Luigi Ghirri sarebbe potuto nascere in Sicilia?
La fotografia tra sensibilità ed emotività.
Forse mi faccio domande bizzarre, d’altra parte fa parte del mio modo di essere pormi domande e inseguire pensieri sbilenchi. Mi chiedo come mai piaccia tanto Ghirri, sopratutto in Italia. Non che a me non piaccia, mi piace moltissimo, mi chiedo tuttavia perché (mi) piaccia così. In fondo parlare di lui è un pretesto per un discorso più ampio, mi intriga cercare di analizzare cosa siano sensibilità ed emotività, per l’autor e per lo spectator, come li definiva Roland Barthes in “Camera Chiara”.
Si può pensare che sensibilità e reazione emotiva siano doti indispensabili per un fotografo, molto simili tra loro, provo a distinguerle.
La sensibilità (dal latino sēnsibilitās) nel campo della filosofia e della psicologia, così come negli studi letterari e nel linguaggio colloquiale, denota una particolare capacità di provare emozioni, stati d’animo e sentimenti, dovuta a un’intensa ricettività nei confronti dell’ambiente esterno o delle altre persone, indotta da empatia, simpatie, intuizioni, impressioni, percezioni sensoriali.
Si riferisce alla nostra soglia davanti agli stimoli in entrata. La sensibilità è la predisposizione a risentire gli effetti anche degli stimoli più blandi dal punto di vista sensoriale, emotivo, relazionale. Anche gli stimoli più flebili possono avere un effetto per le persone sensibili: la scena di un film, un ricordo, una frase. La sensibilità permette una delicatezza e una capacità di sentire quello che accade, e indica spesso una maggior responsività alle sollecitazioni anche più fini.
Più complesso è definire cosa sia l’emozione (l’emotività).
Il termine deriva etimologicamente dal latino emotionem, a sua volta derivato dalla sostantivazione di emotus, participio passato del verbo emovere, nel significato di trasportare fuori, smuovere, scuotere (da cui anche “scosso”). Emovere è a sua volta composto dal prefisso e- nel significato di “da”, moto da luogo, e da movere, nel significato di agitare, muovere.
Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. Secondo la definizione della Associazione Psicologica Americana, l’emozione è un modello fenomenico complesso, di natura reattiva, che coinvolge varie esperienze soggettive, sia di natura fisica (comportamenti, riflessi, attivazione fisiologica) che psicologica (esperienza soggettiva, processi cognitivi), non sempre a livello consapevole. Si tratta di un modello funzionale evolutosi per fronteggiare fenomeni o eventi con il quale un organismo entra costantemente in relazione significativa.
La teoria delle emozioni secondo Richard Lazarus postula che un’emozione è la risultante dinamica di quattro processi distinti ma interdipendenti: valutazione, fronteggiamento, flusso di azioni e reazioni e attribuzione di significato alla relazione tra soggetto e oggetto (detto anche significato relazionale)
Per emotività si intende la capacità di provare emozioni più o meno facilmente a fronte di uno stimolo: un’immagine, un fatto, un racconto, qualcosa che ci succede. Dentro l’emotività troviamo le reazioni in tutti i loro aspetti: reazioni neurologiche, sensoriali, cognitive che sentiamo davanti agli eventi di vita ma anche il modo in cui manifestiamo le nostre reazioni con il comportamento. Per il benessere dell’emotività sono fondamentali flessibilità, consapevolezza e apertura verso le proprie difficoltà e la possibilità di cambiare.
La regolazione emotiva è così importante perché ci aiuta a capire cosa stiamo provando e perché e come gestire le nostre emozioni. Essere di-sregolati emotivamente può farci sentire in balia delle nostre emozioni oppure provocarci reazioni impulsive.
L’emotività si riferisce alla capacità di provare, manifestare, gestire le emozioni, la sensibilità si riferisce specificatamente all’acuirsi di tutto ciò che si può sentire.
In pratica mentre emotivi lo siamo tutti, sensibili sono solo alcuni.
Forse la nostra sensibilità è in parte innata, può comunque crescere negli anni attraverso esperienze quotidiane. È naturalmente assai importante per un fotografo riuscire a migliorare la sua sensibilità, deve imparare a VEDERE ed OSSERVARE.
Vedere è avere un’idea, andare oltre, intuire: percepire con gli occhi della mente. Osservare è custodire, considerare. Osservare, significa considerare con attenzione al fine di conoscere meglio, rendersi conto. Non occorre sempre fotografare per vedere, il fotografare è il risultato finale dell’aver visto, prima di tutto con la mente. Potrei dire che prima si vede con la mente, poi si “rifinisce” osservando nel mirino.
Dobbiamo cercare di migliorare la nostra sensibilità ma allo stesso tempo è indispensabile tenere sotto controllo le nostre reazioni emotive. Vi è mai capitato di avvertire le vostre mani sudare le dita tremare un poco mentre state fotografando in una situazione che con tutta probabilità ritenete irripetibile ed emotivamente coinvolgente? È una reazione assolutamente fisica, dettata dal vostro stato emotivo.
Certo ricordate la foto di Kim Phúc che fugge nuda, i vestiti bruciati dal napalm, quel giorno un gruppo di cacciabombardieri Douglas A-1 Skyraider dell’aviazione sudvietnamita attaccò con le bombe al napalm Trang Bang, colpendo per errore le posizioni dei soldati sudvietnamiti.
La fotografia fu scattata da Nick Ut, fotografo di Associated Press, che l’anno successivo vinse per questa immagine il premio Pulitzer per la fotografia. Successivamente si discusse molto se fosse stato “etico” scattare quella foto. Ma come, uno assiste a una situazione del genere e invece di aiutare immediatamente scatta una fotografia? Soffermiamoci un attimo ad osservare la foto.
È visivamente sfuocata. Nick Ut in una frazione di secondo scelse, probabilmente “istintivamente” di scattare la foto, senza nemmeno perder tempo a mettere a fuoco, allo stesso tempo senza farsi prendere da una reazione emotiva. Il soggetto, perfettamente centrato nell’inquadratura, è indubbiamente la ragazzina. Le cose sarebbero andate diversamente per Kim Phúc se Ut invece di perdere una esigua frazione di tempo per scattare avesse immediatamente soccorso la bambina?
Poco dopo, la bambina perse conoscenza e Ut – che allora aveva 21 anni e che aveva perso un fratello, anche lui fotografo, mentre era in servizio per Associated Press nel delta del Mekong meridionale – portò la bambina in auto in un piccolo ospedale.
Reagire impulsivamente, seguendo la propria emotività, sia che avvenga in modo passivo che esplosivo non è una strategia efficace per gestire la propria impulsività, può portare a non riconoscere i propri errori, a non trarne insegnamento per migliorare.
Eppure si fa spesso, frequentemente non c’è nessuna vera idea dietro uno scatto, c’è solo un fare click seguendo la propria emotività e, senza pensarci più di tanto, in pochi secondi l’abbiamo caricata su un social.
Pochi minuti dopo è già affondata nel gorgo nero del web. L’immagine sparisce, senza sedimentare nella nostra mente, senza costituire bagaglio, senza nemmeno venire veramente consumata, fruita un minimo profondamente. Una foto pubblicata su una rivista ci faceva compagnia per una settimana o per un mese, poteva restare con noi, immediatamente reperibile, entrava gradualmente a far parte del nostro bagaglio visivo, ci arricchiva anche culturalmente.
Mi stupisco sempre un poco nel rilevare quanto si parli spesso di una manciata di fotografi, per lo più senza contestualizzarli nel luogo, nel periodo in cui sono vissuti. Non mi meraviglio più di tanto nel leggere che Vivian Maier secondo la rivista Marie-Claire è al sesto posto nella classifica dei migliori street photographer.
Più passa il tempo più mi convinco che il rapporto con le cose del mondo (delle quali la fotografia è rappresentazione) stia diventando sempre più emotivo. L’emozionale non segue ciò che dice la ragione, è irrazionale. Il surrealismo cercava di scardinare il ragionamento, un senso comune che si attribuisce alle cose, il rapporto causa/effetto.
L’ arte concettuale successivamente fu qualunque espressione artistica in cui i concetti e le idee espresse fossero più importanti del risultato estetico e percettivo. Attualmente si può fare fotografia concettuale, sprecare parole per dimostrare che si è una persona profonda, ma è tempo sprecato.
Tutti i ragionamenti che si fanno su consapevolezza, editing storytelling, sono assolutamente giusti ma per lo più totalmente inutili, perché basati sul ragionamento, sul nesso prima/dopo ecc. L’approccio emotivo, epidermico è una sorta di stato mentale diffuso nella nostra attuale società. Anche pericoloso, può portare e porta ad atteggiamenti razzisti di omofobia ecc.
Oggi il rapporto causa/effetto non ha nessuna importanza, viviamo un rapporto magico, ci curiamo con magie. Non ha nessuna importanza che scienziati affermino un qualcosa, che abbiano stabilito che la terra e tonda come una palla o quasi.
Siamo pronti scandalizzarci per una mezz’ora, al massimo per una giornata, poi ci passa. Lo scandalizzarsi per lo più è una scelta di parte. Non ci ragioniamo su, non cerchiamo di distinguere il vero da quello che non lo è, il nostro dare ragione o torto a qualcuno per lo più non si basa su considerazioni storiche, su ragionamenti, è dettato dall’impulso del momento.
Tutto ciò si radica sempre di più in noi, diventa tifoseria. In tutto ciò ci sono mille risvolti, c’ è chi sapientemente da dietro le quinte regge burattini inconsapevoli, ne orienta l’opinione. Qualsiasi cavolata può fare presa perché punta sulle nostre emozioni, non sul ragionamento.
La fotografia non può essere altra, rispecchia il periodo che stiamo vivendo.
Ecco, è in questo quadro generale che mi sono fatto domande su Luigi Ghirri, attraversando recentemente l’Emilia -Romagna per recarmi a Dozza ( Imola) dove doveva aver luogo l’evento espositivo “Semplicemente Fotografare Live!”.
Vedevo scorrere accanto ai finestrini dell’auto il paesaggio di questa terra, rappresentata nelle fotografie di Ghirri. Parlo di terra, di provincia, non di città, non di paesaggi urbani. Casali contadini abbandonati immersi nella nebbiolina mattutina dai colori appena accennati, ovattati in uno strano sonno turbato da una moltitudine di fabbriche e fabbrichette. Mi sarei fermato ogni pochi metri a fotografare.
Colpa o merito di Ghirri che mi ha aperto gli occhi a queste possibilità fotografiche? O forse fotograferei anche di più se Ghirri questo mondo “anticamente contadino” non lo avesse mai immortalato fotograficamente?
Nel 1973 uscì uno splendido film di Fellini, Amarcord.
La vicenda narra la vita che si svolge nell’antico borgo di Rimini (San Giuliano, vicino al Ponte di Tiberio) da una primavera all’altra, nei primi anni trenta. Un anno esatto di storia, dove si assiste ai miti, ai valori e al quotidiano di quel tempo attraverso gli abitanti della provinciale cittadina.
Ripenso al nonno che si perde nella nebbia davanti a casa sua.
Mi torna in mente il pranzo di famiglia, rivedo l’albero sul quale è salito Teo e grida: “voglio una donna!”.
Rivedo quel paesaggio dall’orizzonte basso, quella piana sovrastata da un cielo che sembra infinito. Ghirri fotografò in quegli stessi anni.
Indubbiamente c’era molto di concettuale nella sua fotografia, forse più esplicitamente agli inizi, tuttavia penso che quello che oggi arriva maggiormente, che per lo più incanta e cattura emozionalmente, sia la rappresentazione fotografica di quella terra e dei suoi paesaggi.
Ghirri sarebbe potuto nascere in Sicilia? Sarebbe stato lo stesso Ghirri?
Ad ognuno la sua risposta, se si ha voglia di pensarci.
Forse è una domanda oziosa, la storia, anche quella della fotografia, non è fatta di se o di ma.
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Caro Giorgio, una interessante e stimolante lettura che affronta tantissimi temi legati alla rappresentazione o presentazione fotografica. L’ho già letto tre volte ed in ogni occasione trovo frasi su cui mi fai riflettere. Ghirri è quasi una scusa per dialogare sul nostro rapporto/modalità nel riprendere il mondo che ci circonda attraverso i paesaggi reali che vediamo e quelli mentali che si sono costruiti via via nel tempo della nostra vita. Un piccolo “breviario” a guida del nostro vedere e guardare. Devo complimentarmi con te per la lucida narrazione. Grazie
Un piccolo “breviario” del nostro semplice vedere o più profondo guardare. Si Ghirri avrebbe potuto nascere in Sicilia, così come nella penisola scandinava , la sua è un’attitudine mentale alla ripresa fotografica che è, e potrebbe essere di altri ; Guido Guidi ad esempio riesce a dare uno spaccato forse meno “empatico” ma altrettanto utile della pianura e della vita delle sue genti così come Ragnar Axelsson ci racconta del nord Europa
Ecco su questo, caro Roberto Besana, ho forti dubbi. Ghirri è frutto della sua Terra, dell’atmosfera culturale di quel periodo. Ok che sarebbe potuto nascere in Sicilia, che la sua attitudine mentale alla ripresa fotografica magari ci sarebbe stata comunque. Però il frutto della sua produzione sarebbe stato esattamente lo stesso? Non credo proprio , credo che sarebbe stato tutt’altro frutto. Però qui appunto interviene qualcosa che è del tutto esterna al fotografo, alle sue capacità ecc. Qui interviene l’osservatore col suo gusto personale, un gusto che probabilmente era già diffuso prima di Ghirri ( espresso in mille modi diversi, e nutrito da altri autori come appunto Federico Fellini con Amarcord. ) e che in Ghirri ha trovato un terreno fertile. In sostanza non credo proprio che un Ghirri assai diverso sarebbe piaciuto egualmente.
Cmq è una domanda alla quale si può rispondere solo con illazioni, aperta a ogni risposta possibile.