L’attuale pericolo di contagio con il quale conviviamo ormai da mesi rende impossibili eventi, mostre, workshop, incontri tra fotografi e letture portfolio nel reale. Grazie a potenti mezzi telematici quanto avveniva prima nel reale si trasferisce sul web, nel virtuale. È sufficiente digitare sulla stringa di ricerca di Google: letture di porfolio online.
In un attimo appaiono infinite possibilità, modalità della lettura, a volte si può fare anche telefonicamente. Tariffari, in genere il costo/lettura oscilla in torno ai 30 € per 30 minuti. Non voglio entrare nel merito se tutti i lettori siano effettivamente titolati e referenziati, alcuni lo sono certamente, altri assai meno, sta al fotografo scegliere. Non voglio nemmeno entrare nell’argomento di cosa sia o cosa dovrebbe o potrebbe essere un portfolio. Sono argomenti che lascio a chi è più esperto di me, consiglio a proposito di leggere almeno un poco di quanto scrive Augusto Pieroni, è sicuramente assai competente.
Quello che mi interessa cercare di approfondire è quanto il reale possa diventare virtuale, quali possano essere i limiti di una lettura portfolio a distanza, e se oltre ai limiti vi possano essere dei vantaggi.
L’idea scaturisce dall’aver visto l’amico Sergio Catitti mettere una faccina perplessa all’annuncio di una lettura portfolio online. Da qui è nata una discussione con altri amici fotografi.
Sergio scrive: “Oggi già essere giudicati ad un concorso con foto viste sul PC è limitante, ma il portfolio è come per lo studente l’esame di maturità, io credo sia necessario guardarsi negli occhi, parlare e soprattutto vedere delle stampe.”
Se ci si pensa un momento oggi la fotografia, anche professionale, viaggia su internet. È assai comodo, rapido, economico. Oggi un fotografo può spedire un reportage ovunque, anche mentre lo sta ancora realizzando, quando è magari su un fronte di guerra, e qualche ora dopo è già pubblicato su carta, o proposto in edizioni online di riviste e giornali tutt’ora importanti.
I concorsi fotografici? Avete in mente il giornale “tutti i concorsi”che sventola appeso in ogni edicola, beh la stessa cosa avviene nel virtuale, per concorsi fotografici.
Alcuni sono gratis, altri a pagamento, a volte c’è un premio, altre volte solo un poco di possibile notorietà, a volte bisogna cedere i propri diritti d’autore, altre volte rimangono al fotografo. Leggere bene le clausole. Praticamente sempre per partecipare, oltre a naturalmente pagare la quota, è sufficiente inviare per mail i jpeg.
Insomma la fotografia sta diventando sempre più liquida, virtuale, ma nondimeno rimane assai concreta perché girano soldi reali. Dunque anche letture di portfolio online? Perché no? Lockdown e quindi smartwork, lezioni di ogni livello scolastico, esami, videoconferenze, dirette.
La diffusione pressoché immediata di strumenti telematici come ‘zoom meeting’ ha reso tutto ciò possibile in poco tempo, ci si abitua a tutto, in fondo l’adattamento fa parte dell’essenza delle specie umano e non solo.
È sufficiente una webcam per vedersi in diretta, altri strumenti permettono di visionare un progetto, spostare le foto per modificare una serie, avere una visione generale o approfondire concentrandosi su una particolare immagine. Si può arrivare sino a rendere la lettura di un portfolio una sorta di talk show, la spettacolarizzazione di un incontro tra due o più persone può diventare evento, esteso a un pubblico che da casa osserva e commenta. Giusto? Sbagliato? Semplicemente fattibile e possibile.
Infondo già da anni siamo abituati a vedere, talvolta osservare con attenzione, foto postate sui social. Le giudichiamo o commentiamo, mettiamo i nostri like, o per amicizia o per convinzione. Infondo editor anche all’altro capo del mondo visionano foto, e scelgono quali acquistare per una edizione. Certo è una visione mediata, viene a mancare il contatto diretto con la fotografia, stampata, presentata in passepartout estratta da una scatola con i guanti, maneggiata con cura. Chi può dire se lo stadio finale di una fotografia debba essere per forza la stampa, se anche una immagine liquida possa assolvere bene alla sua funzione, che è quella di girare e comunicare, distribuire emozioni sensazioni e altro. Certo forma e contenuto, ne parlavano già Aristotele e Platone sono inscindibili. Una buona forma, una buona presentazione da sostanza a qualsiasi foto. A volte la decisione di stampare su una carta piuttosto che un altra, di adottare un passepartout ecc. possono fare parte di una scelta progettuale, non meno della scelta del formato di ripresa, spaziando tra analogico e digitale, dal banco ottico alla compattina digitale, allo smartphone, al polaroid, B/N o colore.
Una fotografia, anche se originariamente stampata, vista a monitor diventa in un certo senso una immagine adimensionale, si perde la percezione di quello che fosse l’ingrandimento previsto. È un file, può capitare che una foto per “respirare” debba essere stampata in grande formato, può capitare l’inverso, può essere che il fotografo abbia previsto per un progetto foto di formato 10×15, una visione intimista.
Tutto ciò a monitor si perde. Una stampa analogica deve essere ri-fotografata o scansionata. Riflessi in ripresa o pessime scansioni possono sminuire moltissimo la bellezza di una stampa. Di contro un file tratto da una digitale può essere analizzato tecnicamente in modo approfondito, esaminandone l’istogramma o altro. Ha un suo senso? Una tecnica almeno sufficiente dovrebbe essere un prerequisito di base. Un file mostra su un monitor ben tarato esattamente le qualità che dovrebbero essere evidenti in una buona stampa, fatta la tara della superficie della carta adottata per stampare e di altre sottigliezze che tuttavia per un autore possono essere molto importanti. Ci sono autori che stampano in proprio, le loro stampe analogiche e argentiche fanno parte della loro arte, sono numeri unici.
Altri autori stampano su ink-jet, altri ancora si fanno stampare negativi o file da bravi stampatori. Tutto ciò in una lettura di portfolio online si perde inesorabilmente, in compenso il lettore si concentra totalmente nel contenuto, non viene distratto da una forma che può anche essere vuoto a perdere.
In fondo l’opera della maggior parte dei famosi fotografi che conosciamo l’abbiamo vista solo riprodotta su riviste e libri o a monitor. Quando li vediamo in esposizione le foto per lo più non le hanno stampate loro. Da questo punto di vista penso che un abile lettore abbia tutti gli elementi indispensabili per valutare una fotografia un progetto, a monitor.
Passiamo al rapporto autore/lettore, mediato da una conoscenza visiva, per webcam.
Qui credo che molto dipenda da esigenze del tutto personali sia dell’autore che del lettore. Viene a mancare parte della possibile empatia, il guardarsi in fondo agli occhi.
Per alcuni è indispensabile per altri meno. Il lettore deve essere una sorta di strizzacervelli che ti scandaglia l’anima? Deve essere una mamma accudente? Deve essere invece freddo, obiettivo, distaccato, assolutamente non coinvolto. Deve farsi carico dei drammi esistenziali del fotografo, o deve semplicemente osservare il progetto in modo obiettivo? Un editor che lavora professionalmente per una rivista deve valutare un prodotto, decidere se acquistarlo o meno. Per quanto possa sembrare orrendo il lavoro di un fotografo professionista è un prodotto, se riesce a venderlo riesce a vivere della sua fotografia. Può essere che il fotografo mentre realizzava il servizio sia stato raggiunto dalla dolorosa notizia della morte della bisnonna, può essere che fosse stanco, febbricitante o ubriaco, poco importa, il lavoro è lavoro.
Nel campo di letture portfolio la situazione è del tutto differente. Ovvio che il lettore si informa del fine di un progetto, ne osserva la realizzazione, dialoga con l’autore per scoprirne le motivazioni più profonde. Sta al lettore decidere sino a che punto coinvolgersi e sta al lettore decidere sino a che punto aprirsi e confidarsi. Intanto scorre inesorabilmente il tempo. 30 minuti, al massimo 45, sono il tempo massimo in cui ci si può dare ascolto e attenzione reciproca.
‘Tutto il resto è noia’ (cit. F. Califano).
Le aspettative dell’autore sono estremamente soggettive e variabili, penso che massimamente da ciò debba derivare la scelta dell’autore, se farsi leggere un portfolio online o meno. Il lettore deve mettersi a disposizione, dopotutto è pagato per farlo, fa parte del suo lavoro. Forse in ciò può esserci differenza, il fotografo per lo più sceglie di farsi legger un portfolio per necessità squisitamente personali, passione ecc. Per lettore, per lo più, malgrado la passione, è lavoro.
La validità di un mezzo deriva sempre principalmente da come si usa, non dal mezzo in se stesso. Con un martello ci puoi piantare chiodi o te lo puoi dare sulle dita.
Non ho mai pensato di realizzare un porfolio e tantomento ci penserei dovessi avere come unica possibilità, online. Questo perchè sono d’accordo con quanto scritto e cioè la validità del rapporto tra chi guarda e chi ha fatto. Anche la sola presenza, senza parole. Si crea un fluido comunicatico per la comunicazione fatta di gesti, movimenti, tempi. Tutto questo non può avvenire mentre uno dei due coinvolti mangia noccioline al di qua e l’altro beve acqua minerale al di là, perchè non si vede. Detto questo, trovando sacrosanto il concetto che è l’uso della cosa e non la cosa a dare validità, temo che il futuro sarà del mezzo più che dell’uso che genera il prodotto. Basta un esempio per tutti: i like. Potevano essere un mezzo interessante che provocava qualche confronto, sono diventati l’espressione di…banale “servilismo” e le foto più di spesso, nessuno le ingrandisce nemmeno. Per cui ? Per cui il mezzo usato è stato premiato e premia e chisseneimporta, basta essere con i like in mezzo agli altri like. Uso del mezzo è stato omologato, o così o sei fuori. E’ sfuggito di mano, senza volerlo o sapientemente, per ottenere altro.
Alla fin fine, e così per l’oggetto in questione, una possibilità che va al pari passo con la tecnologia, diventa un mezzo diabolico che non si usa a vantaggio, ma a svantaggio svilendo la cosa che ci distingue: la nostra unicità, che soprattutto fatta di sfumature umane.
Bell’articolo, grazie. Fa pensare.
Giovanna Zorzenon
Non sono molto d’accordo, dipende sempre da come si usa il mezzo. Su una pagina fb posso dare un like o scrivere semplicemente ‘bella’, il che vuol dire che mi sta soggettivamente bene, ma posso anche, se lo ritengo opportuno, commentare più approfonditamente. Da ciò può nascere una comprensione reciproca più profonda, un vero dialogo. sta molto anche a chi posta le foto sollecitare commenti. Potrebbero essere indesiderati. Molteplici possono essere le motivazioni che spingono un fotoamatore a una lettura portfolio nel reale, o a una lettura online. A volte può succedere che un fotografo chieda un parere a chi non sa assolutamente nulla di lui, per sapere come un osservatore preparato possa essere più o meno colpito dalle sue fotografie, pur non conoscendolo affatto, insomma una lettura totalmente asettica e oggettiva. Dipende sempre tutto dalle aspettative e da come si usa un mezzo, anche telematico, fatta la tara che il lettore non vede nel reale le foto ma osserva delle immagini riprodotte a monitor. Quindi si concentra sul contenuto più che sulla forma.