La Fotografia Tecnicamente Consapevole. Seconda parte

La Fotografia Tecnicamente Consapevole. Seconda parte

Di Giorgio Rossi.

 

Kodachrome style o Ghirriana?

 

Nella prima parte dell’articolo avevo fatto qualche parallelo tra il fotografare su pellicola e farlo in digitale. Avevo paragonato, anche se in parte impropriamente, le riprese in diapositiva, più vicine per certi aspetti alle riprese in digitale, e le riprese fatte con pellicola negativa, in B/N o colore. In diapositiva pochissimi erano gli interventi possibili oltre a una corretta esposizione. Si potevano adottare filtri sull’obiettivo e, in interni, filtrare la luce. Poi una volta fatto click si attendevano i risultati, sempre con una certa ansia. Uno scatto non è sempre facilmente ripetibile. Sotto questo aspetto le riprese in pellicola diapositiva o negativa, sono identiche, ma sul negativo hai ampio margine di intervento in fase di stampa su possibili errori di esposizione. Entro almeno due diaframmi in sovra o sottoesposizione si possono ottenere stampe identiche o quasi.   In diapositiva i margini di intervento e correzione sono veramente assai ridotti. Già un errore di più o meno un diaframma è assai evidente.

Un altro parallelo possibile, concettualmente interessante. In diapositiva, proiettandola, vedi il positivo, esattamente come vedi in positivo uno scatto digitale sul monitor. Le riprese in pellicola negativa puoi solo immaginare come verranno dopo aver proceduto allo sviluppo, e alla stampa, si tratta di un iter del quale si dovrebbe essere consapevoli sin dal momento dello scatto. Per esserlo ci vuole tempo, esperienza nel seguire tutto il procedimento a partire dallo scatto sino alla stampa finita. Bisogna immaginare come verrà. In digitale come viene lo vedi al momento dello scatto nelle mirrorless o immediatamente dopo nelle reflex. La differenza tra il VEDERE subito, e l’ IMMAGINARE, non è cosa da poco. Per questa ragione, per ansia di prestazione vissuta per anni quando ero professionista e lavoravo per lo più in diapositiva, addentrandomi in riprese digitali ho scelto le mirrorless.

Porto comunque con me le esperienze precedenti, sono molto attento in fase di ripresa, scatto poco, come se avessi paura dei costi del rullino. Forse è uno sbaglio.   A differenza della diapositiva scattando in digitale quando rivedi a monitor puoi scegliere di aprirla con un programma di foto-ritocco. Da qui può iniziare una serie di step che gradualmente o rapidamente possono portare lontanissimo, e quasi senza rendertene conto, dallo scatto realizzato e da quello che si vede inizialmente sul monitor. Chi è abituato all’analogico probabilmente anche post-producendo in digitale sa già in partenza cosa vuole ottenere. Penso che i nativi digitali siano più propensi a farsi suggestionare dai milioni di enorme possibilità che un software mette a loro disposizione. Se sia un bene o un male non sta a me giudicarlo. C’è, come sempre è stato, anche in era analogica, la possibilità di farsi influenzare esteticamente da mode. Sia in fase di ripresa che in fase di post-produzione.

Tuttavia in era analogica ci si limitava quasi sempre al B/N, in diapositiva,spesso si sottoesponeva vistosamente il Kodachrome, piacevano assai quei colori vivacissimi. Ricordo rullini con pellicola 400 ASA ( ora sono diventati ISO) sviluppati in modo assai energico e stampati su carta gradazione 4. Praticamente privi di scala dei grigi, neri chiusi, bianchi bruciati e grana a pallocchi, era una moda diffusa. Nel digitale a colori sono di gran moda paesaggi scattati con un 8 mm, filtri ND e digrandanti, l’HDR pompato, sino a fare diventare l’immagine un fantasy, grazie al cielo sta passando di moda. Piace ancora sovraesporre di 3 stop, piace l’acqua seta o panna, a seconda della disponibilità economica.

A parte scherzi il digitale mette a disposizione di tutti, “facilmente”, il seguire tutto il processo dallo scatto alla stampa, e per giunta a costi assolutamente accessibili ai più. Anche se si stampa assai poco, la maggior parte delle foto viene condivisa sui social. A 1024 pixel che siano state scattate da uno smartphone o da una full-frame non fa differenza o quasi.   Insomma il “buono, il brutto e il cattivo” ci sono sempre stati, oggi nei social sono più evidenti. Prendiamoci il buono. Nel buono c’è anche la possibilità di scattare ad alti ISO.

A 25600 ISO si può riprendere a meno libera, senza cavalletto, un uomo di colore, nero, vestito di nero, in un tunnel in una notte senza luna. Ma volendo ci si può fermare a 1600 o 3200Iso e ottenere una qualità che con le pellicole era assolutamente impensabile. L’immagine digitale, sì sa è composta da pixel, l’immagine analogica è disegnata dalla “grana”, una miriade di microscopici cristalli di alogenuro di argento. Questo lo sanno tutti. La sensibilità della pellicola dipende per lo più dalla grandezza di questi granuli, più sono grandi più la pellicola è sensibile.

Ogni pellicola ha una sua grana, diversa da quella di altre pellicole, specie se sono di sensibilità diversa. Spesso si crede, “tirando” una pellicola da 400ISO a 1600 o più, di poterne aumentare la sensibilità. È un falso mito, la sensibilità rimane praticamente identica. Quello che si ottiene può essere un aumento di contrasto, un leggero aumento della dimensione dei granuli forse, ma per lo più si addensano. Tuttavia può essere utile per evidenziare un poco meglio alcune zone in ombra aumentandone il contrasto, il più delle volte a discapito della risolvenza, tuttavia l’effetto può essere piacevole. La grana di una stessa pellicola è identica a prescindere dal formato della pellicola, di conseguenza la sua visibilità in stampa dipende dal formato di ripresa e dall’ingrandimento al quale viene sottoposto un negativo. Un negativo 24×36 ingrandito 10 volte da luogo ad una stampa di 24x30cm, circa. Un negativo 6×7 ingrandito 10 volte da una stampa di 60×70 cm di identica qualità, se la pellicola in ripresa è la stessa. Di conseguenza a parità di dimensione di stampa un negativo di superficie maggiore viene ingrandito assai di meno, la grana sarà meno evidente. In pellicola è la grana a disegnare e dare corpo alla fotografia, la scelta della pellicola e del fattore di ingrandimento in stampa non è un fatto meramente estetico. Estetica e contenuto sono complementari.

Di ciò gli “analogisti” sono spesso assolutamente consapevoli. Leggo spesso di nativi digitali che vendono tutto u corredo per passare ad altro brand o dal formato APS-C alla full frame. Mi chiedo quanto siano consapevoli dei limiti e delle possibilità delle loro fotocamere. Quanto può essere ingrandito uno scatto da 24megapixel, su APS-C o full-frame per dare in stampa ancora buoni risultati? Si può arrivare a 84,8 cmx56,6 cm!… siete allibiti? Per approfondire potete leggere qui:
http://images.nital.it/nikonschool/experience/pdf/stampa-epson-p600.pdf

Eh però abbiamo già varcato la soglia dei 48 megapixel, stiamo arrivano ai 100! Ah benissimo così possiamo fare stampe grandi un palazzo? Per farle in verità basta una manciata di megapixel, poiché la stampa verrà osservata da lontano. Possono però servire a “croppare” un immagine. A fare un ingrandimento che può sembrare una ripresa con teleobiettivo con un grandangolo. Se poi possa avere un senso, anche e soprattutto concettualmente parlando, dipende da ognuno di noi, dal suo concetto di inquadratura “perfetta”.

Certamente un forte crop induce osservando una stampa a vedere da molto vicino quello che andrebbe visto da una considerevole distanza. Il discorso è assai complesso, viene in parte messo in discussione il “circolo di confusione” insomma pare di mettere in crisi le regole dell’ottica. In effetti vengono messe in crisi perché le unità di misura sono delle convenzioni, basate sulla vista media del genere umano. Anche il centimetro o il chilogrammo sono unità di misura aleatorie, basta mettersi d’accordo. Chi volesse a suo rischio e pericolo approfondire l’argomento può farlo qui:
https://it.wikipedia.org/wiki/Circolo_di_confusione

Ok, ma che ripercussioni si possono riscontare in pratica in un forte ingrandimento?

Si va dal micromosso, dipendente dall’impossibilità di tenere assolutamente ferma la fotocamera…

(https://www.aristidetorrelli.it/Articoli/DigitCdCMicroMOsso.htm)

Si può arrivare a constatare che l’infinito che pensavamo fosse a fuoco non lo è affatto. È difficile sapere quale sia l’effettiva profondità di campo a un dato diaframma di un obiettivo in digitale. Con la maggior parte delle ottiche attuali su digitale non sappiamo in ripresa se non molto sommariamente quale sia la distanza alla quale scattiamo, Può essere ininfluente, può invece essere importante usare opportunamente il regolo di profondità di campo inciso su un ottica per delimitare il campo di messa a fuoco precisa, dal primo piano all’infinito. Solo che il regolo non c’è quasi mai o è assai impreciso, c’è in genere solo una finestrella che indica approssimativamente la distanza di ripresa. Questa e il regolo erano incisi in tutte le ottiche che definiamo “vintage”.Ok allora adottiamo ottiche vintage sul digitale. Si può fare e si fa, con risultati alterni e variabili da obiettivo a obiettivo, alcuni hanno una resa qualitativamente assai buona, altri solo mediocre ma possono dare comunque risultati interessanti dal punto di vista estetico.

Va da sé che una focale studiata per un formato ha inciso sul bariletto dei numeri o segni che non sono validi su un altro formato, In altri termini se montiamo un cinquantino vintage su una APS-C, possiamo certo fotografare ma tutto quello che sta inciso su un ottica non ha alcun senso nel definire distanza di ripresa o delimitare una profondità di campo. Un ottica vintage montata su una Full-Frame può dare misure più attendibili, salvo il fatto che comunque è stata progettata per uso su pellicola quindi in forti ingrandimenti potrebbe rivelare forti aberrazioni cromatiche, mancanza di risolvenza o altri limiti.

Insomma il digitale ci ha preso e ci ha dato, sta ad ognuno valutare e soppesare, decidere come orientarsi in funzione di un soggetto o di un progetto, del suo modo di vivere la fotografia.

Sta di fatto che dubito assai della consapevolezza tecnica di molti che disquisiscono nei social con apparente competenza di fotocamere e obiettivi da loro mai provati, o che affermano felici: “mi è arrivata la nuova XY con l’obiettivo 8-2000 mm fuoco 0,95 fisso, ora esco, faccio quattro scatti e vediamo come si comporta!” … beh mi vien da dire che non sanno come comportarsi loro, da fotografi. Tutti beta tester in incognito? Va da sé che è più o meno la stessa gente che chiede consigli o afferma che una fotocamera non può fare questo o quello, senza mai aver letto il libretto di istruzioni.

 

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

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