La linea dell’orizzonte nelle fotografie.
Campo dipendenza/campo indipendenza.
Penso alla Romagna, là dove le colline degradano verso il mare. Vedo mentalmente fabbriche, bassi edifici rurali e campagna, dove tra veleni vari si coltivano ortaggi e pesche bellissime prive di sapore. Immagino orizzonti bassi e molto cielo, ancor prima di inquadrare. L’inquadratura nasce prima di tutto nella mente, da una personale percezione del luogo. Così Jacques Brel ci racconta, cantando, del suo paese come “Le Plat Pays du Nord”.
Se penso alla montagna, che frequento raramente e per lo più dal basso, la immagino in uno scatto con poco cielo nell’inquadratura, là dove finiscono le vette, non ce ne entra molto.
In ogni caso la prima linea guida che si cerca in una fotografia di paesaggio, ma forse in qualsiasi fotografia, è quella della linea dell’orizzonte. Come un taglio netto viene a suddividere lo spazio inquadrato, ne determina emotivamente la percezione. Probabilmente il nostro sistema visivo è abituato ad osservare qualsiasi cosa partendo dagli oggetti posti in orizzontale. Sul posizionamento della linea dell’orizzonte in una inquadratura ho trovato una interessante disquisizione in un articolo.
Sottolineo il fatto che, percettivamente ed emozionalmente, un paesaggio ripreso con la linea dell’orizzonte alta resta a volte desolatamente ancorato a terra, cupo e triste, ove al contrario un orizzonte basso porta a respirare profondamente. L’immensità del cielo è liberatoria. Una linea dell’orizzonte centrale determina spesso una percezione di stasi, calma e rilassante contemplazione.
Così è in teoria, almeno secondo assodati studi di psicologia della percezione.
Tutto qua? Magari! Eh sì perché in pratica a volte scattando un paesaggio la linea dell’orizzonte, lo confesso, mi viene storta, pende più o meno vistosamente. Egualmente importante specie in fotografie di architettura è che le linee verticali, siano ortogonali alla linea di terra, salvo eccezioni quali la torre di Pisa.
Tant’è che in tutte le fotocamere analogiche che ho avuto, ove possibile ho messo un vetrino quadrettato o almeno con una croce di riferimento, sulle digitali si può impostare in genere nel sensore. Quando fotografavo professionalmente non mi facevo mancare nulla, la testa del treppiede aveva una doppia bolla e per sicurezza, se la fotocamera era dotata di pentaprisma, sulla slitta infilavo una livella a bolla d’aria doppia o centrale.
Niente da fare, a volte la linea dell’orizzonte mi veniva lo stesso storta. Inammissibile presentare foto del genere! Santo Photoshop che permette in un attimo di raddrizzare un orizzonte pendente!
Una discreta scusa è affermare che la terra è tonda, di conseguenza per forza tutto pende, alla faccia dei terrapiattisti.
Fortuna che sono in buona compagnia, orizzonti anche vistosamente storti sono presenti in celeberrime foto di Maestri della Fotografia.
In molti articoli e post si scherza sul fatto che a Capa, nel miliziano morente, o a H.C.Bresson nella foto della coppia sotto l’ombrello al mare, sia permesso l’orizzonte storto mentre a noi piccoli fotografi è vietatissimo.
Nella celebre foto scattata a Dieppe, Senna Marittima, Alta Normandia, Francia 1926, è facile pensare che Bresson, concentrandosi sul soggetto per cogliere esattamente quell’attimo fuggente, non si sia affatto reso conto che l’orizzonte sarebbe risultato vistosamente storto.
Quindi HCB è ampiamente scusato, non c’è bisogno di una critica fumosa e aulica che affermi e confermi l’artisticità di quello scatto.
Detta così pare cosa semplice ma non lo è affatto. Eminenti strizzacervelli hanno dedicato attenzione a queste faccende e se ne sono usciti con teorie sugli stili cognitivi, arrivando ad affermare che nell’attenzione selettiva entrano in gioco due stili cognitivi, due meccanismi mentali diversi, la field dipendence (campo dipendenza) e la field Indipendence (campo indipendenza).
Se ti dicono che in una foto hai fatto un orizzonte storto, rispondi, con un sorriso, che a volte sei field indipendent. Esclameranno “WOOW!”
Ovvio che non sanno cosa sia la field indipendence, ma certi termini in inglese fanno sempre effetto.
In pratica: il fotografo ha davanti a se un oggetto, una situazione, che gli provoca un qualcosa, non sa bene cosa. Sa però che quell’oggetto per lui, per una qualche ragione è importante, desidera trasformarlo in un soggetto. Inquadra e fa click.
Vi sono momenti in cui abbiamo una intuizione, se non la seguiamo immediatamente, se ci distraiamo, dopo qualche minuto l’abbiamo dimenticata. Un poco come accade per i sogni, quando ci siamo immersi li viviamo intensamente, poi quando ci svegliamo e cerchiamo di razionalizzarli, di raccontarli con precisione ad altri non ci riusciamo. Ogni scatto è una occasione unica e irripetibile.
Forse la field dependance e la field indipendence sono un poco come Yin (nero) e Yang (bianco),
Sono opposti in cerca di un equilibrio che raramente è statico, a volte predomina Yin a volte Yang.
Tra parentesi il tutto potrebbe talvolta avere in qualche modo a che fare con le figure ambigue.
Tipo “young and old woman illusion”, se ti fissi a vedere una non riesci a vedere l’altra, c’è una alternanza tra ciò che viene percepito come soggetto o preminente oppure davanti o dietro, come nel “cubo di necker”.
In fotografia tocca risolvere quale sia il soggetto, quale lo sfondo, che importanza abbia uno rispetto l’altro.
Nella fotografia scattata sulla spiaggia di Dieppe, HCB aveva fatto la sua scelta, impulsiva, istantanea.
In alcuni individui la field dependence o la indipendence è più stabile, predominante, nella loro vita attuano prevalentemente uno o l’altro dei due diversi stili cognitivi.
In altri individui la field dependance e la indipendence dipendono dalla situazione.
La field dipendence è deliberata o consapevole, è il meccanismo nel quale l’attenzione è sotto il diretto controllo di strutture sovraordinate o esecutive.
La field indipendence viene definita automatica, si basa su meccanismi preconsci che processano in modo rapido l’input.
In fotografia si tratta di un imput visivo, è quello che diventerà il soggetto di una inquadratura.
Di tutto ciò ho trovato una interessante quanto semplice lettura, alla quale rimando citandono un brano.
Più approfonditi saggi e studi a proposito della fild dipendence/indipendence sono facilmente reperibili in rete.
“La tendenza del soggetto alla distraibilità viene considerata uno stile cognitivo, il quale può essere misurato dalla reazione individuale a stimoli contraddittori o intrusivi, ovvero dal grado in cui l’individuo dirige e mantiene l’attenzione selettivamente su stimoli rilevanti, inibendo la percezione di quelli irrilevanti o distraenti. La dipendenza/indipendenza dal campo si riferisce alla misura in cui una persona, che viene impegnata in un compito percettivo, si lascia influenzare dal contesto. Più precisamente, uno stile dipendente dal campo è tipico di chi non è particolarmente capace a separare le cose dall’ambiente complessivo; lo stile indipendente dal campo è proprio di chi, invece, è più abile a percepire e a individuare gli oggetti come indipendenti dall’ambiente complessivo. Gli estremi della dipendenza/indipendenza dal campo percettivo possono confluire negli estremi analitico/globale: le persone più campo dipendenti tendono ad esperire le circostanze in un modo relativamente globale e si conformano passivamente all’influenza del campo prevalente. Le persone meno campo dipendenti, invece, tendono ad esperire le loro circostanze analiticamente, con gli oggetti vissuti come discreti e discriminabili dal loro background.
Naturalmente l’importanza di un corretto posizionamento della linea dell’orizzonte e delle linee verticali dipende dal genere di fotografia. Se state scattando, con la fotocamera su cavalletto, una fotografia di paesaggio o di architettura è cosa buona e giusta dare un freno alla field indipendence e tenere in debito conto tutto in campo inquadrato e la relazione tra tutti gli elementi della composizione.
Ovviamente nel momento in cui un fotografo condivide un suo scatto, non gli appartiene più totalmente, il giudizio dell’osservatore diventa quindi rilevante.
- © Giorgio Rossi
- © Jeanloup Sieff
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