Qualche giorno fa mi ha colpito molto il discorso e la fotografia del papa che parla, illuminato sotto una pensilina, protetto dalla pioggia, davanti a Piazza S. Pietro vuota, anche se virtualmente probabilmente gremita di gente. Il 27 marzo 2020. Non voglio farne una questione di fede, tanto meno di Chiesa, di potere temporale e spirituale, lungi da me il volermi addentrare in questioni di religione, tanto meno voglio cercare di approfondire se le parole, i pensieri del Papa siano importanti, profonde, influenti. Voglio solo concentrarmi su quelle immagini. Sono foto scattate da Yara Nardi, European Pressphoto Agency. Diffuse sotto copyright dell’ufficio stampa del Vaticano. Si trovano cercando il nome della fotografa sulla stringa di ricerca del sito: https://www.epa.eu/photographers
Una reporter impegnata, beh sta anche su FB ma sembra ci cincischi poco, si vede che lavora.
Però quanti di voi vedendo quelle foto del Papa in piazza S. Pietro sono andati a cercare chi le ha scattate? Non di rado è così, si viene catturati dalla potenza di certe immagini, diventano icone, vivono di vita propria, chi le ha scattate è ininfluente. È cronaca, attualità, ma a volte inaspettatamente le fotografie di cronaca entrano nella storia, diventano documento. Una fotografia, o una serie di fotografie rare, ci fossero stati altri 100 fotografi a riprendere la stessa scena, probabilmente avremmo avuto una serie di fotografie simili una all’altra, probabilmente nessuna avrebbe avuto lo stesso impatto.
Immaginate dieci venti fotografi che si accalcano dietro la porta in una partita di calcio importante, può essere che uno di loro, per fortuna o bravura, riesca a scattare una foto davvero super… quanto verrebbe pagata? Farebbe il giro del mondo o, anche per risparmiare, diverse riviste e giornali comprerebbero foto anche meno significative, ma pagandole poco e pubblicandole giusto per coprire l’evento? Dunque Yara si è assunta anche una grande responsabilità, avesse fallito non ci sarebbe quella che alcuni già definiscono la foto del secolo.
Viviamo immersi nella cronaca, nel giorno, giorno per giorno, attimo per attimo. Bombardati da notizie, informazioni, immagini, che spesso si contraddicono a vicenda, se non sono autentiche bufale. Un momento le mascherine proteggono, poi non servono a nulla, poi tornano ad essere indispensabili ma non ce ne sono abbastanza. Un momento le città, i paesi, le strade sono deserte, il momento dopo c’è troppo traffico, traffico nonostante i divieti.
Questo proliferare esasperato di notizie, di informazioni visive, ci destabilizza e disorienta. È come un concerto con troppo rumore di fondo, troppo brusio, mal amplificato, non si capisce più nulla.
Sì va bene, il diritto di cronaca, di informazione, fa parte della nostra democrazia, è incluso nell’ordinamento italiano tra le libertà di manifestazione del pensiero. Ma sono davvero utili tali informazioni visive? Riescono a darci l’esatta percezione di quello che sta succedendo? Sono autentica documentazione, importante, stanno scrivendo visivamente la storia che sarà letta nei libri questi fotografi? “Il passato prossimo invecchia prima di quello remoto. Faccio troppa fatica a pensare com’ero o come non sarò più” dice Paolo Conte in una intervista. il presente, cosa ne sarà di questo presente che in un attimo è già passato prossimo?
Siamo in guerra? Quanto durerà? La prima guerra mondiale durò circa dal 1915 al 1918. Tra caduti militari e vittime civili i decessi totali furono intorno a 1.150.000. Nel momento in cui scrivo i decessi per coronavirus sono 14.681. Vado a ricercare in un cassetto le fotografie scattate da mio nonno durante la grande guerra. Lastre stereoscopiche, vetrini con l’emulsione in parte corrosa da muffe. Sono una sorta di deflagrazione quelle muffe, gli assalti del tempo che passa.
Scarne note scritte ad inchiostro sui vetrini. Campo di battaglia, trasporto morti, attacco con i gas. Sono l’eredità spirituale lasciatami da mio nonno, insieme a una vecchia Olivetti nera con scritte dorate che sembra un catafalco o l’altare della Patria. C’è anche una chitarra di liutaio romano. Chi l’avrebbe detto da adolescente quando trovai tutto ciò in cantina, che sarebbero state le cose più importanti per la mia vita, per la mia evoluzione, per il mio lavoro.
Attacco con gas.
Maschere.
Solo che allora si sapeva da dove proveniva l’attacco, ci si proteggeva in tempo, se possibile.
Ora se hai subito una ferita te ne accorgi due settimane dopo, e può essere accaduto per fuoco amico, come succedeva allora: ma allora si poteva venire sparati alle spalle quando mancava il coraggio di andare all’assalto, come racconta Francesco Rosi nel film ‘Uomini contro’.
In quella guerra furono i poveracci, ‘carne da macello’, a venire mandati in guerra, chiamati alle armi da ogni più sperduto paesino d’Italia, per motivi che ignoravano, divennero eroi loro malgrado. Oggi sono altri quelli che devono stare al fronte, a loro va tutta la nostra gratitudine. Pensare di documentare tutto, di raccogliere e raccontare ogni singola storia, alla fin fine non serve probabilmente a nulla, se non a fomentare odio e alzare il livello dell’ansia. Esistono storie private da rispettare, esiste una storia collettiva. La stiamo scrivendo tutti, anche chi non esce da casa.
Siamo immersi nel quotidiano, non facciamoci prendere la mano dall’estasi di documentare. Soprattutto chiediamoci cosa sia la documentazione, cosa sia un documento.
Si distinguono due tipi di documenti:
‘consci: documenti che riportano informazioni che sono state registrate apposta per essere trasmesse.
inconsci: documenti che provengono dalla comunicazione tra gli uomini e portano un significato definito dal loro contesto d’origine. Sono quei documenti materiali o no, che supportano informazioni in modo neutro e che devono essere riconosciuti come tali da uno storico che ha il compito di assegnargli il valore di testimonianza. Questi documenti supportano informazioni in modo inconscio, e indipendentemente dalle intenzioni di chi li ha registrati, una volta interpretati forniscono informazioni.
Anche nei documenti di tipo conscio però sono rintracciabili messaggi inconsci: scrittura, immagini, materiali, che costituiscono un quantitativo culturale rintracciabile operando una lettura fra le righe.’
Di una documentazione va vagliata l’autenticità, l’aderenza al reale. Ci vuole obiettività ed etica sia nel registrare i dati sia nel vagliarli. Non so se a qualcuno è capitato di dover fotografare una riunione, un Workshop, un convegno e sono presenti quattro gatti, ma si deve dimostrare che i convenuti sono una moltitudine, quindi si cerca l’inquadratura più opportuna a rendere l’idea del grande successo. Analogamente a seconda di come si fotografa una fila davanti al supermercato può sembrare tranquilla e rispettosa delle distanze prescritte o una bolgia. E di bufale, lo sappiamo bene ne stanno girando troppe. Le nostre storie di famiglia diventeranno se tutto va bene dei ricordi, riguardando l’album di famiglia non conosco nemmeno i nomi delle persone ritratte qualche generazione or sono.
È una lontana parente o la sorella di Frau Blücher, celebre personaggio del film Frankenstein junior?
Nulla a che vedere con la documentazione né con la storia. Possono piacere anche ad altri, s’intende, non è questo il problema.
Oggi in fotografia si confonde assai spesso la documentazione con la fotografia emozionale ed evocativa. Se non c’è qualcosa di importante da immortalare, se è troppo normale quello che abbiamo davanti all’obiettivo, si inventa, si costruisce l’inquadratura, ben consapevoli delle corde di sensibilità che si andranno a pizzicare. Del resto in edicola ci sono oltre 20 riviste di gossip.
Viene il dubbio che della vera documentazione non interessi niente a nessuno, troppi invece amano emozionarsi.
Così questa foto potrebbe essere un barbone che dorme in una lavanderia, oppure un ritratto che mi ha fatto Lia, la mia compagna.
Indro Montanelli, giornalista, diceva a un mio zio suo collega, ai tempi d’oro del Corriere della Sera: “non importa che sia una notizia vera, basta sia ben raccontata.”
Ecco il problema è che oggi spesso sono raccontate male, ma la gente ci crede lo stesso.
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