“…Apri la mente a quel ch’io ti paleso
e fermalvi entro; ché non fa scienza,
sanza lo ritenere, avere inteso…”
Questi versi della Divina Commedia, paradiso, cantoV, mi vengono in mente anche pensando alla fotografia. Sono forti e precisi come una coltellata, sin dall’incipit. Dall’autorevolezza con la quale chi parla esige da chi ascolta che apra la mente, che si fermi dentro un significato che gli viene palesato.
La parola “scienza” deriva dal latino scientia, che significa conoscenza.
Scienza come il risultato delle operazioni del pensiero, spec. in quanto oggetto di codificazione sul piano teorico ( sc. pura ) e di applicazione sul piano pratico ( sc. Applicata ). Ritenere, come trattenere, tenere nella memoria, forse vicino al tedesco erinnern, dal mittelhochdeutsch “innern” , fare in modo che a uno una cosa gli resti dentro. Erinnerungen si potrebbe tradurre in italiano con ricordi ma sarebbe una traduzione imprecisa, del resto l’etimo della parola non è totalmente assodato. Esistono parole in una lingua che non sono precisamente traducibili. Intendere come sentire dentro, ascoltare, capire. Quanto è difficile già il solo tentare di chiarirmi questa poche parole! Nel 2018 il titolo di un articolo sul Corriere: Morto Gillo Dorfles, il critico che inventò il Kitsch.
L’analisi critica del cattivo gusto dell’arte moderna nel celebre “Il Kitsch”, usci nel 1968. Noi studentelli vari anni prima, alle medie, alla scuola Svizzera, sapevamo benissimo, anche se non così approfonditamente, cosa è Kitsch e il kitschig, lo sapevo persino io che già a quei tempi ero italiano di nascita.
Per farla breve e semplificando molto. Se non ti ricordi quello che hai ascoltato e forse capito, quello che hai visto, ecc. è come se non avessi avuto alcuna conoscenza, non lo avessi vissuto o sperimentato, non ti servirà a nulla.
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La fotografia trattiene il ricordo di ciò che è passato davanti all’obiettivo. Ci fa vedere qualcosa che in quel momento era lì e non è più o potrebbe non essere più. Fotografiamo un presente e se ci va bene rivediamo un passato. È un tempo sospeso.
Ricordare è una parola composta, deriva dal latino re-cordare. Re- per di nuovo, addietro, indica un ritorno, e cordare da còr, cuore, che era considerato la sede della memoria. In francese si dice “apprendre par cœur”, imparare a memoria.
A proposito di “sursum corda” cerchiamo di non equivocare, non si riferisce alle corde dei campanari. Gli anglofoni chiamano tape recorder il registratore. Questa faccenda del cuore come luogo della memoria è assai diffusa.
“Memoria”….dal greco ‘mimnésco”, indica un’attività della mente collegata a una precisa esigenza e a un valore anche etico, la facoltà di mantenere in vita i contenuti del passato. Mnemosyne è un personaggio della mitologia greca, figlia di Urano (il cielo) e di Gea (la terra) mi pare cosa densa di significati. È sospesa tra il cielo e terra.
Mnemosine fu amata da Zeus, il quale le si presentò sotto forma di pastore. Giacquero insieme per nove notti sui monti della Pieria e dopo un anno Mnemosyne partorì le Muse.
L’importanza delle Muse nella religione greca era elevata: esse rappresentavano l’ideale supremo dell’Arte, intesa come verità del “Tutto” ovvero l’«eterna magnificenza del divino». Per ogni poeta, sia greco sia latino, oppure più moderno, divenne quasi un obbligo iniziare la propria opera artistica con un’invocazione alle dee delle arti, le muse che infondevano ispirazione e forza alla composizione cui l’artista si accingeva. Un esempio interessantissimo.
La musa Polinnina presiedeva alla geometria e all’oratoria e ispirava gli inni in onore degli dei e degli eroi. Ci si potrebbe chiedere cosa avesse a che fare la geometria con l’oratoria. Penso che ogni discorso di una certa rilevanza dovrebbe avere una evoluzione geometrica, precisa.
Il pensiero è geometrico, tridimensionale.
Le tre dimensioni nel nostro pensiero costituiscono la rappresentazione degli oggetti, ma si va sul complicatuccio, ritorno nei binari. Il tridimensionale nel pensiero dobbiamo tradurlo nel bidimensionale della fotografia, ma si dovrebbe in una foto percepire la terza dimensione, non è solo questione di obiettivo o di diaframma.
Quanto alla memoria ha aspetti assai variegati, c’è una memoria visiva, uditiva, tattile, altre ancora e si intrecciano tra loro. Basta un odore, un rumore, una musica, una lieve impalpabile atmosfera, un Whiter shade of pale, a suscitare un ricordo. E che ricordo! 4 minuti di lento, ce n’erano di cose da fare in 4 minuti!
Memoria anche tecnica per ricordarci come si usano queste complicatissime macchine fotografiche senza andare a rileggere il libretto di istruzioni che è peggio dell’elenco telefonico di una grande città. Ma non solo tecnica. Come spesso ripetuto, come diceva A. Adams “Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato.”
Sarà… da giovane era indubbiamente figo, poi credo sia diventato un vecchietto scassaballe, sempre meglio di me.
Inoltre la vita si basa sull’utilizzo e sul mantenimento di una memoria genetica, ereditata dalla generazione precedente, che permette di vivere e riprodursi, e sulla capacità di trasmetterla alla generazione successiva.
Quante cose è la memoria.
…come funziona? Molto sinteticamente: La costruzione delle memorie avviene attraverso un processo in tre fasi: Acquisizione, che è il processo di archiviazione di nuove informazioni in memoria. Consolidamento, che è il processo mediante il quale i ricordi divengono stabili. Richiamo, che è il processo di rievocazione dei ricordi consolidati.
Il consolidamento è importantissimo, avviene spesso per ripetizione, una informazione acquisita una sola volta è difficile da trattenere in memoria. La memoria è anche una sorta di filo con ami che si agganciano ad altri fili, altri ami, si creano collegamenti importanti che aiutano a trattenere in memoria, a creare una rete. Il web è una rete, i link sono gli ami, i collegamenti. Senza link la rete non esiste o non avrebbe senso.
A scuola tabelline, poesie, teoremi preghiere e quant’altro bisognava impararli a memoria. A cosa serviva, non bastava capire? No, lo diceva anche Cicerone “Memoria minuitur nisi eam exerceas”. Ricordate? Sì certo ricordate. La memoria è anche una sorta di scatola, si nasce ed è quasi vuota, poi gradualmente si riempie. I capoluoghi del Piemonte? Torino, Vercelli, Novara, Alessandria, Asti, Cuneo! Tutto di un fiato. Acc. oggi le cose si sono complicate. Il Piemonte era la prima Regione che si studiava in geografia, poi si andava a scendere, e arrivati all’Abruzzo, forse più su, i capoluoghi chi se li ricorda più? Fortuna che il Molise non esiste!
Tornando alla fotografia, certi autori, certe fotografie le conosciamo a memoria, fanno parte del nostro bagaglio visivo, sono cultura visiva sedimentata gradualmente, mese dopo mese, anno dopo anno, radicata a tal punto che a volte la citiamo nei nostri scatti, senza nemmeno rendercene conto ne siamo influenzati. No, non è copiare. Quanti incontri, quanti “déjà vu” si condensano nelle nostre fotografie.
In un articolo del 2019 mi chiedevo se “Ci saranno ancora grandi fotografi”, facevo varie considerazione a proposito. Però se ne possono fare anche altre. Prendiamo per esempio un fotografo famoso. Henry Cartier Bresson, ok? Proviamo a chiudere gli occhi? Quante fotografie di Bresson ricordiamo perfettamente ad occhi chiusi? 5… 10… di più? Ok. nessuno può vivere sulla fama di dieci fotografie.
Ovvio che se le andiamo a cercare in un libro, in un qualche articolo ben fatto sul web ne troviamo molte di più ma quelle che sono entrate nella nostra memoria e vi hanno preso residenza sono assai poche. Vissero per lo più pubblicando su mensili, raramente esposero, per lo più e fama postuma, non avrebbero mai pensato di diventare Maestri.
Ora andiamo a cercare una fotografia su Google, scriviamo: il bacio doisneau, immagini. Come molti sanno è una fotografia staged, anche se è bello credere che sia stato un colpo di fortuna.
Ops, in un attimo ne troviamo una miriade di copie più o meno identiche all’originale, alcune addirittura rifilate, sacrilegio! Quella foto era già nota prima della diffusione web, ora la conoscono veramente tutti o quasi. Vivian Maier senza il web sarebbe rimasta totalmente sconosciuta.
Le fotografie, le informazioni che riguardano celebri autori sono addirittura ridondanti, ce le troviamo, indicizzate dai motori di ricerca, ripetute ad ogni passo che compiamo nel mondo della fotografia, stanno lì a disposizione in un sito, in un blog, se ci viene in mente un fotografo famoso lo troviamo immediatamente.
Ciò aumenta la distanza tra i grandi fotografi e quelli che non lo sono e dobbiamo andarli a cercare col lanternino. Se uno posta una foto su un social dopo qualche minuto già è sparita, sommersa da altri post, da altre fotografie. Non è solo questo il problema. La moltitudine delle foto postate provoca anche saturazione visiva ed emotiva. Anche orrenda aridità.
Quante volte vogliamo vedere e ascoltare una canzone su YouTube e siamo addirittura infastiditi se il video inizia con un piccolo spot che ci presenta un bambino denutrito che piange? Tutto ciò provoca anche scarsa capacità di attenzione, magari ci soffermiamo ancora sulle fotografie di autori famosi e non riusciamo a fermarci e prestare attenzione agli altri.
Oppure chissà, magari anche per un processo di identificazione, nasce una improvvisa tifoseria da stadio intorno a un giovane emergente, a tal punto che non riusciamo nemmeno a capire con la nostra testolina se è effettivamente valido o no. Penso che la situazione attuale della fotografia, nel bene e nel male, dipenda da ognuno di noi, come fotografo, come osservatore. Inutile prendersela con i social, sono solo uno strumento.
Mentre sto scrivendo molti di noi stanno facendo le pulci ai cantanti “artisti” presenti a Sanremo, va bene così, Sanremo è Sanremo!
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