Eh sì ormai da alcuni anni lo si da per scontato. La Street Photography esiste. Ma ci sono voluti anni di battaglie perché la verità finalmente trionfasse. Ci sono stati agguerriti negazionisti. Alcuni critici affermavano che il termine è “all inclusive,” troppo includente, vuol dire tutto e niente, un contenitore nel quale si può buttare qualsiasi contenuto, come nei contenitori per indifferenziata che sono ai margini di qualsiasi street cittadina.
Altri, fotografi, affermavano con veemenza che era ora di smetterla di rompere le scatole a tutto il mondo, a partire dalla suorina di nero vestita che attraversa bianche strisce zebrate degustando un cono gelato. I detrattori e negazionisti hanno ormai abbandonato il campo, forse anche saggiamente. Perché se una cosa esiste è sempre bello, è una opportunità in più, e, hai visto mai, da qualsiasi opportunità si può trarre un vantaggio. Hanno vinto gli avvocati difensori, non senza venire talvolta accusati di conflitto d’interesse. Dato che, una volta assodato che un qualcosa esiste, si può farne una scienza, una ottima materia di insegnamento.
D’altronde, fateci caso, qualsiasi cosa della quale si parla, più o meno assiduamente, prima o poi inizia ad esistere veramente. I marziani? Certo che esistono, ormai da molti anni. Molti li hanno visti, sono stati spesso assai bene descritti, alcuni hanno avuto l’onore di salire sulle loro astronavi. Avete in mente com’è fatto un marziano? Corpo verdolino, testa pelata, occhioni, nasino, bocca da stitico, beh un marziano è così. Tra l’altro il fatto che la street esista è assai pratico.
Metti che uno entri in un negozio di fotografia. Il commesso, sempre gentilissimo e preparato (anche al peggio perché dietro ogni acquirente si può nascondere un mostro di preparazione o un efferato rompi…) gli chiede:
“Cosa desidera?”
“Eh vorrei comperare una fotocamera…”
“A cosa le serve?”. Il futuro fotografo non può mica rispondere che ci vuol fare nudo “artistico”, sai la vergogna! Non può nemmeno rispondere “Mah non so, mi piacerebbe fotografare di tutto, sento il desiderio di esprimermi!” passerebbe per un indeciso o un insicuro. Così dice semplicemente:
“Voglio fare street photography! Mio cugino mi ha detto che va bene la…”
“Certamente, suo cugino ha perfettamente ragione, la … va benissimo per la street!” Il caso è risolto tutti contenti.
Del resto in era industriale prima si crea un desiderio, quando tale desiderio diventa impellente necessità si provvede a soddisfarla con un prodotto realizzato ad hoc. Va benissimo così perché quel prodotto darà da mangiare a un sacco di gente. Inventori, ingegneri, produttori, pubblicitari, beta tester, ambassadors, venditori, ecc.
Comunque OK, la street photography esiste, in inglese la denominazione è figherrima, per una volta ancora facciamo a meno di parlare italiano, “fotografia di strada” suona assai male, ha un che di meretrice e prostituta, anche se un poco a volte lo è, ma del resto non diversamente da qualsiasi altro “genere” di fotografia.
È piuttosto nel cercare di delimitare il campo, di piantare paletti e cercare di stabilire cosa sia dentro, cosa fuori, che ho perplessità.
Si afferma che la street photography non può essere ritratto. Certo che no, se si intende per ritratto un faccione su sfondo nero illuminato dal classico tris di lampade o flash da studio. Ma chi stabilisce la distanza e il rapporto che ci può essere tra una figura vivente e lo sfondo che le fa da teatro affinché si resti nell’ambito della street? Il ritratto “ambientato” ha una lunga storia fotografica alle spalle. Sì, va bene, ci sono le leggi sulla privacy, per le quali è opportuno che un soggetto non sia troppo identificabile. Però non di rado vengono infrante e proprio da queste infrazioni, dal rapporto che instaura una precisa persona, anche se anonima, dalla sua mimica (non solo facciale) come reazione all’ambiente circostante che nascono fotografie assai interessanti.
Una persona assolutamente non identificabile, a-mimica, rischia di diventare un modulor, una unità di misura rispetto all’architettura o ambiente circostante. Il soggetto ripreso deve essere “non in posa”, in sostanza deve essere sempre rubato.
Ando Gilardi diceva “meglio ladri che fotografi”. Ci può stare, certo utile anche ai timidi che non riuscirebbero ad instaurare alcun rapporto nemmeno di sguardi, di momentanea complicità. Dipende anche dall’onestà ed etica del fotografo. Non di rado fotografi professionisti creano situazioni spacciandole per non in posa. C’est plus facile!
Si può fare della street una professione? Indubbiamente sì, ammesso di riuscire a venderla, cosa non facile. Se il vendere non è lo scopo meglio divertirsi e basta. Dobbiamo in ogni caso fidarci del fotografo, o forse meglio, dovremmo riuscire a capire cosa è in posa, cosa no, osservando la fotografia. A volte ci sono piccoli indizi che fanno scoprire l’inganno.
Lo scopo della street non è documentare né fare reportage. Però è difficile non circostanziare almeno un poco, una fotografia scattata in un vagone del tubo di New-York, di prima mattina, d’inverno, alla fin fine documenta un qualcosa. Si dice che un buon scatto di street racconta una piccola storia, minimale, un attimo racchiuso in un inquadratura.
Certo magari dovrebbe avere una sua intrinseca eccezionalità quella storia, dovrebbe avere un motivo valido per interessare , stupire, incuriosire o fare sorridere l’osservatore. Non è che tutte le persone nel mondo che attraversano la strada, si siedono su una panchina, sono riflessi in una vetrina, ecc. facciano parte inconsapevolmente di una storia interessante per altri. Ci possono anche essere interazioni culturali, magari mi può incuriosire come un indiano sta seduto su una panchina di Bombay mentre mi lascia indifferente un romano seduto su una panchina a Roma. Insomma per me i paletti, in qualsiasi genere di fotografia non riescono mai bene a definirne il campo d’azione.
È nella fotografia “border line”, al limite tra un genere e un altro, che trovo spesso le fotografie che mi prendono di più.
Esistono però nella street come in ogni altro genere di fotografia, (se di genere si può parlare) degli stilemi, dei topos, dei luoghi comuni, visivi, tecnici espressivi, che possono facilmente rendere una fotografia noiosa e ripetitiva. Come in qualsiasi “genere” e forse ancor di più, è opportuno nella street fare una selezione severissima dei propri scatti, una vera crudelissima ecatombe, per salvare solo il meglio, altrimenti si rischia di fare un calderone inutile, una minestrone dal quale non emerge alcun sapore.
Cristiano Antonini, ha osservato con critica attenzione i luoghi comuni, di contenuto ma anche tecnici ed espressivi, dilaganti nella fotografia di street. Da quì è scaturito un interessante progetto. “LA mia STREET PHOTOGRAPHY NON ESISTE”
Con quel “mia” naturalmente vuol dire che la sua street è del tutto inventata, si svolge nella metropoli immaginaria di un isola che non c’è, si basa sul raccontare piccole storie utilizzando tutte le modalità espressive, della vera street, quella che esiste, e che troppe volte non racconta assolutamente nulla. Spesso parlando di generi di fotografia si resta nell’ambito della speculazione pseudo-filosofica, della teoria e delle regole che poi ha sempre vistose eccezioni.
Il progetto di Cristiano è assolutamente visivo, fotografico, concreto, secondo me è un contributo valido alla riflessione sulla street photography, quella vera.
Come sempre una fotografia vale di più di mille parole.
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