La Fotografia sospesa tra Metodo Scientifico e Pensiero Magico

Più o meno sappiamo tutti cosa è la fotografia. Ne abbiamo una coscienza diciamo così sociale e condivisa o condivisibile,  e una privata, del tutto personale. Il condiviso e condivisibile va poco oltre l’etimologia del termine. Fotografia è scrittura con la luce, in questo non si può non essere d’accordo. La scrittura avviene per contrasto.

Un foglio bianco un pennino intriso di inchiostro nero che scorre sul foglio, disegna tracciando segni, in un un codice decriptabile del quale ci sono state fornite le chiavi sin dalla tenera infanzia. Ok oggi come oggi è diffusa la lettura e scrittura al pc, se proviamo a scrivere con la penna siamo maldestri. La calligrafia è pessima, non riusciamo quasi a rileggerci, a fare fluire i pensieri e metterli in giusto ordine. Ormai non scriviamo più nemmeno la lista della spesa, è più rapido annotarla allo smartphone.

 

© Giorgio Rossi. Previsioni del tempo: nebbia

 

 

Diventa rapidamente automatico il leggere, lo scrivere, il cogliere nel corretto ordine (da sinistra a  destra, dall’alto in basso nella nostra cultura), il significato di segni e parole, ove tutto ciò non avviene correttamente  si parla di dislessia.

Il leggere una immagine diventa rapidamente altrettanto automatico, al punto che ci sembrano avere le caratteristiche di un linguaggio di segni universale, mentre invece sono legate al nostro ambito culturale. Esattamente come il nostro alfabeto non è comprensibile da chi scrive e legge ideogrammi.

Il metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile: esso consiste, da una parte, nella raccolta di dati empirici sotto la guida delle ipotesi e teorie da vagliare; dall’altra, nell’analisi rigorosa, logico-razionale e, dove possibile, matematica di questi dati, associando cioè, come enunciato per la prima volta da Galilei, le «sensate esperienze» alle «dimostrazioni necessarie», ossia la sperimentazione alla matematica”

Da Galileo ad oggi, però, la scienza è evoluta e si è articolata in sempre nuove discipline rendendo difficile definire una precisa metodologia universalmente applicata ed applicabile nei diversi secoli e nelle diverse discipline… Il progresso scientifico presuppone l’esistenza di una comunità che stimola culturalmente la ricerca, ne convalida il metodo e ne recepisce i risultati.

Ogni settore scientifico ha un suo linguaggio condiviso. La necessità che il testo si basi su codici standardizzati e che ammettano una sola interpretazione spiega l’esistenza di terminologie, ma anche di schemi uniformi e ora sempre più codificati di strutturazione dei testi (sicché le lingue tecniche e scientifiche sono molto più regolate di quanto sia, o possa essere, la lingua comune; ed esistono enti di regolazione). L’esclusione della soggettività dell’autore fa sì che le asserzioni scientifiche siano focalizzate sul processo e non sull’autore o sull’agente degli eventi rappresentati.

 

© Giorgio Rossi. La casa sul confine della sera

 

In pratica quando abbiamo iniziato a interessarci di fotografia, ne abbiamo iniziato ad apprendere, senza quasi accorgercene, il linguaggio specifico. Per esempio il termine diaframma ha un significato preciso e specifico nel nostro settore, assai diverso da quello in ambito ginecologico o di medicina sportiva o altro. Conoscere il linguaggio specifico è assai utile in ogni settore scientifico, accelera la comunicazione, lo scambio di competenze e informazioni, l’approfondimento.

Nel mondo reale la specializzazione settoriale cresce costantemente. Adoperando un martello per piantare un chiodo è quasi intuitivo il nesso causa effetto, usiamo indifferentemente o quasi un martello o un altro, basta che funga allo scopo di piantare un chiodo. Non ci chiediamo cosa voglia dire esattamente la specifica DIN 1041, basta che sia utile allo scopo, inutile farsi troppe domande quando dobbiamo piantare un chiodo. Specie in questi ultimi anni nei social leggiamo esternazioni di gente che parla in modo saccente di argomenti scientifici  o medici, presumendo di averne competenza, e pretendendo di essere alla pari con chi quelli argomenti li ha studiati per anni. Da qui al passare al pensiero magico, all’annullamento totale della valenza dello studio, del evoluzione e progresso scientifico, della storia, è un attimo.

Mai avremmo creduto anni or sono che si potessero disotterrare e diffondere teorie di terrapiattismo. Eppure accade. Se mettiamo una mano sul fuoco ci bruciamo, il nesso è corto, pare evidente, non pensiamo a una magia. Certo c’è una ragione scientifica, l’accettiamo anche senza conoscerla. Se scriviamo un messaggio sul pc istantaneamente arriva all’altro capo del mondo. Il nesso è lungo non solo nelle distanze ma in tutto quello che succede al messaggio da quando lo inviamo. Certo siamo sicuri che ci sia molto di scientifico in tutto ciò, un nesso causa effetto deve esserci, ma possiamo anche pensare che si tratti di una magia. La prima e la seconda esperienza sono in un certo senso simili ma le percepiamo assai diverse. Cosa ci sarà dentro il vaccino anti-covid? Per sicurezza meglio non farlo, non si sa cosa ci sia dentro! Poi si sta tutta la giornata con lo smartphone appiccicato all’orecchio e si cucina con pentole di teflon. Ma veniamo al rapporto tra pensiero magico e fotografia.

Un celebre aforisma di Henry Cartier Bresson recita: “Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira testa, occhio e cuore. È un modo di vivere”. Come ben sappiamo si rifà alla filosofia degli arcieri Zen, capaci di cogliere il centro del bersaglio a occhi chiusi. Quanto ci può essere di scientifico in tutto ciò, quanto di magico? Sì ma il pensiero magico cos’è? “Il pensiero magico costituisce un tipo di processo mentale in cui le associazioni tra un soggetto e un oggetto non rispondono ad una relazione di causa-effetto come nella logica deduttiva, ma risultano collegati tra loro per somiglianza, simpatia, oppure contiguità in quanto parti di un tutto.

Però credo vada fatta una distinzione tra tecnica e contenuto di una fotografia.

 

 

La tecnica può anche essere precisa, almeno ci si prova. Però poi magari ci accorgiamo che una foto di un  paesaggio è venuta straordinariamente bene, godibilissima in ogni minimo particolare, un’altra invece è scialba, eppure le due inquadrature sono ambedue valide, ma la differenza che si percepisce immediatamente è abissale. Cosa è successo?

Può essere anche solo una differenza di luce, i raggi del sole sono arrivati con una inclinazione diversa, hanno creato sottili ombre e un rilievo tridimensionale diverso, magari nella migliore c’era un cielo più terso, aria più fresca e pura, l’aria calda vibra. Scattare a f/11 e 1/250esimo oppure f/22 e 1/60esimo può fare una differenza enorme. A 1/60 una fotocamera stabilizzata probabilmente  non da micromosso, ma può essere determinato da un soffio impercettibile di vento.

Magari laggiù vicino all’infinito, non dove siete. Magari anche una  leggera differenza di posizionamento del piano di messa a fuoco  principale dal quale poi deriva n a un determinato diaframma la profondità di campo davanti e dietro quel piano.

 

© Giorgio Rossi. La porta

 

Insomma non è possibile tenere a bada tutti i parametri che vanno a determinare la differenza tecnica tra una  foto perfetta e una normale. Quando viene perfetta si sospira  tra sé e sé un “wow, magia!”. L’unica documentazione tecnicamente perfetta, neutrale, oggettiva, è quella della riproduzione di una scala dei grigi.

Hai voglia a scrupolosa applicazione dello Zone System di Adamsiana memoria. Può aiutare ma non può risolvere.

 

© Robert Doisneau

 

Questo dal lato tecnico, poi c’è il contenuto. Pensiamo al famoso bacio di Doisneau. Quanti di voi sono rimasti delusi nell’apprendere che la foto era staged, costruita? Beh era più bello credere che per caso o per magia, o per inarrivabile maestria dell’autore, la foto sia venuta incantevole. Ci cade un mito, ben non proprio ci cade, lo recuperiamo in corner, ma ci sentiamo un poco presi in giro.

Tuttavia accade, o almeno accadeva più spesso una volta, che come scritto in grassetto, più sopra il caso disponesse tutti gli elementi compartecipi dell’inquadratura. Comunque in genere il reportage doveva essere “asettico”, documentare oggettivamente, onestamente, la realtà che il fotografo si era trovata davanti. C’era una volta, or non c’è più o quasi. Per vari motivi. Il rispetto della privacy in Italia. La crisi dell’editoria, la difficoltà di inviare i fotografi sul luogo, la scarsa retribuzione. Chi glielo fa fare al fotografo di documentare obbiettivamente il reale al rischio di rimetterci la pelle?

 

© Giorgio Ross. storytellig: la casa di Erika

 

Dunque si sta diffondendo sempre più un fotogiornalismo “storytelling”, creativo, che mostra e non dimostra e tu osservatore ci credi per fede, perché hai bisogno della favola dove regna la magia, ti fa tornare bambino, felice. Ci credi per fede, esattamente come come ripetevi a memoria l’Ave Maria, credendoci, oppure come, sempre a memoria, imparavi e ripetevi il principio di Archimede, credendo nella sua veridicità anche senza averla verificata in laboratorio:

“Un corpo immerso (totalmente o parzialmente) in un fluido riceve una spinta (detta forza di galleggiamento) verticale (dal basso verso l’alto) di intensità pari al peso di una massa di fluido di volume uguale a quella della parte immersa del corpo”.

Il pensiero magico in fotografia è questo.

Mostra senza dimostrare.

 

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

 

 

© Giorgio Rossi. La casa nella nebbia

 

 

 

 

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