Ad un punto avanzato del mio viaggio nella vita e nella fotografia mi trovo a fare un rewind della pellicola che ha trattenuto memoria. Un bisogno non di mettere un punto fermo ma di andare a investigare come tale viaggio è iniziato. Sicuramente in modo quasi inconsapevole, intorno ai 12 anni, tuffando gli occhi nel visore stereoscopico di legno nel quale infilavo le lastrine di vetro scattate da mio nonno, guerra 15-18. Scattando le prime foto con una Brownie regalatami da uno zio, nel corso di una gita scolastica in Svizzera, alle medie. Tutto ciò rimase sotto la cenere, per molti anni, piccolissimi tizzoni ancora rossi, vivi.
La prima rivista fotografica che comperai fu Popular Photography Italiana, Gennaio 1970, avevo poco meno di 20 anni. All’interno un articolo “Grazie Zia Carrell” firmato da Ando Gilardi. Uno studio sul lavoro di ripresa e di ritocco dei ritratti fotografici realizzati da Gitta Carrell, studiando le lastre negative.
A questo argomento fu dedicata una mostra, a Milano, 17 set 2013. circa 43 anni dopo l’articolo di Gilardi. Si vede che l’erba buona è destinata a restare. Quanti articoli che trovate oggi sul web potrete rileggerli tra 40 anni? Quanti, se pur li trovate, avranno ancora una loro validità? Possono essere pubblicati in una rivista on-line, indicizzati nei motori di ricerca, però se un qualcuno non provvederà a continuare a pagare il web hosting, spariranno per sempre.
Nel 1976 comperai la mia prima reflex, soldini messi faticosamente da parte, tuttavia senza risparmiare quelle 500lirette a rivista che mi nutrivano visivamente.
Venivano inconsapevolmente a costituire le basi di quello che sarebbe stato il mio modo di vedere, la mia fotografia.
Non tanto diversa da millanta possibili altri modi di fare fotografia, però era il mio.
Naturalmente non fu l’unica rivista che acquistai, più o meno regolarmente.
Uscivano in edicola in quegli anni riviste per tutti i target.
Ce n’erano per principianti, come “Fotografare” o “Tutti Fotografi” ciclicamente spiegavano in articoli ben illustrati cosa sono il tempo, il diaframma, la profondità di campo.
C’erano ovviamente test di nuove fotocamere, obiettivi, pellicole e quant’altro.
Altre riviste, più intellettuali, e già storiche come “Progresso Fotografico” e poi “il Diaframma /Fotografia Italiana”, pubblicavano monografie e articoli interessanti sulla storia della fotografia e dei famosi “Maestri”, scoprivano nuovi giovani grandi talenti che poi il tempo a volte ridimensionò, altre volte cancellò.
Non erano le uniche riviste, sono state quelle che hanno accompagnato e guidato il mio viaggio nella fotografia.
Ben prima a partire dal 1947 sino al 1967 venne pubblicata Ferrania, tuttavia non era in edicola, veniva spedita in abbonamento postale.
Ne sfogliai alcuni numeri da mio zio, appassionato fotografo nonché ingegnere dipendente della famosa ditta italiana.
Molti ci sono ancora, si trovano facilmente sul web… però se non ne conosci il nome non puoi cercarli e ovvio nemmeno trovarli se non per caso. Ci sono, sono esistiti ed esistono ma è come se non esistessero. Si parla millanta volte di HCB, ovunque.
Patrick Ward lo conoscete? Ecco, forse il nome vi riaffiora alla memoria o più probabilmente esclamerete mentalmente: “boh , mai sentito!”
Nel 1975 uscì Photo versione italiana della già celebre rivista francese. Poco testo (tra le firme di nuovo Gilardi), molte figure. L’edicolante mi informava all’acquisto che era uscito anche il nuovo numero di Playmen. Qualche anno dopo, ZOOM, in grande formato. Interessantissimo rivedere tra gli articoli le pagine di pubblicità. Meriterebbero una analisi a sé stante, beh vedremo.
La pubblicità per le riviste era acqua fresca e vitale.
Le vendite certo non erano sufficienti a garantirne la sopravvivenza, bastava contare le pagine di pubblicità di una rivista per diagnosticarne lo stato di salute.
Quanti mesi sarebbe rimasta in vita?
I sintomi di quello che poi fu una ecatombe in pochi anni divennero evidenti.
Alcune ancora sopravvivono, a stento, il nome magari è rimasto uguale ma non sono più le stesse riviste.
Ogni mese una o più riviste vagavano tra sedile WC e comodino, c’era tempo per sedimentarne la lettura quanto le informazioni visive, gradualmente venivano a costituire il mio piccolo background, lo zainetto sulle spalle che mi fa campagna quando esco a fotografare.
Oggi possiamo trovare tutto e tutti, in pochi leggeri click sulla tastiera, tutto esiste contemporaneamente, sta lì. Però non sedimenta, non diventa memoria, non diventa cultura. “…Apri la mente a quel ch’io ti paleso e fermalvi entro; ché non fa scienza, sanza lo ritenere, avere inteso…” scrisse un qualcuno in tempi non sospetti.
Una notizia tecnica sbagliata oggi viaggia assai più rapidamente di una vera. Tutti insegnano un qualcosa, molti sapendo assai poco.
Ho ancora varie riviste di quegli anni, ad un certo punto causa trasloco feci una cernita, ne buttai non poche. Avrei potuto venderle in qualche mercatino ma un trasloco è un trasloco, ed è spesso frettolosamente doloroso.
Avvenne all’inizio di questa era webbica. Pensavo che tanto avrei ritrovato tutto con Google, solo successivamente mi resi conto che molto di quello che avvenne in era analogica , prima della diffusione del web, può solo parzialmente venire ritrovato. Così per esempio è per una splendida monografia di Antonio Martinelli pubblicata da “il Diaframma/Fotografia Italiana“, curata da Edo Prando e Angelo Schwarz.
Tuttavia fatti epici, come la beffa ordita da Giliardi e Vidoni, il caso Roger Walker, dalle pagine di Photo 13 ai danni del Diaframma, ricordata da Smargiassi è tra le cose che ho ancora ma non è andato dispersa, è stato ripescata ottimamente.
L’argomento è ampio, scusate la brevità, fa caldo assai.
Tornerò a scriverne, su Sensei, ne parlerò al Semplicemente Fotografare Alive di Dozza 22/25 luglio 2021 insieme a Gabriele Chiesa, che della cultura fotografica e della sua diffusione in Italia è un pilastro, anzi una delle più belle colonne.
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