In questo periodo della Fotografia sono a disposizione le fotografo i più diversi mezzi per esprimersi. Tutto si mescola e contamina , analogico e digitale, pinhole e smartphone, camera oscura e Photoshop, tutto è possibile. Cresce la voglia di sperimentare. Tra i vari modi di esprimersi fotograficamente anche il formato quadrato riscuote attualmente un vivo interesse.
Vediamo dunque di approfondire il senso e le peculiarità del pensare e produrre foto in formato quadrato.
L’obiettivo proietta come si sa un cerchio perfetto sul piano di messa a fuoco, che ovviamente è il piano dove è posizionata la pellicola o il sensore. In effetti furono anche prodotte fotocamere che producevano fotografie rotonde. Per varie ragioni, prima dei tutto per la scomodità e lo spreco di superficie nella stampa, si passò oltre, si preferirono inquadrature rettangolari.
Nel disegno (anche se è alquanto impreciso, scusatemi) si osserva come viene iscritto il quadrato e il rettangolo in un cerchio. Il quadrato è un rettangolo particolare nel quale ogni lato ha la stessa lunghezza. È facile osservare come le rette che definiscono il centro orizzontale e verticale dell’immagine coincidano nel formato quadrato (proporzione 1:1) e nel rettangolo preso in esame, in questo caso il rettangolo tipico del formato 35 mm. (proporzione 3:2).
Totalmente diverse sono invece le diagonali. L’angolo iscritto nelle diagonali del quadrato è di 90° come quello tra l’orizzontale e la verticale. Nel rettangolo l’angolo iscritto nelle diagonali è in genere assai inferiore ai 90°. Ciò determina linee principali di tensione e fuga assai diverse tra i due formati.
Se immaginiamo delle immagini al posto delle due figure geometriche iscritte nel cerchio, possiamo facilmente constatare che nel quadrato, a parità di angolo di campo inquadrato in orizzontale, c’è più “cielo” e più “terra”, rispetto al formato rettangolare.
Si dice spesso che il rettangolo “racconta” di più rispetto al quadrato, ma è vero l’esatto contrario. È il quadrato a parità di angolo orizzontale inquadrato a “raccontare” assai di più, solo il formato quadrato sfrutta al massimo il cerchio di proiezione dell’obiettivo.
Se invece facciamo l’inverso, cioè “croppiamo” in post-produzione o stampa in camera oscura quadrato, un formato rettangolare per farlo diventare quadrato allora sarà indubbiamente il rettangolo a raccontare di più, perderemo nel crop molto dell’inquadratura che avevamo previsto al momento dello scatto, sino a trasformarla pesantemente e raramente positivamente.
Però OK, questa è geometria, o quasi, vediamo in pratica.
Andando a scartabellare libri di storia dell’arte si noterà che pochissimi autori e assai raramente si sono avvalsi per le loro rappresentazioni pittoriche del formato quadrato. Per lo più i ritratti sono stati rappresentati in un rettangolo verticale, i paesaggi o figure ambientate nel rettangolo orizzontale. Gli inglesi e americani, sempre orgogliosamente pragmatici, denominano “Portrait” le rappresentazioni verticali, e “Landscape” quelle orizzontali. Forse in un certo senso l’occhio umano vede rettangolare, siamo per varie ragioni più interessati alla visione periferica laterale, orizzontale, che non a quella periferica verticale. Insomma il quadrato, pur comprendendo ambedue le visioni laterali ci risulta percettivamente quasi innaturale.
Il quadrato non ha una base e un’altezza come il rettangolo, è in un certo senso formalmente ambiguo, disorientante.
Dunque perché un formato “bislacco” come il 6×6 ottenne un successo clamoroso presso fotografi professionisti di tutto il mondo?
Qualche pillolina di storia. La pellicola medio formato 120 fu creata da Kodak nel 1896. 1928 esce la prima Rolleiflex, (prodotta dalla Franke & Heidecke, poi divenuta Rollei).
Nel 1932 la Leica II a obiettivi intercambiabili. Nel 1948 esce Hasselblad 1600F, otturatore a tendina, ma è nel 1957 con il modello 500c ad otturatore centrale rimasto praticamente immutato per moltissimi anni che l’Hasselblad conosce una grande diffusione.
Perché tanto successo? Analizziamo dapprima le peculiarità in ripresa delle 6×6 rispetto alle altre fotocamere. Erano le prime fotocamere di medio formato, compatte, usabili a mano libera, altamente affidabili e con otturatore centrale. La Hasselblad ad ottiche intercambiabili.
La Rolleiflex con obiettivo fisso, in tre versioni: Rollei-Wide con ottica grandangolo (Distagon 55/4) , normale ( 75/80mm Tessar e Planar), Tele-Rolleiflex (Sonnar 135/4) , non intercambiabili, anche se c’erano aggiuntivi interessanti. Altre interessanti notizie sulle Rolleflex le potete trovare qui e qui.
Queste due fotocamere hanno in comune nella loro versione standard il mirino a pozzetto, è cosa non da poco dal punto di vista concettuale, mentale, significativo e di contenuto, dell’inquadratura. Il mirino a pozzetto delle 6×6 porta a vedere il mondo dall’altezza dell’ombelico. Questa parte del corpo umano, ricordando l’uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, è il centro della circonferenza in cui è inscritto.
Una foto scattata da questo punto di vista riduce al minimo la deformazione prospettica riprendendo altri umani di più o meno pari altezza oltre a segnare il baricentro tra cielo e terra. Il fotografo esegue l’inquadratura e la messa a fuoco osservando come compone l’immagine dentro il pozzetto, sul vetro smerigliato, e nel contempo può tener d’occhio il soggetto in modo da coglierne gli atteggiamento più espressivi e significativi. Il contatto tra il soggetto ripreso e il fotografo rimane diretto, vis-à-vis, non mediato dall’obiettivo e dal corpo macchina che si frappongono. Non a caso Rolleiflex e Hasselblad sono assai utilizzate nei ritratti.
Un altra peculiarità importantissima anche se spesso attualmente sottovalutata:
L’otturatore centrale è sincronizzabile su tutti i tempi di posa, permette di usare il flash anche in esterni con tempi brevi di scatto. Un requisito a quei tempi fondamentale dato che la sensibilità della pellicola si aggirava in quegli anni intorno ai 32/50 Asa.
Interessante anche la possibilità di usare le pozzetto alla rovescia, braccia tese in alto si poteva inquadrare sul vetro smerigliato dal basso, vedendo la scena ripresa oltre la folla che eventualmente si frapponeva ai soggetti da riprendere. Da ultimo ma non meno importante. L’immagine che si forma sul vetro smerigliato ha i lati destro sinistro invertiti. Prima di farci pratica può sembrare assai disorientante ( chi proviene dalle riprese in banco ottico, sorriderà). Tutto ciò porta a una fotografia concettualmente ed esperenzialmente diversa. Nelle pozzetto non c’è la full immersion tipica delle reflex a pentaprisma, è in certo senso uno sguardo non mediato dal mezzo. Il contatto dell’occhio fotografante con la realtà intorno è diretto e costante. Con le fotocamere a pozzetto inoltre è facile fotografare senza farsi notare dai soggetti ripresi.
Questo in ripresa, ma vediamo cosa succede al rullo sviluppato.
Il formato 6×6 in negativo B/N o colore negativo poteva essere visualizzato molto rapidamente nei provini a contatto per scegliere lo scatto migliore. Le diapositive 6×6 erano inizialmente le uniche accettate dalle riviste per venire pubblicate. Potevano essere scelte rapidamente sul tavolo luminoso, il grafico disegnava direttamente con la matita grassa sulla bustina trasparente che conteneva la diapositiva il taglio e le dimensioni per l’impaginazione.
Riviste importanti come Casa Vogue accettavano come formato minimo solo il 4×5’. Il formato 24×36 su dia venne sdoganato professionalmente dal National Geographic solo con le Kodachrome.
È un assurdità pensare che le riviste impaginando le foto ne rispettassero le proporzioni quadrate, forse solo fotografi famosi come Avedon avrebbero potuto esigere che il formato quadrato in ripresa venisse rispettato. Ma a nessun fotografo interessava passare per rompiscatole più di quanto gli importasse guadagnare vendendo le sue foto.
Quindi come inquadravano usando il 6×6? Il più delle volte sprecando spazio sul fotogramma, pensando ad una inquadratura che potesse essere ritagliata e pubblicata sia in verticale che in orizzontale.
A maggior ragione fotografavano così i fotografi matrimonialisti, nel trambusto di una cerimonia che può avere sempre un imprevisto dietro l’angolo, una inquadratura perfetta, pensata per formato 6×6 sarebbe stata quasi impossibile, e comunque sarebbe stata rifilata in stampa per sfruttare al massimo la superficie della carta sensibile.
Dunque un formato così grande per poi “sprecare” superficie sensibile della pellicola? Ma è assurdo!!!
No, non è così, anzi è l’esatto contrario. Il 6×6 contiene in un unico fotogramma almeno due inquadrature, quella orizzontale e quella verticale. Ma anche molte di più, dato che nel tagliare si può includere più terra o più cielo, più lato sinistro o più lato destro. Ho per molti anni usato professionalmente il formato 6×4,5cm su Mamiya, mi piaceva, costava relativamente poco rispetto all’Hasselblad e avevo bisogno praticamente di tutte le ottiche dal 35mm al 150mm, compreso decentrabile.
Spesso non sapendo se la foto sarebbe stata pubblicata in verticale o in orizzontale facevo ambedue gli scatti, ed ambedue in braketing esposizione per essere sicuro di avere la diapositiva perfetta. Se avessi avuto una 6×6 avrei risparmiato moltissimi scatti. Tuttavia i rullini me li forniva la ditta per la quale lavoravo, le fotocamere erano a mie spese.
Dunque studiare e sperimentare l’inquadratura in formato quadrato ha poco senso se anche moltissimi fotografi importanti lo usarono in modo più o meno approssimativo e se è per natura un formato “innaturale”?
Al contrario, essendo un formato per natura ambiguo e disorientante attrae molto l’attenzione dell’osservatore, ma obbedisce a regole di composizione diverse dalle consuete, sempre che si possa parlare di regole. Nel formato quadrato grande importanza hanno le linee di fuga e le simmetrie, più la staticità e centralità del soggetto che il suo movimento. Il quadrato ha una grande forza centripeta, attira lo sguardo dell’osservatore verso il centro che nel quadrato è spesso il fulcro dell’immagine
Dagli angoli del quadrato partono le diagonali, le vedete mentalmente anche se non sono scritte, fisicamente tracciate nel fotogramma. L’intersezione delle diagonali identifica immediatamente, a prima vista, il centro dell’inquadratura. Nei formati rettangolari le diagonali sono assai meno percepibili. Ma allora il quadrato è simmetria esasperata, pattern,equilibrio, convergenza, staticità, quiete, in definitiva possibile ripetitività, monotonia, noia, prevedibilità?
Ma no, il formato 1.:1 ha un suo fascino del tutto particolare, fermo restando che le fotografie, se si vuole davvero sperimentare il formato quadrato, devono essere inquadrate con assoluta precisione e pensate. Possono tuttalpiù essere lievemente rifinite per raddrizzare un orizzonte. Se possono essere “croppate” vistosamente senza perdere di significato vuol dire che sono state pensate poco in ripresa.
La fotografia è tutta lì, in quello che è rimasto impresso o memorizzato sulla pellicola o sul sensore, è il contenuto all’interno del fotogramma. Al contrario, particolarmente nel formato 24×36, la fotografia è non di rado quello che potrebbe continuare al di fuori della superficie sensibile, come avveniva tipicamente nelle foto di Robert Frank.
Un buono scatto 6×6 è un microcosmo autosufficiente. Però per renderlo veramente interessante, bisogna andare oltre, bisogna osare, rompere simmetrie, convergenze e diagonali. Riempire ogni millimetro dello spazio sensibile con con un segno sensato, determinante. Insomma è una palestra di composizione come ce ne sono poche altre. Se, come detto all’inizio, il quadrato può essere iscritto nel cerchio è vero anche l’opposto, il cerchio può essere iscritto nel quadrato, così anche la spirale perfetta. Un esempio pratico? Un volto in primissimo piano, trombe di scale, pozzi di San Patrizio, cupole riprese dall’interno, architetture basate sull’alternanza di andamenti orizzontali e verticali, pattern, sono soggetti più adatti al quadrato che al rettangolo. Il taglio quadrato è prettamente fotografico, allontana la fotografia dalla pittura, come si è visto i quadri quadrati sono assai pochi nella storia dell’arte.
Sin qui abbiamo parlato di simmetrie, di centralità del soggetto, di centro che attira. Ma per sperimentare veramente bisogna andare oltre. Provare a svuotare il centro, spostare i soggetti ai margini, vengono attratti dal centro ma non sono in centro, il centro è il vuoto che li attira. Si può naturalmente giocare anche sulle orizzontali , spostare in alto o in basso l’orizzonte.
Da dove inizia un paesaggio, un panorama? Inizia poco oltre la vostra punta dei piedi e si protende verso l’infinito.
Nel formato quadrato tutto ciò può essere facilmente compreso nell’inquadratura e le linee verticali restano tali.
Nel formato rettangolare, tipicamente nel 35mm, se tenete la fotocamera orizzontale e perpendicolare al terreno la zona inquadrata inizia molto più in la, non di rado si tagliano le radici degli alberi, che è come tagliare i piedi a una persona.
Insomma di motivi attraenti per sperimentare il formato 1:1 ce ne sono non pochi.
Tuttavia alcune avvertenze sono fondamentali. La ripresa va tassativamente pensata ed eseguita osservando la composizione sul vetro smerigliato o nel mirino di una analogica. Oltre alle Rolleiflex e Hasselblad si trovano ad ottimi prezzi sul mercato dell’usato una enorme varietà di 6×6 ottime.
Se volete cimentarvi nelle riprese in quadrato con una digitale, sono consigliabili le mirrorless, apsc e micro 4/3, potete impostare su 1:1 la visione nel mirino o sul display posteriore.
Mai e poi mai sperimentare il formato quadrato in post produzione con Photoshop, se vi riesce bene vuol dire che l’inquadratura al momento dello scatto era stata pensata male.
In stampa bisogna salvaguardare perfettamente il formato quadrato, anche se si spreca un poco della superficie di carta stampabile.
Fotografi che hanno lavorato solo in 6×6 ce ne sono molti, assai interessante Michael Kenna.
Da ricercare e studiare attentamente è Alberto Lattuada, sì, il regista. “1938-1948. Dieci anni di occhio quadrato.”
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