Qualche giorno fa ho dovuto traslocare le mie riviste di fotografia: il Diaframma Fotografia Italiana, Progresso Fotografico, Skema, Photo, Zoom, Phototeca, altre sparse, roba di oltre 40 anni or sono. Oltre a queste ci sono riviste e libri dove sono stati pubblicati miei servizi, la corrispondenza con le redazioni, le lettere d’incarico. Tutto a quei tempi era concretamente cartaceo, frutto di rapporti diretti.
Quello che esiste oggi sul web, qualsiasi cosa sia, non sarà più reperibile tra qualche anno. Abbiamo ancora gli scritti dei poeti greci, la divina commedia, opere d’arte eccelse, sono cose concrete e continueranno a vivere.
La nostra attuale è una cultura liquida, volubile, precaria, destinata per lo più all’obsolescenza in pochi attimi, a sparire per sempre al massimo tra qualche anno, se va tutto bene. Effimeri sono anche i file che conservano nascoste tra innumerevoli numerini quelle che chiamiamo fotografie.
Ovviamente un problema è anche l’ attuale sovrapproduzione, più o meno compulsiva. File da 40 megapizze sono normale amministrazione, costringono a potenziare i PC se si vuole “lavorarli” in fretta, cmq nessun problema si può archiviare tutto in pochi attimi su una SSD da 2TB .Se si riempie se ne acquista un altra, volendo spariamo ifile su una nuvola, così stiamo sicuri. Tra qualche anno potrebbero diventeranno irrecuperabili tra i detriti di satelliti. L’Esa ci avverte che stiamo riempiendo di mondezza lo spazio.
A chi appartengono questi satelliti artificiali? A molte nazioni più o meno potenti, l’Italia ne ha 21.
SpaceX, con ben 1.655 satelliti, possiede e gestisce la maggior parte dei satelliti in orbita attorno alla Terra. Più di un terzo del totale dei satelliti attualmente in orbita, addirittura il 36%. La ragione dell’affollamento di satelliti di Elon Musk risiede nell’obiettivo del creatore di Tesla di fornire accesso a Internet a banda larga ad alta velocità a quasi tutti nel mondo attraverso la sua nuova impresa Starlink.
Sarà vero? In ogni caso stiamo in una botte di ferro, la banda larga ad alta velocità è assicurata.
I miei negativi le mie diapositive di 40 anni or sono non sono pochi, so trovarli assai rapidamente.
Attenzione non voglio attizzare la diatriba se sia meglio l’analogico o il digitale. Mi interessa più considerare la distanza attuale tra mondo virtuale e mondo reale. Non è che il mondo virtuale ignori quello reale, tutt’altro.
La cronaca di ciò che accade nel mondo reale viene passata al vaglio minuto dopo minuto nel mondo virtuale. Si accendono dibattiti accesi tra opposte interpretazioni di un fatto, favorevoli/contrari, ci si scandalizza.
Lo sdegno che ha suscitato una notizia non ha alcuna ricaduta nel reale.
Siamo pronti a far rivoluzioni webbiche, meno a scendere in piazza, di fatto il web ci rende sempre più singoli individui isolati, incapaci di agire concretamente insieme, incapaci di far “movimento” e avere una influenza nei fatti che avvengono nel mondo reale.
Ogni movimento rilevante è sempre stato anche sociale, culturale, artistico, e quant’altro. Pensiamo al futurismo, al razionalismo, al ‘68, hanno lasciato tracce a volte importanti.
L’ultimo movimento di una certa rilevanza è stato nel 2019 quello delle “sardine” nel novembre 2019.
Si concretizzò in flash mob, riunioni rapide, gioiose, in un riappropriarsi delle piazze senza chiedere il permesso.
Un anno dopo cala la scure del covid, il rapidissimo dilagare dei contagi, si passa da epidemia a pandemia, sia arriva alla fatidica domenica 8 marzo 2020, lockdown nazionale.
Il Decameron di Boccaccio inizia con la descrizione della peste che colpì Firenze (e l’Europa intera) nel 1348, concentrandosi sul degrado morale della società che l’epidemia ha portato con sé in città.
“E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito…”
Il libro narra di un gruppo di giovani che per dieci giorni si trattengono fuori da Firenze, spostandosi in una villa sulle colline del fiorentino, per sfuggire alla peste nera che imperversa nella città. A turno si raccontano delle novelle di taglio spesso umoristico e con frequenti richiami all’erotismo bucolico del tempo.
Potrei sbagliarmi ma ci vedo forti attinenze a quanto è successo col covid e sta ancora succedendo in questo interminabile post-covid.
Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, in occasione del carnevale del 1490 compone la “Canzona di Bacco”
Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza…
Questa esortazione a goderci la vita senza pensare al futuro nel dopo covid l’abbiamo adottata felicemente. Spritz time come se non ci fosse un domani.
Tra il 1950 e il 1960 iniziarono a diffondersi movimenti ambientalisti a livello di massa. Dietro c’erano studi scientifici non da poco, non furono solo una moda.
La Federazione dei Verdi (spesso indicata semplicemente come I Verdi) è stato un partito politico italiano di ispirazione ambientalista, progressista e pacifista, appartenente e fondatore dell’European Green Party, l’Unione dei partiti verdi europei. Fondato agli inizi degli anni 1990, ha concluso la sua attività trentennale il 10 luglio 2021.
il 12/15 novembre 2008 a Firenze, Fortezza da Basso si svolge la Conferenza Internazionale sull’attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio a otto anni dalla sua firma a Firenze.
Il paesaggio è un ponte che l’uomo continua a costruire tra passato e futuro.
E’ il luogo della memoria e della nostalgia e anche l’ambiente reale della nostra esistenza e il fondamento della nostra speranza.
E’ qualcosa che riguarda il nostro io, le nostre percezioni soggettive, la nostra “casa”.
Ed è comunque un patrimonio comune che possiamo percepire, apprezzare e studiare come qualcosa che tutti ci riguarda…
La fotografia in questo interesse per il paesaggio, per l’ambiente, come si è collocata?
Direi che l’azione di molti fotografi fu sin dagli inizi in perfettamente in sintonia con i tempi, forse addirittura di avanguardia, comunque assolutamente partecipe, attivissima.
Nel gennaio del 1975 presso la George Eastman House di Rochester, New York, ebbe luogo una mostra curata da William Jenkins “New Topographics: Photographs of a Man-Altered Landscape”
Per “New Topographics” William Jenkins selezionò dieci giovani fotografi, otto statunitensi, Robert Adams, Lewis Baltz, Joe Deal, Frank Gohlke, Nicholas Nixon, John Schott, Stephen Shore e Henry Wessel, Jr., e i due coniugi tedeschi Bernd e Hilla Becher. Ogni fotografo presentò dieci stampe. Tutti a parte Stephen Shore lavorarono in bianco e nero.
La mostra costituì un momento importante nella storia della fotografia segnalando e allo stesso tempo favorendo un diverso approccio, più distaccato e meno spettacolare, alla rappresentazione del paesaggio, sia negli Stati Uniti che in Europa, fino a quegli anni dominato dal lirismo di artisti come Ansel Adams, Minor White e Paul Caponigro, tendenti alla celebrazione di una natura non violata dall’uomo, capace di veicolare significati simbolici o metafisici.
Fu in mostra una tendenza, un approccio alla fotografia di paesaggio, destinato ad avere influssi tutt’ora evidenti. Non furono solo singole foto, fu una sorta di progetto collettivo. Una lettura critica anche del sociale, dato che è inscindibile dal paesaggio.
Quello che manca oggi è l’essere immersi nel clima culturale di quegli anni. Il più delle volte manca anche quel background culturale al quale avevo fatto riferimento in un mio precedente articolo.
Convivono nell’attuale interpretazione fotografica del paesaggio le tendenze più diverse. Oscillano tra la cartolina, lo pseudo-identitario, il ricordo autoreferenziale, il tecnicismo tutto filtri, il pesantemente banco-otticismo treppiedato e quant’altro, in uno scollamento da concreti contenuti esprimibili e condivisibili che non provoca coscienza e consapevolezza.
Tutto è troppo spesso surface, evidenza virtuale in cerca di like e menzioni in un qualche contest.
Intanto nel mondo reale quello che sta accadendo è evidente solo a chi lo vuole vedere. È in atto un cambiamento climatico. Gli effetti nefasti dello consumo di suolo sicuramente concausa del cambiamento climatico, sono più che evidenti nella recente alluvione in Emilia Romagna. Eppure i politici mettono la testa sotto la sabbia, fanno sproloqui sulla “sostenibilità” ma in pratica ascoltano e promuovono per lo più gli interessi immediati di forti imprenditori.
Sul web a proposito del cambiamento climatico girano bufale, corrono assai più rapidamente della verità. Tutto ciò contribuisce alla disinformazione.
Da qui ad arrivare a considerare chi si impegna per ambiente un eco-nazista è un attimo, qualsiasi scienziato si azzardi a dire cose sensate nel reale viene messo ai margini, poi nei social viene preso a colpi di mattarello dalla più tranquilla azdora romagnola.
Possiamo fare qualcosa con la nostra fotografia, possiamo produrre una informazione corretta in un equilibrio piacevole quanto meno sensato tra il documentale e il suggestivo, tra il personale e la coscienza collettiva?
Forse potremmo se questa nostra fotografia non fosse troppo relegata nel mondo virtuale, scendesse più nel reale, fosse diffusa in giornali e riviste interessate a un’informazione corretta e approfondite, come accadeva molti anni or sono.
Mentre lo scrivo mi rendo anche conto che per fortuna i fotografi coltivano la splendida utopia di riuscire con le loro fotografie a migliorare il mondo.
Fosse così, fossero stati profondamente recepiti i millanta reportage di guerra che ne denunciavano le atrocità non ci sarebbero più guerre, né discriminazioni razziali e sessuali, né violenze sulle donne, sui bambini, ecc. Evidentemente almeno una parte del mondo reale ha interesse che tutto continui così, o forse è semplicemente nell’indole dell’uomo il fare del male a prescindere da ogni necessità.
Nel 2013 io e Lia Alessandrini elaborammo un progettino di fotografia di paesaggio. Avevamo bene in mente pensieri e studi di quegli anni a proposito del “genius loci”.
Nella zona presa a riferimento per i nostri scatto identificammo il genius loci nel fiume Marecchia, nei ruderi della Rocca di Majolo che ne sovrasta lo scorrere.
“Se il Marecchia fosse il mare la Rocca sarebbe il nostro faro”.
La Rocca è visibile da ogni altura circostante, segna l’ingresso in Valmarecchia, parte dell’antico Montefeltro. La mostra piacque, ovviamente la tematica affrontata non entrò a far parte di una consapevolezza collettiva, altrimenti quei luoghi sarebbero vigilati prima di tutto dalla popolazione residente.
Quest’anno, 10 anni dopo la nostra mostra, la giunta Emilia – Romagna ha approvato la costruzione in quei luoghi di 16 capannoni per un allevamento intensivo di polli Fileni.
Probabilmente esporremo di nuovo la stessa mostra al Live di Semplicemente Fotografare, Rocca di Dozza, 27, 28, 29 ottobre 2023, per rilevare che in 10 anni tutto è cambiato, in peggio.
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