La Fotografia è Arte?

Direi di no, come non lo è a prescindere la pittura, sempre che non si pensi che anche un imbianchino sia un artista. La fotografia può essere arte, esattamente come una buona carbonara.

Oggi come oggi il dilemma è quasi irrilevante, la fotografia sembra troppo spesso servire solo a vendere fotocamere. Per questo collaboro a Sensei, per cercare di dire con la mia piccola voce, insieme a tante altre ben più autorevoli voci, qualcosa che ci tiri fuori dal pantano del mezzo scambiato per il fine. La professione fotografo è sempre più difficile, a stento dà il pane necessario, o forse sarebbe meglio dire che non c’è più pane, siamo arrivati alla frutta. Le strade percorribili sembrano essere ormai alquanto limitate:

1) La fotografia di matrimoni. Oggi viene chiamata spesso “wedding” per cercare di nobilitarla, come se si fosse afflitti da un complesso di inferiorità nel rendere un servizio… esattamente come lo spazzino viene chiamato “operatore ecologico” pura ipocrisia. Eh il “servizio”, una volta si diceva così. “ Vado a fare un servizio”. Oggi sembra un temine inaccettabile, quasi si fosse tutti destinati a più alti e nobili compiti. Il mondo virtuale, quello dei nostri sogni e delle nostre aspettative raramente coincide col mondo reale.

2) Lavorare per progetti umanitari, Onlus…. un nobilissimo intento, peccato che pochi poi vogliano vedere o far vedere, pubblicare e pagare tali servizi. Le Onlus per definizione sono o dovrebbero essere senza scopo di lucro, i giornali tendono a non pubblicare cose “tristi”.

3) l’Arte. Sembra potere essere tutto ma spesso è niente, senza una vera creatività, senza una coscienza storica e visiva di quello che già è stato fatto…

4) Fare di tutto un po’, insomma arrabattarsi, o se vi piace di più, fare di necessità virtù. Erigersi a Maestri, complice una manciata di like su Facebook, insegnare in workshop, istituire corsi di base, leggere portfolio, insegnare come si legge un portfolio.

Ma entro finalmente nell’argomento. L’Arte, la creatività.

 

French Vogue, December 1976. © Guy Bourdin

 

Dell’arte si è spesso apprezzata l’unicità, il lento lavoro manuale oltre che intellettuale per arrivare all’opera finita. Talbot ebbe il merito di inventare il passaggio negativo/positivo (anche se il negativo era di carta), rendendo riproducibile l’immagine in innumerevoli copie. Parte dell’ambiguità della Fotografia nasce qui. Giusto per cavillare: anche di opere pittoriche si cercò di guadagnare qualche spicciolo in più diffondendo copie

In Fotografia l’unico originale, irriproducibile, è la diapositiva o il negativo. Fare una copia di un negativo, identica al negativo originale, è assolutamente impossibile. Il positivo è una copia, un multiplo, riproducibile ad libitum, su diversi media. Certo lavorando in camera oscura, con mascherature, bruciature e altro si ottengono stampe diverse una dall’altra. Magari solo una riprodurrà in positivo le sfumature che ci sono nel negativo in modo vicino alla perfezione. Quell’opera avrà forse i crismi per essere considerata unica. Chi è in grado di apprezzare tali differenze, talora assai sottili, talora percettivamente rilevanti, può anche essere disposto disposto a pagarle. Con la fotografia digitale è possibile avere in un attimo centinaia di copie assolutamente identiche.

Fortunatamente per altri, per i non collezionisti, conta prevalentemente il soggetto, indipendentemente da come e in quante copie sia stato riprodotto. Non per nulla da Ikea si vendono piacevoli poster fotografici , 50x70cm, 7€ la coppia.

L’eterna contrapposizione Forma/Materia ognuno se la risolve come meglio crede, siamo adulti e vaccinati… Anche se..

La forma ha una priorità cronologica e ontologica, prima nel tempo e prima come essere rispetto alla materia: essa è infatti sia causa efficiente, quella che rende possibile l’esistenza della sostanza, sia causa finale, esprime il fine che dà senso all’esistenza della cosa stessa. Ma, sostiene Aristotele, la priorità della forma è anche logica perché «di ogni cosa si può parlare in quanto ha una forma e non per il suo aspetto materiale in quanto tale»

 

Charles-Jourdan-Spring-1979. © Guy Bourdin

 

Sia quel che sia tra gli infiniti possibili soggetti degni di essere riprodotti o rappresentati, il corpo umano ed in particolare quello nudo e femminile, ha attraversato la storia dell’umanità a partire dalla “Venere di Willendorf” una statuetta risalente a 25.000 o 26.000 anni fa, mille più mille meno.

Statue, disegni, dipinti e da ultimo fotografie, hanno tracciato attraverso differenti raffigurazioni la storia, l’evoluzione, dei canoni estetici, del costume, ecc. Il fotografo interessato a cimentarsi in questo genere ne dovrebbe avere di esempi per ispirarsi. Attualizzandoli, facendoli propri, per esprimersi in modo artistico o anche solamente interessante, piacevole. Eppure di solito non avviene.

 

Charles-Jourdan-Spring-1979. © Guy Bourdin

 

La maggior parte delle immagini di nudo, glamour, ritratto, sono scontate, nascono vecchie nonostante le nuove tecnologie, che potrebbero forse favorire nuove forme espressive, riescono spesso prive di ogni attrattiva. Mancano di ideazione, di creatività, di forma, di contenuto, di motivazione. Basterebbe saper copiare, attualizzare, metterci un pochettino di sé e del proprio gusto, ad averne. Eppure un tempo era possibile esprimersi in modo artistico con tali soggetti ed anche guadagnarci il giusto. Cos’è cambiato?

 

Charles-Jourdan-Spring-1979. © Guy Bourdin

 

Il modo di vedere, le idee che precedono lo scatto. Un esempio pratico: Guy Bourdin nacque il 2 dicembre 1928 al 7 di Rue Popincourt a Parigi. Fu abbandonato da sua madre l’anno seguente, e fu adottato da Maurice Désiré Bourdin, che lo allevò con l’aiuto di sua madre Marguerite Legay. Tanto per dire che non ebbe la fortuna di nascere “bene”.

Imparò i primi rudimenti di fotografia durante il servizio militare. Nel 1950 tornò a Parigi, dove conobbe Man Ray, e ne divenne il protégé. “L’audacia formale e la forza narrativa delle opere di Bourdin superarono i limiti della fotografia pubblicitaria convenzionale. Frantumando aspettative e mettere in discussione i limiti, pose le basi per un nuovo tipo di fotografia di moda. Lavorò per Vogue ed Harper’s Bazaar, curò le campagne promozionali di Chanel, Issey Miyake, Emanuel Ungaro, Gianni Versace, Loewe, Pentax e Bloomingdale’s.

 

Charles Jourdan, April 1974 © Guy Borduin

 

Fu il primo fotografo a creare una narrativa complessa, fatta di elementi sensuali, provocatori, scioccanti, surreali ed a volte inquietanti da associare ad oggetti di moda. Nel 1985, Bourdin rifiutò il Grand Prix National de la Photographie, che gli era stato riconosciuto dal ministero della Cultura francese.” Di riconoscimenti ufficiali, esposizioni, d’essere considerato “artista”, probabilmente non gliene importava un granché. Fu un fotografo, un vero professionista.

 

Charles Jourdan, Campaign 1975 © Guy Borduin

 

Capì che gli unici riconoscimenti davvero importanti per vivere, erano i soldi, quegli che venivano dalla committenza. Morì nel 1991. Iniziò in B/N poi (intorno al ‘75) passò ad un colore talvolta sfacciato, provocatorio quanto le sue foto. Giocando con costumi da bagno, calze, scarpe di Charles Jourdan, inventando storie audaci dai colori sgargianti, rosso acceso, bianco, blu. Mai dimenticando il surrealismo. Idee e inappuntabile realizzazione, tutto funzionale a soddisfare la committenza pur non rinunciando ad esprimersi liberamente.

Oh guardate, bevete con gli occhi queste immagini, non diffondete la voce, di lui su siti italiani dedicati a grandi foto non c’è quasi traccia.

 

Giorgio Rossi.

Semplicemente Fotografare.

 

https://www.semplicementefotografare.com/live-2019

 

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