Passano pochi rapidi anni da quella famosa “vista da una finestra a Le Gras” di Joseph Nicéphore Niépce del 1826. La seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1870 con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio ma le avvisaglie già c’erano, la fotografia ci mette un attimo o quasi a passare dalla sua era pionieristica a venire ammessa nei salotti buoni dell’arte e a diventare un prodotto industriale.
Nel 1859 il governo francese cedette alle pressioni concordi della Società Francese di Fotografia e dei suoi sostenitori e un Salon di fotografia entrò a far parte delle esposizioni annuali del Palais de l’Industrie.
Tra il 1888 e 1889 Kodak introduce la prima pellicola trasparente di nitrocellulosa e la prima fotocamera per il mercato di massa, aprendo la fotografia ad un uso anche amatoriale. Lo slogan “Voi premete il pulsante, noi facciamo il resto”.
Gustave Le Gray fu uno dei fondatori della Société héliographique e della Société française de photographie. Intorno al 1860 fu compagno di viaggio di Alexandre Dumas e si trovò a Palermo al passaggio dei Mille. Documentò la devastazione causata dell’insurrezione popolare, in vedute deserte di uomini ma piene di rovine. Aveva un atelier di grandissima popolarità nella Parigi del tempo, al quale si accostò Gaspard-Félix Tournachon, in arte Nadar (Parigi, 5 o 6 aprile 1820 – Parigi, 20 marzo 1910), caricaturista, giornalista, romanziere e pioniere del volo aerostatico francese e aveva ben chiaro nella mente che stava imparando quello che in prospettiva sarebbe diventato un mestiere fruttuoso.
Mio papà aveva una Kodak A-120 a soffietto (1920 ca), probabilmente precedentemente di nonno Gino. Mia mamma, se non ricordo male, aveva una Kodak Brownie a cassetta. Non ricordo che né Papà né mamma abbiano fotografato con questi strumenti. Alle fotografia di famiglia per eventi importanti o raramente per ritratti in casa provvedeva zio Salvatore, che lavorava in Ferrania e aveva una Rectaflex. Ho due album di ritratti di famiglia nei quali sono immortalati i miei avi, non ne conosco nemmeno i nomi, per me sarebbero interscambiabili con le foto di qualsiasi altra persona del tempo che fu, da ognuna di quelle foto potrei immaginare una storia.
Come fa Giuliana Battipede ricuperando, accanto a cassonetti dell’immondizia, vecchie fotografie di gente vera, inventandosi storie.
Probabilmente la fotografia è diventata veramente di massa solo con le economicissime Instamatic Kodak, intorno ai primissimi anni ‘60. Oggi tutti fotografano moltissimo, in qualsiasi situazione o ricorrenza, con lo smartphone. È il taccuino degli appunti del quotidiano, da riversare su un social, dove tutto affonda inesorabilmente dopo qualche minuto.
In sostanza, sin dagli albori, la fotografie viene praticata da fotografi professionisti o in modo amatoriale, inoltre una fetta notevole di utenti non la pratica direttamente, si rivolge al professionista quando sente l’esigenza di un ritratto o di una documentazione di un evento famigliare.
Questa fetta non indifferente tuttavia ricorre sempre meno al professionista. Un tempo era abbastanza diffuso che con i figli si varcasse la soglia di uno studio fotografico per farsi fare un bel ritratto. Oggi in previsione di un documento di identità si cerca in tutta fretta una cabina per fototessere, tant’è che esistono App per trovarla quanto più vicina.
Nel passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale il significato di “negativo unico ed irripetibile” è andato perduto. Una volta il fotografo professionista conservava i negativi di un evento, oggi, vuoi per inasprimento delle leggi sulla privacy, vuoi perché dal negativo si è passati al file, conservato in una scheda di memoria o in un PC, questo patrimonio fotografico viene per lo più disperso. In sostanza si perde sempre più il valore diacronico della fotografia come documentazione non solo di vita famigliare, privata, ma anche sociale. Del resto, professionista o meno, la documentazione realizzata da un fotografo è per lo più stata sempre limitata agli anni della sua attività. Rari sono i casi di dinastie di fotografi, per lo più professionisti, e per lo più la loro documentazione è limitata ad ambiti fotografici assai precisi.
Nella famiglia Di Loreto molti sono stati fotoamatori appassionati.
Le prime fotografie di famiglia le scattarono intorno al 1860, praticamente agli albori della fotografia, si tramandarono la passione sino ai nostri giorni. È un caso assai raro. Così l’attuale archivio di famiglia risulta interessantissimo, non solo dal punto di vista privato. Storie nelle storie si intrecciano, così l’archivio da storia di famiglia è diventato testimonianza di una storia più universale e condivisa dalle forti valenze sociali.
Sta per essere consegnato alla stampa tipografica “Le storie e le fotografie – racconti per immagini dall’archivio familiare” Volume 1: LIGURIA FELIX”, curato da Edmondo Di Loreto, è lui stesso a parlarcene.
“Sono un appassionato di fotografia. E’ un hobby. Scatto anche tante fotografie. Naturalmente guardo anche molte fotografie e ne possiedo un numero rilevante.
E’ una premessa doverosa. Forse un po’ banale. Altrimenti questo libro che, pomposamente ed ottimisticamente, chiamo volume 1 non avrebbe senso.
Posso considerarmi un collezionista di fotografie? Inevitabilmente sì, se da tempo ho deciso di raccoglierle e catalogarle. Ma io raccolgo e cerco di non disperdere le fotografie private: quelle che si chiamano fotografie di famiglia.
Osservando e maneggiando molta fotografia, mi sono accorto col tempo di alcuni paradossi, certamente figli di questa nostra epoca bislacca. Viviamo in un’era tecnologicamente avanzata che permette il salvataggio, il recupero, l’archiviazione, e la valorizzazione di reperti fotografici con sistemi elettronici impensabili fino a pochi anni or sono. Ebbene – e qui davvero si ragiona per paradossi – spesso si chiede ai programmi di ritocco del computer di antichizzare una foto attuale, renderla vecchia, per così dire vintage.
Un controsenso apparente in un’epoca di modernità assoluta, di tecnologia spinta e quasi obbligatoria. Evidentemente c’è fame di foto-storiche, si sente il bisogno di un recupero della nostra memoria, filtrata attraverso l’immagine fotografica, veicolata da fotogrammi che suscitino un interesse che va ben oltre un viraggio seppia.
Le fotografie dell’archivio della mia famiglia non hanno mai avuto necessità di subire un trattamento di antichizzazione artificiale: antiche lo sono già, per loro natura e storiche lo sono diventate con il trascorrere dei tempi e la cura per la loro tutela. Testimoniano un aspetto della memoria comune della famiglia che si tramanda di generazione in generazione unitamente a carte, documenti, mappe, alberi genealogici, archivi cartacei, testamenti, liti giudiziarie, atti di matrimonio, compravendite, donazioni e corrispondenze di ogni tipo. Tutto quello che fa ed è la storia di una famiglia numerosa, complessa e sfaccettata come quella alla quale appartengo.
In questa mole di documenti, puntigliosamente ma disordinatamente conservati e passati di mano, sono proprio le fotografie ad aver sempre rivestito un’importanza se non del tutto preminente, quanto meno appariscente; una sorta di punta di iceberg facilmente comprensibile ai più. Le stanze e i salotti di casa, sparse tra Liguria, Abruzzo e Puglia, hanno avuto immancabilmente una presenza ossessiva di foto di famiglia, in ogni spazio disponibile. Spesso incorniciate in legno dorato e vetro antico ed appoggiate su tavolini eleganti di mogano oppure appese alle pareti ricoperte da parati gravi e severi. Altre volte spuntavano da vetusti album fotografici, sbrindellati e segnati dal tempo, vergati da calligrafie ottocentesche a futura memoria. Oppure conservate e ritrovate fortunosamente in scatoloni di cartone pesante e bisunto, ammucchiate in un’apparente disordine temporale e difficile da dipanare.
Col tempo, che cancella e distrugge tutto, occorreva un volontario che le salvasse dal degrado e parimenti tutelasse la memoria storica visiva dei Di Loreto. Che poi quest’anima pia che si è accollata tale compito fosse, tra l’altro, un appassionato di fotografia, forse non è un caso.
Ecco quindi che l’archivio fotografico familiare ha cominciato a restituire non solo frammenti e ricordi di visi noti e meno noti ma è servito e serve tutt’ora come prezioso documento per testimoniare e raccontare la storia di più di un secolo attraverso le private vicende di una famiglia.
Appartengono al suddetto archivio fotografico pacchi interi di lastre in vetro neppure stampate, che ritraggono gruppi di parenti con abiti d’altri tempi ed in luoghi a me familiari. O anche rigorosi ed accurati bianco/neri di persone totalmente sconosciute ed immortalate in pose di circostanza. I famosi e leggendari vetrini tridimensionali di mio nonno Edmondo e del suo viaggio con la regia nave Etruria nelle Americhe di inizio secolo.
Album fotografici contenenti le testimonianze delle tragedie non solo familiari ma appartenenti ad una nazione intera: due guerre mondiali, le avventure coloniali del ventennio, un paio di terremoti, il fratello di mio padre e quello di mia madre mai tornati dal fronte russo, lo zio ufficiale che invece scampò a quello albanese.
E ancora: fotografie di vita aziendale: pecore, pastori, tratturi, masserie, Puglia e Abruzzo. Un corpo centrale e preminente di fotografie con bisnonni, trisavoli, nonne, zii, ziette, cugini, fidanzati, mogli mancate, bimbi e bimbe in abitini consoni, quasi tutte ambientate: dove? Ma nei luoghi dove la famiglia risiedeva, transitava, andava, si fermava, incontrava. Viveva.
Dunque “Le storie e le fotografie – racconti per immagini dall’archivio familiare” Volume 1: LIGURIA FELIX” è la Liguria che trasversalmente accomuna le origini e la storia di entrambi i ceppi familiari (quello materno e quello paterno). Una Liguria di altri tempi e altre avventure, distante dai miei ricordi diretti e personali per una inevitabile differenza anagrafica.
La mia Liguria tornava prepotentemente e felicemente all’inizio di ogni estate. Per me bambino significava, allora, il viaggio per antonomasia: il salto oltre la solarità accecante di un Sud indolente e quotidiano…
A volte mi sento un narratore. Perché sono convinto che dietro una fotografia ci sia sempre una storia da raccontare. O meglio: ogni foto racconta una storia. Basta saperla leggere”.
L’archivio famigliare DI Loreto
Per avere un’idea della consistenza di questa collezione fotografica, ecco qualche dato numerico. Considero l’archivio come storico quello che comprende tutto il materiale analogico e volumetrico che parte dalla prima stampa (circa 1860) ed arriva fino all’avvento del colore.
- Lastre e vetrini stereoscopici: circa 700
- Negativi singoli vario formato (escluso 24×36): 1.230 fino al 1963
- Solo stampe (senza negativi o lastre): 750 tutte dal 1860 al 1939
- Provini piccolo formato: 490 tutti da 1915 a 1938
- Archivio foto di mia madre: 350 ancora in corso di ampliamento
- Il totale dell’archivio storico è di 3.520 immagini.
- Ne sono state digitalizzate il 98%
All’interno di questo mare magnum totale, gli argomenti sono vari: Il viaggio della nave Etruria nelle Americhe – La guerra Italo-turca del 1911 – vita familiare in varie parti d’Italia – Vita aziendale – archivio della transumanza – ritratti cartonati originali – carte de visite – fotocartoline antiche dal mondo ecc ecc.
Se a questa parte che considero storica, aggiungo tutto il resto:
- Negativi 24×36 b/n e colore dal 1964 al 2016: 11.515
- Diapositive colore intelaiate: 9.215 (delle quali 6.335 di viaggi)
- Il totale generale è di 24.250 immagini
- NON E’ conteggiato tutto il digitale (dal 2008 in poi).
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Grazie a Edmondo di Loreto e al mitico Giorgio Rossi per l’articolo.