti per “dipanare” bene moltissimi progetti.
Faccio un esempio pratico, mi piace parlare di fotografia con le fotografie. Un piccolo progetto diacronico sul fiume Marecchia. Avevo già scattato qualche foto in inverno, ora a fine estate dovevo completare gli scatti. Avevo in mente come avrei esposto il progettino. In catini di ferro smaltato sui gradini di un giardino, in occasione del “Semplicemente Fotografare Live” di settembre.
Dentro ai catini avrei messo sassi e l’acqua del fiume. Le stampe le avrei realizzate su carta formato A4, ink-jet economica. Sarebbero state parzialmente immerse nell’acqua per tutta la durata della esposizione. 4 gradini, ogni gradino un a stampa a sinistra e una a destra, una stampa in più sul gradino superiore a chiudere il percorso, quindi in totale 9 nove scatti, nove stampe. Così è stato.
Mi piaceva l’idea che l’osservatore si chinasse a guardare le fotografie, ci passeggiasse “dentro”. Fosse in in un certo senso attivo, soggetto partecipe e “immerso” nelle fotografie, non semplice osservatore di fotografie appese in cornice su un muro.
“Ma si rovineranno?” “Certo, non rimarranno, come l’acqua del fiume che scorre, non rimane ferma lì!”
Bellissimo articolo