“Saltuari pensieri sbilenchi sulla fotografia”, è il titolo dei miei articoletti su Sensei, aggiungerei che a volte potrebbero risultare urticanti. Tuttavia sento la necessità di esprimerli e di farlo proprio qui su Sensei. Perché? È opportuno considerare che ogni pensiero che esprimiamo ha una valenza diversa a seconda della situazione nella quale lo esprimiamo. Possiamo farlo al bar, a tu per tu con qualche amico, sorseggiando una birra, oppure su una pagina FB, o sulle pagine stampate di una rivista che esce in edicola. Sensei è un poco a metà strada tra tutti gli attuali luoghi nei quali è possibile esprimere un proprio pensiero. Qui siamo nel dominio del virtuale, espressione della nostra attuale società. Ormai tutti i confronti avvengono nel virtuale, poi magari hanno una ricaduta nel reale. Virtuale e reale sono in rapporto osmotico. Gli articoli scritti su Sensei sono di conseguenza assai concreti, non affondano, rimangono lì, indicizzati da motori di ricerca possono essere ricuperati, non affondano nel buio della rete. Questo implica da parte di chi scrive responsabilità che non sono del tutto leggere. Implica anche studio e ricerca per cercare di esprimere un pensiero che non sia buttato lì, come un oracolo di un guru, ma sia circostanziato e approfondito. Ovvio che poi ogni lettore può dare una propria interpretazione critica, un personale valore valore a quello che legge, in ciò naturalmente è totalmente libero.
Ma veniamo al dunque. Qualche giorno or sono guardo dalla finestra, vedo al di là di piccoli giardini privati una palazzina, un auto parcheggiata, alle spalle c’è la rocca di Maiolo, sono nel Montefeltro. Mi colpisce tutto ciò , mi riporta alla mente delle fotografie di Joel Meyerowitz, i suoi soggetti che sono critica alla società americana nella quale viveva, sono espressi nei suoi colori. Penso a tutto ciò scattando la foto, e a come sia difficile tentare di estrarre l’essenza della fotografia di Joel Meyerowitz e trasportarla nella mia fotografia , nel mio “hic et nunc”. É un pensiero, riassunto in uno scatto, non ambisce a essere un capolavoro. Intitolo la foto: Blue car (omaggio a Joel Meyerowitz). Il tutto va preso con leggerezza, ho più volte giocato con le foto di Meyerowitz. Ricordo di averlo incontrato anni or sono ad Arles, alla sua mostra. Lo rivedo mentalmente nel suo bellissimo gesticolare come una piovra, nel modo semplice di esprimersi, di spiegare il suo modo di fare fotografia. Rovistando nel web trovo un suo video, bellissimo: ‘What you put in the frame determines the photograph‘ (Quello che metti nell’inquadratura determina la fotografia). È un concetto semplicissimo ma altrettanto importante, lo condivido totalmente. A dirla tutta ho più volte in diversi frangenti espresso un concetto assai simile. Per esempio nell’articoletto “The frame is the picture!” ma anche altrove. Devo naturalmente ammettere che Meyerowitz lo esprime in modo migliore, semplice, preciso, ma profondo al tempo stesso. Tuttavia in sostanza diciamo cose assai vicine.
Però se lo dice lui, o se lo dice un altro grande della fotografia, tutti esclamano “ohhhhhhh!”, rimangono estasiati, ripeteranno in seguito migliaia di volta tale pensiero, decontestualizzandolo. Diverrà buono per ogni occasione, spunterà in ogni dibattito sulla fotografia. Se lo dico penseranno “sì, sì va bene, passiamo oltre.” In sostanza non è importante COSA si dice, ma CHI la dice. Forse in parte è giusto, probabilmente in fondo è stato sempre così. Però dovrebbe esserci un poco di senso critico in chi legge, un poco di capacità di dare valore al contenuto di un discorso, non solo alla persona che esprime un contenuto. Tutto ciò può portare a una supervalutazione della persona rispetto al suo pensiero, ad innalzare tale persona alle stelle, almeno sino a quando non dice una palese sciocchezza, e può capitare a tutti. Passare dalle stelle alle stalle è un attimo. Il fulcro di questo mio pensiero sbilenco è il principio di autorevolezza, o di autorità, se esiste una differenza tra autorevolezza ed autorità, però qui rischierei di cadere nella filosofia. L’autorevolezza si basa su un semplice dato di fatto: le persone tendono ad ascoltare di più l’esperto o le figure che percepiscono più autorevoli in determinati contesti o materie. Il principio di autorità presuppone che esista un rapporto tra diseguali per il quale chi è oggetto dell’autorità non vi si sottopone passivamente ma in nome di un qualche principio o valore la riconosce legittima in chi la esercita.
Ricordo tempi lontani, quando i miei figli andavano alle elementari, sono stato rappresentante dei genitori e successivamente membro del consiglio di istituto. Quante volte ho sentito genitori mettere in primo luogo il loro amatissimo pargolo e annientare l’autorevolezza dell’insegnante o del dirigente scolastico. Magari qualche volta potevano anche avere una qualche ragione a loro favore, insomma c’è caso e caso. Il fatto è anche che nella scuola, come altrove e specialmente nelle Istituzioni e Amministrazioni Pubbliche, forse specialmente in Italia, si va spesso avanti per raccomandazioni, insomma non è che la meritocrazia sia particolarmente diffusa. Però tutto ha un limite e questo limite lo dovete trovare voi, col vostro senso critico, riuscendo a raggiungere una serena obiettività, il che vuol dire riuscire a valutare il sé e l’altro da sé, riuscire a mettersi nei panni dell’altro. Cosa per niente facile. Nel caso di chi fotografa, è opportuno riuscire ad entrare nella mente dell’osservatore o di un eventuale critico, accettare le sue motivazioni che possono essere diverse dalle vostre e possono avere la loro importanza. La fotografia, piaccia o non piaccia è rapporto, se non sapete gestirlo è assai meglio tenere le vostre fotografie in un cassetto chiuso a chiave nessuno vi obbliga a condividerle. La situazione attuale è anche viziata dal fatto che assai spesso la fotografia non scaturisce da un rapporto professionale tra il fotografo e una committenza privata. I questo ambito valgono regole eterne:
- io sono il capo ed ho sempre ragione.
- qualora non avessi ragione si prega cortesemente di tornare alla regola espressa al punto 1.
Mi capita spesso, prima di scrivere un articolo, di confrontarmi con Giordano Suaria. Così è capitato anche questa volta, a proposito degli argomenti che sto affrontando mi ha detto: “Purtroppo e nostro malgrado siamo definitivamente immersi nell’era e nella società dell’uno vale uno (la più nefasta filosofia mai sviluppata dall’uomo). Ma proprio per questo abbiamo deciso di creare Sensei. Un contenitore (uno scrigno) dove racchiudere e preservare gli ultimi bagliori di autorevolezza Pertanto ti esorto a scriverne senza remora alcuna!!! In molti apprezzeranno.”
Eh sì, in effetti nel mondo virtuale il principio dell’uno vale uno, si sta diffondendo a macchia d’olio, ogni giorno di più. Lo possiamo constatare ogni giorno affacciandoci in qualsiasi social, di qualsiasi argomento si tratti.
Così mi è capitato recentemente di leggere un post: Le letture di portfolio sono una cagata pazzesca. Una esternazione buttata lì, per nulla circostanziata. Mi riporta alla mente un film di Fantozzi.
Da notare che l’esternazione di Fantozzi nel film riscosse non pochi applausi. Come del resto ci fu chi approvò il post di cui sopra. Aveva ragione? Dopotutto tra i fotografi ci sono tanti Fantozzi quanti geni e artisti incompresi. Sono assai convinto che se vogliamo procedere in modo positivo con la nostra fotografia, qualsiasi sia la meta alla quale ambiamo, il nostro incommensurabile ego è meglio qualche volta metterlo un poco a tacere. Il discorso a proposito sarebbe assai lungo, vale tanto per letture di portfolio quanto per workshop e quant’altro. Sono solo opinioni? Una vale l’altra? Beh espresse in questo modo sono giudizi del tutto opinabili senza valore alcuno, a mio avviso testimonianze di chiusura mentale per non dire di peggio.
Una semplicissima considerazione, prendiamo per esempio le scarpe di Pollini, le Ferrari, le Leica, quant’altro… esistono, c’è chi apprezza e compera tali prodotti, possono interessarti o meno, puoi scegliere se acquistarli o meno, il mercato è questo. Domanda e offerta, sta a te scegliere, ma affermare violentemente che tali prodotti non hanno ragione di esistere non ha alcun senso. Lo stesso vale per workshop o letture di portfolio, è sempre l’acquirente a scegliere. La sua scelta deve essere personale e motivata, è liberissimo di scegliere, nessuno lo obbliga. Un poco di autorevolezza al mentore o tutor che si è scelto la dovrebbe però riconoscere, altrimenti nulla ha senso. Viceversa chi conduce un workshop o letture di portfolio non ha tale libertà, non può scegliere il proprio “acquirente”, può solo, in tutta onestà, cercare di fare al meglio quello che gli è stato chiesto.
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