Il giorno dopo Ferragosto ricevo un messaggio su FB. Sono a Novafeltria, da Lia, la mia compagna di viaggio. Sauro Errichiello è in un paese vicino, mi propone di incontrarci per parlare di fotografia.
Sono sempre disponibile a chi mi contatta per propormi la sua fotografia, mi piace calarmi, con entusiasmo, nello sguardo, nel mondo fotografico di altri fotografi. Detto fatto, ci incontriamo al Caffè Grand’Italia, martedì 17, h. 10,30.
Ha con se una ampia borsa a tracolla nera, piena di scatolette di pellicola piana e libretti, i suoi lavori. Dopo primi discorsi improntati al generale della mia e sua fotografia, Sauro inizia ad estrarli dalla borsa. Ben presto la superficie del tavolinetto del bar è straripante di fotografie, a tal punto che non c’è posto per ordinare uno spritz, ma va bene così. Mi piace entrare nel concreto, parlare di fotografia con le fotografie, altrimenti si parla del sesso degli angeli. La Fotografia di per sé non esiste, è un’araba felice che vola sempre altrove quando tenti di afferrarla, di comprenderla o spiegarla a parole. Bisogna entrare nel concreto.
“Un’idea, un concetto, un’idea, finché resta un’idea è soltanto un’astrazione” cantava Giorgio Gaber.
Il tempo vola, torno a casa, inizio a pensare all’articolo che voglio scrivere sulla fotografia di Sauro e i pensieri mi si intrecciano, non so come iniziare.
Curiosamente mi viene prepotentemente in testa Bob Dylan, anche se la capigliatura del famoso “menestrello” è assai diversa da quella di Sauro. Never Ending Tour (talvolta indicato con la sigla NET) è il nome con cui viene comunemente chiamata la tournée senza fine intrapresa da Bob Dylan il 7 giugno 1988. A fine maggio 2019, il Never Ending Tour era a quota 3011 show, non ho notizia se abbia ripreso in tour,interrotto dal Covid.
Ci si potrebbe chiedere chi glielo faccia fare a Dylan di viaggiare in giro per il mondo, data dopo data, per proporre la sua musica, le sue canzoni. Certo non è spinto da necessità economiche, forse ha bisogno di un pubblico, come ogni artista di teatro, o forse desidera calarsi per sempre nel ruolo del Lonesome Hobo, del menestrello ambulante e solitario che, riallacciandosi alla tradizione, intraprese molti anni or sono. O forse è per una necessità interiore impossibile da spiegare.
Ecco, credo che questa sia la fotografia per Sauro Errichello, un incantamento “che ‘ntender no lo può chi non lo prova”!
Un infinito viaggio nella fotografia:
“Quello che mi interessa maggiormente non è tanto la meta finale ovvero il progetto fotografico in sé quanto il suo divenire che mi permette di incontrare e approfondire nuove padronanze” mi spiega Sauro a proposito del suo fotografare. Ogni suo progetto è una possibile tappa, non un punto di arrivo, è continuamente in fieri, diventa altro, non segue un percorso lungo un binario rigidamente prestabilito in partenza.
Tecnica e concetto
Per Errichello “La tecnica è fondamentale per questo linguaggio quando usa al meglio i mezzi disponibili che consentono di raggiungere un risultato chiaro e di facile comprensione.
Ad esempio per fotografare gli alberi monumentali mi sono costruito una macchina a foro stenopeico che consente di inquadrare in situazioni molto estreme.
Per un lavoro chiamato self-portrait ho realizzato una camera fotografica a pellicola 13×18 con obiettivo da 90 mm. In verità questa camera con queste combinazioni non sarebbe ideale per i ritratti in quanto estremamente grandangolare ma quello che mi interessava era realizzare ritratti ambientati. Il soggetto fotografato è il protagonista dell’immagine in quanto è presente nella foto ed è lui stesso a realizzare lo scatto.
Le camere da me realizzate sono il risultato di anni di studio ed esperimenti. Ho sfruttato la mia abilità manuale e la passione per il legno. Quando una macchina è pronta per essere utilizzata conosco esattamente i suoi limiti e le sue peculiarità. Mi rendo conto che sono oggetti impegnativi da utilizzare per un profano.”
Mi sono rimaste impresse le fotografie sul tavolino del bar, come un viaggio rapido attraverso la storia della fotografia. Dalla fotocamera auto-costruita a foro stenopeico ad un altra con obiettivo, su vari supporti sensibili e formati di ripresa, sino arrivare a riprese in digitale, con i colori particolari di una Sigma, molto analogica, sino ad arrivare all’obiettivo di uno smartphone. Ha iniziato a costruire le macchine fotografiche che usa perché gli interessava essere parte di tutto il processo di realizzazione della foto. Nelle sue fotografie le più varie tecniche, analogiche e digitali, si mescolano e si contaminano.
Per lo più quando un fotografo mostra una sua foto, mostra un unico risultato, è quella la scelta dell’autore, non può essere altrimenti. Nella fotografia di Sauro uno stesso soggetto compreso in una inquadratura, o a volte in inquadrature solo leggermente diverse una dall’altra, può essere ripreso e interpretato con materiali sensibili, fotocamere, ottiche diverse.
È il vaso a dare la forma all’acqua. Forma e contenuto sono inscindibili nel risultato finale che è un “unicum “ o almeno così pare essere, sulle prime. Perché poi questo risultato può essere ed è una delle infinite ipotesi possibili, in un altra ipotesi cambia la forma e cambia di conseguenza il contenuto.
Tutto ciò, ahimè, non può essere visualizzato efficacemente a monitor, esistono differenze assai tangibili e rilevabili perfettamente solo osservando su carta i diversi risultati originali possibili risultati. Un paesaggio può venire ripreso da Sauro con una fotocamera a foro stenopeico, su carta autopositiva, è la fotografia più pura e diretta possibile, una camera obscura, un foro, un materiale sensibile. I lati sono però invertiti, è esattamente quello che vede la fotocamera.
Se lo stesso paesaggio lo riprende con una quasi identica fotocamera auto-costruita ma dotata di obiettivo, su pellicola, e poi stampato su carta ai sali d’argento il risultato finale è totalmente diverso. I lati non sono più invertiti, la gamma tonale è diversa così come la nitidezza e risoluzione. Anche la sensibilità del supporto incide moltissimo sul risultato finale. La carta auto-positiva ha una sensibilità calcolata tra i 3 e i 6 Iso, di conseguenza il tempo di esposizione è assai lungo rispetto a una pellicola piana. Sì allunga ulteriormente se si fotografa col foro stenopeico invece che con un normale obiettivo da banco ottico. Così in pratica la carta registra il passare del tempo in un paesaggio, il movimento di treni di nuvole e l’oscillare di foglie. Un film riassunto in uno scatto.

La realtà in terza persona per scoprire lati inediti a livelli diversi. “Ero un pezzo di pietra, come mi sembrava, dentro la terra per qualche decennio. A dire il vero non so distinguere bene il tempo, per me non passa mai, è un presente continuo. Oppure c’è bisogno di un orologio tarato diversamente.
Tecniche diverse diventano un racconto, un contenuto, diverso. La più pura fotografia analogica può venire in seguito acquisita da uno scanner e contaminata dalla sovrapposizione di una ulteriore immagine digitale, in Photoshop. Passato e presente della fotografia si mescolano, la fotografia è molteplice, sempre ambigua, tutto quello che può accadere avviene, senza alcuna preclusione mentale. Non esistono regole, paletti, se non quelli che il fotografo si pone volontariamente. Non esistono il bello assoluto, il giusto e buono, non esiste l’errore fotografico
“Il nemico della fotografia è ciò che è convenzionale, sono le rigide regole delle istruzioni per l’uso. La salvezza della fotografia sta nella sperimentazione. Colui che sperimenta non ha idee precostituite sulla sulla fotografia. Non crede che la fotografia, come si pensa oggigiorno, sia la ripetizione e la trascrizione esatta della vista ordinaria. Non pensa che gli errori fotografici debbano essere evitati; sono errori banali solo dal punto di vista storico convenzionale” (László Moholy-Nagy – cfr. Louis Faurer, Centre national de la photographie, Parigi 1992)
In tutto ciò, come dice Sauro “L’esperienza del fare è basilare come per il mestiere di artigiano che ogni giorno compie gesti di creazione sempre più perfezionati, l’eccellenza in ogni piccola azione porta al buon risultato. Tecnica e concetto sono inscindibili.”
Il viaggio di Sauro, la sua fotografia, è un lavoro intimo, mentale prima di tutto, documentato scrupolosamente nell’iter in una sorte di piacevolissimo “libro timone”. Un lavoro testimoniato dalla cura di ogni dettaglio, registrato nelle stampe che sono l’unico risultato fotografico imprescindibile, assolutamente concreto, destinato a rimanere, a incontrare l’osservatore che vi si avvicina per affinità elettiva, nel mondo fisico non in quello virtuale.
Tra vari lavori Errichiello mi mostra e mi spiega INTERSTELLAR – ricerca di nuovi mondi
- © Sauro Errichiello
- © Sauro Errichiello
- © Sauro Errichiello
Un uomo immerso nella natura osserva gli elementi intorno a lui, sembra non accettare l’idea che il mondo si stia ribellando e avanzando verso l’autodistruzione perciò è alla ricerca di nuove coordinate di salvezza e verità a cui aggrapparsi.
“Mi sono dedicato a questo viaggio ispirato dal film omonimo. È un suggerimento, un messaggio preciso o semplicemente una suggestione. Fa passare l’idea di una possibile realtà e non solo una fantasia. Quello che mi interessa maggiormente è ricordare che stiamo maltrattando questa terra e se continuiamo così saremo costretti ad andarcene. È importante stimolare una riflessione verso l’ecologia. Con ricerca di nuovi mondi non intendo solamente qualche realtà ultraterrena ma ricerca di nuovi mondi anche interiori.”
Elenco lavori:
- Pelle
- Patriarchi
- Piangipane Monumenti
- Vigna
- Acquamica
- Passione Italia 150 °
- Foro Annonario ultimo giorno
- Archeologia a Fuoco
- Una ricognizione. Torri dell’acqua in Romagna
- Sono Paesaggio, ricerca sul visibile e l’invisibile
- Equatore Notturno “Futuro Distopico V dimensione”
- Self Portrait
- La Citta infinita
- Al fiume
- Interstellar, ricerca di nuovi mondi
- Notturni
- Straniamento
- Realizzazione di fanzine, cartoline e libri d’artista.
- Fotografia a immagine diretta (in lavorazione)
- Errore fotografico (in lavorazione)
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