La Fotografia Tecnicamente Consapevole. Prima parte.
Di Giorgio Rossi.
Nell’affrontare, parlando di fotografia, l’aspetto tecnico sento un poco il pericolo di scivolare su una buccia di banana. Probabilmente ognuno di voi ha le sue convinzioni, e non voglio certo cercare di cambiarle. Ci sono infiniti diversi approcci alla tecnica e alla fotografia, ognuno ha il suo, tutto sta trovare un proprio equilibrio.
Ci può essere chi rifiuta completamente l’aspetto tecnico in nome della libera espressione artistica. In fondo ci sono fotocamere con le quali è sufficiente scattare, non occorre altro. Un approccio del genere secondo me è parzialmente limitante, raramente premette di scattare in ogni possibile situazione, specie se non si ha alcuna competenza tecnica. Tuttavia immagino che la maggior parte di voi abbia una discreta conoscenza dell’aspetto tecnico. Normalmente certe nozioni di base si apprendono.
Una volta l’apprendimento iniziale avveniva su testi tecnici ben scritti ed autorevoli, molto diffusi, tipo il Feininger, o apprendendo da un amico che già aveva una discreta esperienza. Attualmente spesso si apprende qua e la in pagine Facebook dedicate alla fotografia, blog e workshop. I rudimenti tecnici di base in fondo sono sempre li stessi, ma manca una approfondimento unitario, una guida sicura, e non è del tutto detto che ciò che valeva nella fotografia analogica sia ancora perfettamente valido in quella digitale. Il più delle volte non vengono approfondite le differenze, le peculiarità e gli eventuali limiti di questi due mondi attigui.
Le relazioni tra sensibilità del supporto che viene impressionato dalla luce, diaframma, tempo di scatto sono rimaste identiche da quando sono state formulate scientificamente e industrialmente. Sia in ripresa che in stampa. Recentemente mi è stato chiesto se i dati letti da un esposimetro esterno siano validi ed applicabili sia riprendendo in pellicola che con una fotocamera digitale, la cosa mi ha fatto un poco sorridere. Perché mai uno strumento che misura la luce in fotografia dovrebbe essere utilizzabile solo fotografando in pellicola?
Credo che la tecnica in fotografia possa molto rozzamente essere divisa in ciò che riguarda la chimica ed elettronica di materiali sensibili e fotocamere e in ciò che riguarda l’ottica, lo strumento di ripresa. Forse uno dei più importanti libri di “ricette” formulate in era analogica è il “Photographic Facts and Formulas”, prima edizione del 1924, ultima edizione, credo, del 1976. Però a sua volta la prima edizione è un compendio attualizzato da una edizione del 1903 con nome e contenuti assai simili. In fotografia equivale all’Artusi in cucina.
E’ ancora utile?
L’intento della pubblicazione era di essere sempre aggiornata ad ogni successiva edizione in relazione dell’evoluzione dei materiali reperibili sul mercato. Ecco questo è un aspetto assai interessante. Formule di processi antichi, sviluppi, viraggi, colorazione alle aniline e molte altre, sono tecniche ancora valide e sperimentabili, i prodotti si trovano in commercio. Il procedimento di stampa Dye-transfer non è più attuabile, sebbene producesse stampe a colori di qualità eccelsa, superiore a qualsiasi altra tecnica attuale, semplicemente perché la Kodak ha smesso di produrre il kit di materiali indispensabile al procedimento.
Analogamente non esiste più la pellicola Kodachrome e di conseguenza non è attuabile nemmeno la stampa Cibachrome/Ilfochrome, benché fosse quella più stabile nel tempo e più esaltante come qualità cromatica. “It is not profitable anymore”è stato il laconico annuncio di dismissione della produzione. Così è per la pellicola fotomeccanica a tono continuo o meno, usata in serigrafia e in alcuni procedimenti fotografici (Tone-line, posterizzazione, cianotipie e altri), soppiantata da stampe ink-jet su pellicola trasparente. Alcuni procedimenti evolvono, si contaminano con procedimenti digitali, e possono essere ancora praticati con materiali diversi, sebbene non diano risultati del tutto analoghi, altri procedimenti muoiono senza che ce ne accorgiamo. A molti piace giocare al “piccolo chimico”, in modo pedissequo e filologico, altri si rivolgono per sviluppi, pellicole e carte da stampa a prodotti facilmente reperibili sul mercato.
Ogni cosa ha un senso per chi la fa.
Onestamente non mi sono mai preoccupato più di tanto di cosa avvenisse chimicamente quando versavo lo sviluppo in una tank con dentro il rullino avvolto nella spirale. Alcuni affermano che le loro macumbe fotografiche diano risultati infinitamente superiori a qualsiasi altro procedimento. Sono un poco scettico, certa strumentazione costa assai, è appannaggio dei procedimenti industriali, e solo con quella strumentazione si può agire in modo scientifico e preciso. Facendo prove a confronto che abbiano una loro validità e non siano solo giudizi aprioristici derivati dal fatto che abbiamo l’impressione di aver ottenuto un ottimo risultato.
È sbagliato agire in questo modo? No, non lo è, se i buoni risultati sono ripetibili va benissimo, viva le macumbe, l’importante è non essere convinti che la nostra metodologia sia in assoluto la migliore possibile.
Possono essere modus operandi utili ( penso al Sistema Zonale), in talune situazioni di luce, come per esempio di notte, dove c’è un divario estremo tra le zone buie e le zone illuminate da lampioni.
Ma parte il fatto che A. Adams lo adottava per lo più in riprese a lastre e non su rullini da 35 o 12 pose, e con i materiali sensibili del suo tempo, non è detto che non si possano raggiungere risultati altrettanto buoni, con i materiali attuali, agendo diversamente e in modo più semplice. Vi sono inoltre situazioni nelle quali è importante una riproduzione perfetta della gamma tonale, penso alle riproduzioni di quadri, e altre situazioni, più interpretative dove si tende a rendere solo determinati toni, come nella fotografia low e high key. Per la quale tuttavia bisogna scegliere soggetti opportuni, non si ottiene semplicemente sovraesponendo o sottoesponendo un soggetto qualsiasi. Nelle riproduzioni di quadri a colori, in diapositiva, si agiva scrupolosamente cercando una illuminazione dalla temperatura di colore controllata e con filtri ove consigliati nelle istruzioni dei materiali sensibili, si includeva nell’inquadratura una scala dei grigi e dei colori, finita lì. Nessuno poteva permettersi uno spettro termocolorimetro.
Oggi è abbordabilissimo, l’ottimo Sekonic C-700R SpectroMaster costa appena 1.500€! Ovvio che poi vi ci vorrà una vita per capire come funziona.
A parte scherzi volevo sottolineare il fatto che con i progressi tecnologici e la fotografia digitale un approccio più scientifico alla misurazione della luce in ripresa e correzione cromatica in post-produzione è diventato cosa possibile a tutti. Magari vi lamentate che in digitale la gamma di colori possibili è assai ristretta, sono solo 255 per canale colore, solo 16.581.375! Un inezia rispetto ai colori del mondo reale.
Però nel mondo reale un pittore se voleva fare un colore uguale ad un altro andava per esperienza, diciamocela tutta un poco anche a caso.
Ora aprite una vostra immagine digitale in Photoshop, andate sopra un qualsiasi punto dell’immagine col contagocce, vi verrà fuori l’esatta composizione del colore di quel punto espressa in red, green e blu, e in hue , saturation e value, indipendentemente dalla taratura del vostro monitor poiché tali valori sono immagazzinati nel file che state osservando….
Quel colore è esattamente determinato e riproducibile, anche se magari con altri monitor sarà visualizzato in modo differente. Lo stesso accade ovviamente per la scala dei grigi, che detto per inciso possono anche non essere neutri. Se lo sono, le gradazioni di grigio (su un unico canale) sono solo 255 dal nero al bianco!
È pur vero che i valori tonali sono solo numeri numeri interi, e sono valori lineari, ma c’è una esatta rispondenza tra i valori 0-X del sistema Zonale di Ansel Adams. 0 nella gradazione digitale equivale a 0 nel sistema zonale. Nero assoluto. 255 equivale a zona X, bianco. 127 equivale a zona 5, grigio medio. Il discorso può essere approfondito, non voglio tediarvi, se volete approfondirlo eccovi il link opportuno:
http://www.rags-int-inc.com/phototechstuff/tonesnzones/
Una considerazione importante. Un negativo fotografico rappresenta i toni in modo invertito rispetto al digitale. Le zone che in un negativo appaiono bianche in stampa verranno nere e viceversa.
Per questa ragione col negativo B/N si espone per evitare il “clipping” nelle ombre (le ombre totalmente chiuse) mentre in diapositiva colore e in riprese digitali si espone per evitare il clipping nelle alte luci. Va tuttavia sottolineato che in un negativo B/N le zone chiare non sono mai totalmente trasparenti e sopratutto le zone scure non sono mai totalmente nere e impenetrabili.
Quindi c’è un certo margine di intervento in stampa. In digitale, a meno di ridurre il clipping delle alte luci in post-produzione , non c’è margine possibile. Il 255 è bianco sfondato, privo totalmente di informazioni. Di conseguenza col digitale non sono ammessi eccessivi errori di esposizione, si comporta esattamente come la diapositiva. Facciamocene una ragione e impariamo ad esporre in modo più corretto possibile. Anche questa è consapevolezza tecnica.
Ma a proposito di consapevolezza tecnica in post-produzione digitale, lo sapete cosa accade se fate anche un minimo intervento su “livelli” o su “curve”? Beh è un poco come se prendeste un badile e spostaste una bella manciata di pixel da una parte all’altra. Dove li levate rimane un buco, nulla di grave…. forse.
Tutto qua? Oh no, ci sono vari altri aspetti da considerare, cercherò di farlo nella prossima puntata.
Lascia un commento