Non sono capace di fotografare persone senza essere in qualche modo coinvolto, però è un coinvolgimento potenzialmente destabilizzate. Quindi la fotografia di persone mi piace osservarla più che praticarla. Fortunatamente mi è stato richiesto assai raramente nella mia vita professionale. Mi piace cercare le tracce lasciate in un ambiente che dimostrano un passaggio, una vita che cerco di intuire tra un prima e un poi. Oggetti di casa, architetture, senza un riferimento particolare a una specifica persona.
Mi è praticamente capitato solo una volta di fotografare una donna, per una pubblicità di pellicce. Il layout era stato deciso assai precisamente da altri. Doveva stare semisdraiata su un piano fortemente inclinato. La posa, difficile da mantenere con disinvoltura, doveva sembrare assolutamente naturale. Nulla di erotico o di ammiccante. La donna era una modella professionista, non top ma discretamente conosciuta. Sapeva come porsi davanti all’obiettivo, una volta spiegato quello che mi era necessario tutto avvenne in brevissimo tempo, direi ottimamente. Meglio così, probabilmente non avrei saputo “guidarla” o quanto meno mi ci sarebbe voluto del tempo. e del resto non c’era bisogno di introspezione o altro.
La fotografia di persone è fatta di polarità, da una parte il fotografo, dall’altra la persona che si intende riprendere, il soggetto. In mezzo un obiettivo che fa da filtro e non si dovrebbe vedere. Attraverso quell’obiettivo avviene uno scambio nei due sensi ma non dovrebbe apparire. Poi, a foto finita, stampata o visualizzata a monitor, avviene un altro scambio, tra il soggetto ripreso e l’osservatore. Il fotografo scompare.
Continua a esistere naturalmente, ma solo in background. Penso sempre al fotografo come a un burattinaio che regge i fili di un racconto, se si vedono i fili il racconto non scorre, non arriva. Forse la mano, l’occhio, la bravura, l’intuito del fotografo, sono doti sottili o almeno a me piacerebbe fosse così.
Oggi la fotografia di persone è spesso troppo urlata, non si insinua, non conquista con garbo. In fondo la fotografia di persone è tutto sommato quasi sempre una messa in scena per l’osservatore. Di per sé, che sia ritratto, figura ambientata, glamour, moda nudo o altro , a pensarci un momento non è quasi mai credibile
Perché una persona dovrebbe stare lì facendo un qualcosa, vestita o nuda, in un posto? Perché così e non altrimenti? Perché esattamente quel posto e quella situazione?
Ecco, se quando osservando una foto inizio a farmi delle domande c’è qualcosa che per me non va in quella foto. Ahimè mi accade spesso. Troppo spesso i soggetti ritratti non sono persone, sembrano più oggetti, messi lì come sacchi di patate. Insomma, per dire, modella presso modella fotografata da fotografo presso fotografo, con l’assistenza di mua presso mua.
OK non è mica detto che si debba essere tutti professionisti, l’intenzione può anche essere del tutto amatoriale, semplice piacere di un click. Però se si condivide, se una fotografia si posta in social, non è più un fatto solo personale, diventa appunto condivisione. L’ambizione o il desiderio è di raggiungere l’osservatore, di rapirne l’attenzione almeno per un istante.
Ricordo un fotografo in un social, aveva postato una foto, chiedendo esplicitamente critiche & consigli. Beh era una bionda, truccata e monturata in modo improbabile, vestita leopardata, tacco 12, abbarbicata ad uno scoglio come una cozza, con l’espressione di chi ha paura di cadere in acqua. Perchè? Molti osservando la foto intervennero garbatamente dando i loro consigli, spiegando che in quella foto praticamente non andava bene assolutamente nulla. OK, il fotografo apprezzò le critiche, disse che ci avrebbe pensato. Qualche giorno dopo postò un altra foto. Sempre la stessa “modella” sempre in atteggiamento e vestiti improponibili, sempre tacco 12, però questa volta tra le rotaie di una ferrovia dismessa. Perchè? Gli venne consigliato di osservare con attenzione foto di modelle riprese da celebri autori. Guardando si impara. OK, accettò il suggerimento. Tornò dopo qualche mese con un’altra foto altrettanto improbabile, non c’era verso. Deluso dalla mancanza di like sparì per sempre.
Penso che molti si concentrino nell’aspetto tecnico, nelle luci, magari in studio, seguendo classici schemi di illuminazione, ma non sappiano rapportarsi con la persona che riprendono, rimane sempre oggetto, non riesce a diventare soggetto. Oltre all’espressione anche l’atteggiamento è importante, forse in più grande problema sono le mani. Spesso sono lì come se chi viene ripreso non sapesse cosa farne e il fotografo non sapesse suggerire cosa farne. Insomma nessun dialogo tra i due, chissà forse poca conoscenza reciproca, forse poco tempo a disposizione o forse poca attitudine, poca sensibilità, poca empatia di entrambi. Forse anche colpa mia e spesso anche di molti osservatori. Si tende a paragonare mentalmente gli scatti di un principiante, di un professionista all’inizio della sua carriera, con le fotografie di celebri fotografi, come Sieff, Avedon, Gastel o altri notissimi, e ovviamente dal confronto i primi ne escono asfaltati.
Sono sensazioni che avverto osservando ritratti o persone ambientate, difficili da spiegare.
Penso sempre che non si può parlare di fotografia senza osservare concretamente delle fotografie, per me senza un riferimento è come parlare del sesso degli angeli.
Tra i giovani emergenti mi piace David Glauso.
Una bella persona che fotografa belle persone, soggetti, uomini e donne, o per lo meno ci prova e spesso ci riesce.
Gli cedo la parola.
“La mia fotografia nasce dalla curiosità di raccontare qualcosa e cercare di fermare quel momento per fissare un ricordo. Per me la fotografia è essenzialmente uno strumento per ricordare e raccontare. Da questo semplice concetto si sviluppa il mio percorso fotografico che è passato attraverso varie fasi.
Ho iniziato a 10 anni con la mia prima reflex in analogico, una Fujica STX-1. Poi all’età di 19 anni circa si è bloccato questo percorso in fotografia per poi riprendere nel dicembre 2011 con una reflex digitale.
Prima con la street, subito dopo con la ritrattistica personale e di moda, ho iniziato la mia attività professionale quasi per caso. Ho fatto mostre fino al 2017 perché invitato a partecipare e non perché le avessi cercate.
In fotografia credo sia fondamentale lo sguardo che il fotografo pone sul mondo. La fotografia è uno strumento espressivo e mi sono appassionato alla fotografia di persone. L’aspetto umano è un aspetto caratterizzante della mia fotografia che è stata condizionata dall’amore per il cinema di autore, dalla scultura di Michelangelo, dalla pittura di Caravaggio e da due fotografi come Elliott Erwitt e Jeanloup Sieff.
Il ritratto è il racconto di un rapporto, direi l’incontro tra due persone: il soggetto fotografato e il fotografo. Senza questa caratteristica non si può parlare di ritratto. Ogni persona ha qualcosa di buono e bello da raccontare. Non esistono modelli nella mia fotografia ma persone che mostrano qualcosa di loro. Dico sempre: nella fotografia di ritratto come nel reportage conta moltissimo l’esperienza che si vive più dell’estetica che, devo dire, in questi ultimi decenni è molto stereotipata.
Credo di essere controcorrente perché non desidero seguire le mode ma un modo di vedere le cose con il mio gusto e la mia sensibilità. Credo che se una fotografia non racconta qualcosa non sia una buona fotografia.
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