L’assoluto e il relativo in fotografia

Impossibile dormire con questo caldo umido, non ce la faccio ad addormentarmi, ho sonno ma non abbastanza da vincere l’afa. Mi alzo pigramente, gli occhi appiccicosi, raggiungo il portatile alla scrivania, lo accendo. Qualche click di mouse, qualche lettera battuta sulla tastiera, poi inizio a scorrere la mia home in FB. Home, sweet home.

Ruotando lentamente la rotellina mi scorrono davanti agli occhi i più diversi post. Passo da una photo di Marylin sorridente tra lenzuola bianche stropicciate, alla vendita di variopinti orologi, alla notizia che a Baltimora hanno installato statue gigantesche di “Divine”, ma c’è chi dubita sia una fake news.

Arrivo a un post, i sentieri della filosofia:

“Il filosofo Diogene stava cenando con un piatto di lenticchie. Lo vide il filosofo Aristippo che viveva nell’agiatezza adulando il re. Aristippo disse: “Se tu imparassi ad essere ossequioso con il re non dovresti vivere di robaccia come le lenticchie”. Rispose Diogene: “Se tu avessi imparato a vivere di lenticchie non dovresti adulare il re”. Mi piace,  concordo, metto il primo like della nottata.

La rotellina gira ancora, nulla di rilevante.

Mi fermo un attimo su una foto, incuriosito più dai millanta like e cuoricini, sotto la foto che dalla foto stessa, entro.

È un post di “Bar Photo”, pubblicizza una mostra. Cos’è il Bar Photo? Non so perché mi viene da parafrasare la recensione di un celebre, divertentissimo libro di Stefano Benni.

“Ci sono bar e bar e poi c’è il Bar Photo, che tutti li accomuna e li fonde in un solo paradigmatico universo, in una sola grande scena di umanità raccolta sotto la fraterna insegna come intorno a un fuoco, intorno al calore di un’identità minacciata. È una porta aperta su un mondo che per tutti è diventato un luogo, anzi il luogo familiare per eccellenza. Sul bancone del Bar Photo sono appoggiate con studiata nonchalance (in realtà sono sorvegliate a vista dai proprietari) Leica m4 e Rolleiflex, miracolosamente nuove di pacca. Quelle più professionali, nerodipinte, al contrario, sono passate a carta abrasiva Wolfcraft, per fare emergere e brillare qua e là il metallo sottostante, in modo da simulare una presenza da freelance del fotografo in tutti i più recenti conflitti mondiali. 

Qua e là, tra i bicchieri vuoti di Chili Beer e altri di un fu Spritz all’Aperol, nel i quali stanno miseramente  sciogliendosi ghiaccioli trasparenti immersi in una lacrima arancioncina, sono sparsi rullini di FP4 o Kodacolor scaduti. Dietro al bancone del Bar Photo, è incorniciato un poster 70×100 della “Stortona”, paleolitica foto scattata in spiaggia da un famosissimo fotografo, conosciuto universalmente col nome abbreviato di HCB. È  condannata a un’esposizione perenne, in perenne attesa dell’aspra critica di un  ignorante perfettino e della successiva  assoluzione di un acculturato espertone.

Al Bar Photo passa il carabiniere, lo sparaballe, il professore, il tecnnico (proprio così, con due n) che declina tutte le formazioni della squadra “Masters of Photography”, da fine ‘800 ad oggi, il ragioniere che senza farsi accorgere accarezza una Leica non sua, innamorato pazzo. Al Bar Photo sono tutti appassionatamente fotografi, si danno tutti del tu.

Non so bene per quale ragione, forse perché di sera mi si annebbiano i freni inibitori, scrivo a commento della foto di apertura un: “mi sembra assai normale, conosco il fotografo che sarà in mostra, secondo me ne ha scattate di migliori”.

Cala immediatamente un silenzio tombale. Dopo un poco un qualcuno, probabilmente alzando le spallucce, scrive: “Ma che dici, è un grandissimo fotografo, se ci fosse più giustizia nel mondo della Fotografia sarebbe il numero uno a livello mondiale!”.

Provo rapidamente a circostanziare la mia affermazione. “Non critico il fotografo, so che è bravissimo, critico se mai un modo di vedere di molti osservatori che, sulla scia di critici affabulatori, innalzano a capolavoro ogni singolo scatto realizzato da un noto  fotografo. È mai possibile che un valente fotografo, un artista, produca solo capolavori?

Un altro che siede ad un tavolo d’angolo nel bar alza brevemente la testa, staccando le labbra dalla nera cannuccia con la quale stava aspirando un lungo sordo di gelido crodino con rabarbaro, scrive: “Dimmi, perché vieni qui a criticare? Chi sei? Perché sali in cattedra?”

Ah ecco, ecco, aspettavo un commento del genere! Sapevo che sarebbe presto calato a redimere ogni possibile controversia. Forse ha ragione, penso, e spengo il PC. Tuttavia, tornato a letto, rigirandomi nelle lenzuola, ci ripenso.

Mi sveglio il mattino dopo e, sorseggiando un caffè, ci penso di nuovo.

Secondo me nella loro vita fotografica, che sia a livello professionale o meno, fotografi noti e meno noti hanno fatto scatti notevoli o importanti ed altri assolutamente irrilevanti. Molti fotografi sono noti per un pugno di scatti, conosciuti a livello mondiale da chi si occupa di fotografia quanto spesso anche da chi ne ha una conoscenza sommaria. Sono scatti famosi a tal punto da essere considerati icone.

 

Robert Dosineau. Provini

 

Ed è assolutamente giusto sia così, basta e avanza quel pugno di scatti. Certo ne hanno scattate molte altre, sono servite per illustrare su commissione un articolo, sono state lavoro, sicuramente sono state funzionali all’articolo da illustrare ma per lo più non sono capolavori.

A questo proposito il libro “Magnum Contact Sheets” è assai interessante. “Available for the first time in an accessible paperback edition, this groundbreaking book presents a remarkable selection of contact sheets and ancillary material, revealing how the most celebrated Magnum photographers capture and edit the very best shots. Addressing key questions of photographic practice, the book illuminates the creative methods, strategies, and editing processes behind some of the world’s most iconic images”

 

Magnum. Contact Sheets

 

Gli scarti rivelano l’importanza di un editing, funzionale ad una pubblicazione, a volte sovrastante la validità intrinseca di una singola foto. Oppure ci mostrano il procedere del fotografo, di scatto in scatto, sino ad arrivare allo scatto definitivo.

Renè Burri ha fotografato Che Guevara a New York, 1963, nel corso di una intervista durata due ore. Dal provino del rullino di 36 foto ne sono state selezionate tre, solo una è diventata un’icona.

 

Rene Burri. Che Guevara. Provini

 

Similmente è avvenuto per altre notissime foto scattate da celebri fotografi.

Però è una faccenda complessa, non riguarda tanto il fotografo, riguarda più come viene percepito dagli altri, dagli osservatori. Molti importanti fotografi a sentirsi dare del Maestro della Fotografia, o dell’Artista, si schermiscono, preferiscono essere considerati semplicemente fotografi.

Specie in ambiti socioculturali e fotografici, geograficamente ristretti, il fotografo e la sua opera sono un tutt’uno inscindibile. Se critichi una fotografia, critichi il fotografo in persona. Il suo valore è ASSOLUTO, universale, indiscutibile.

Se invece cerchi di andare oltre i recinti ristretti di quell’ambito culturale ti accorgi che altrove ben pochi conoscono l’opera di quel fotografo. In realtà, Il suo valore è RELATIVO all’ambito nel quale opera, tra fans, followers, amici e parenti.

Però qui mi viene un dubbio. È giusto considerare l’opera di un fotografo prescindendo dall’ambito ristretto e RELATIVO in cui opera? Cosa resterebbe di tale fotografo se lo osservassimo con distacco neutrale e non amichevole vicinanza, se pensassimo ad un ipotetico valore veramente ASSOLUTO delle sue fotografie, confrontando le sue foto con quelle di altri celebri fotografi? Forse è meglio lasciare le cose così come stanno.

 

Tony Gentile. Provini

 

Dopotutto ogni fotografo ha bisogno di gratificazioni per continuare a fotografare e una pioggia di like è sempre benvenuta, ne aumenta l’autostima. Dalla parte opposta, tutti o quasi  hanno bisogno di divinità da adorare incondizionatamente.

Forse ognuno dovrebbe trovare un suo modo, un personale equilibrio tra relativo ed assoluto, quando si trova ad osservare e “giudicare” l’opera di altri fotografi. Scrivo “giudicare” tra virgolette perché è una brutta parola, però cerchiamo di non essere ipocriti, in fondo giudichiamo anche se poi diciamo che si tratta di un semplice “parere personale”. Sia come sia, esercitiamo un nostro personale senso critico.

Ma abbiamo senso critico? Penso che una buona scuola dovrebbe insegnare ad esercitare e sviluppare il senso critico. Tuttavia a scuola per lo più ci insegnano valori assoluti, che per definizione  non sono criticabili. Assai raramente ci insegnano ad apprezzare per confronto, o quanto meno ad ampliare le nostre conoscenze per avere un qualche strumento di critica.

 

Edmondo De Amicis. Cuore.

 

A scuola tutti noi abbiamo letto “I Promessi Sposi”, ( in verità solo alcuni brani scelti dalla prof), o “Cuore” di Edmondo de Amicis, fondamentale per insegnarci sani princìpi. Nessuno ha osato dire che ok, saranno pure capolavori della letteratura, ma sono una noia mortale.

Alcune date:

Alzi la mano chi ha letto qualcosa di Poe a scuola. Sono sicuro che in libreria, quelli che cercano “Cuore” o “I Promessi Sposi” in una libreria sono una sparuta minoranza rispetto a quelli che cercano un libro di E.A. Poe.

Che educazione visiva o musicale abbiamo avuto a scuola? Quali strumenti ci ha fornito per esercitarci ad esprimere una critica personale? Come stupirsi se oggi il gusto è omologato e le scelte sono dirette da chi tira di nascosto i fili di burattini? Come meravigliarci se una affermazione è valida solo perché la ha espressa una persona “importante”? Chi siamo noi per confutare tale affermazione?

I grandi artisti o scrittori, per come ci sono stati insegnati, sono perfetti in tutto, privi di tentennamenti, esentati  per definizione da ogni pur minimo errore. Se tuttavia si arriva ad ammettere che hanno sbagliato qualche volta in un qualcosa, l’errore viene dimenticato e post mortem diventano tutti santi.

Eppure, secondo me, in quanto santi diventano inumani. L’umanità è lontana dalla perfezione, anche se ogni artista aspira alla perfezione. François Villon fu probabilmente un assassino recidivo, e nel contempo un poeta.

Benvento Cellini fu un sublime scultore ed orefice, anche se fu implicato in risse varie e dovette fuggire da Roma a causa di una condanna a morte che non gli garbava.

Tornando in ambito  fotografico, dicono che Oliviero Toscani sia persona massimamente antipatica. Non so se sia vero. Se così fosse, possiamo ciò nonostante acclamarlo come grande fotografo o dobbiamo odiarlo?
Perché tutto deve essere o bianco o nero?

Possiamo accostare Free Jazz di Ornette Coleman e combriccola all’Action painting di Jackson Pollock? Può essere arbitrario ma conoscendo un poco entrambe le opere, almeno per sommi capi, forse si può fare.

 

Alessandro di Antiochia. Venere di Milo

 

Proviamo a pensare alla Venere di Milo, 130 a.C. circa. Confrontiamola col calvario di Plougastel-Daoulas, realizzato tra il 1602 e il 1604.

 

 

Si potrebbe pensare, considerando in assoluto, che in circa 1700 anni l’uomo si sia scordato come si scolpisce. Considerando le due opere relativamente al periodo storico nelle quali sono state concepite, sono entrambi capolavori.

Che dire della Venere degli Stacci, 1967, per la quale Michelangelo Pistoletto utilizzò una statua in cemento molto simile a quelle che vengono esposte nei giardini? Conobbi assai piacevolmente Pistoletto nel 1989 mentre fotografavo quell’opera in una entusiasmante  riedizione della mostra “Vitalità del negativo” curata da un amico architetto a Palazzo delle Esposizioni, Roma. Furono anni di dissacrante ripensamento e rivisitazione  dell’arte del passato, assolutamente indispensabili.

 

Michelangelo Pistoletto Venere degli stracci.

 

Ci piace citare Ansel Adams: “Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato.”

Nel contempo abbiamo bisogno di certezze, di un qualcuno di autorevole che ci dica, possibilmente in due parole: questo sì, questo assolutamente no!

Abbiamo spesso bisogno di un branco e di una fede. “Chi non è con me è contro di me”. Che sia un fotografo o uno strumento fotografico non fa differenza.

Lo possiamo constatare ogni giorno, la fotocamera migliore del mondo è quella della pagina FB brandizzata alla quale siamo iscritti.

Un fotografo noto, sia pur in un ristretto ambito,  è come la squadra di calcio del cuore. La magica ROMA non si discute, si AMA.

Oggi come oggi , nel mondo social, uno è uguale ad uno, non c’è alcuna differenza tra quello che dice uno scienziato  e quello che dice un’analfabeta. Non riesco ad adattarmi a questa situazione dilagante e perdurante. Sia quel che sia, mi sento un poco come un novello Diogene, cerco di giorno e di notte la Fotografia col lanternino.  Mi sono più o meno abituato a vivere di lenticchie senza adulare re.

 

Va beh, lo ammetto e mi son sbagliato e accetto il “crucifige” e così sia

Chiedo tempo, son della razza mia, per quanto grande sia oh, il primo che ha studiato.

F. Guccini

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

 

Henry Cartier Bresson. Provini

 

 

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