Credo che nessuno abbia o possa avere la misura del tempo, e del saper coglierlo, come il fotografo. La ghiera dei tempi, virtuale o reale indica tempi da vari secondi sino ad arrivare almeno a 1/4000. È il tempo dello scatto in ripresa. Tratteniamo il respiro in quel tempo, per fermarlo senza tremolii che potrebbero condurre a un micro-mosso nonostante la stabilizzazione di ottiche e corpo macchina.
Poi per chi pratica la fotografia in analogico c’è il tempo dello sviluppo del rullino.
Lì scorrono i minuti, ogni minuto 15 secondi e 5 inversioni. O altre makumbe del genere.
Infine il tempo dell’esposizione della carta sotto la luce dell’ingranditore , altri secondi precisissimi, da timer, o contando mentalmente mentre mascheriamo: 2001, 2002, 2003… poi il tempo dello sviluppo, del fissaggio. E nello scandire i secondi passano rapidamente ore, senza accorgersene.
Non molto differente è il tempo che dedichiamo a sviluppare o correggere una immagine in Lightroom e Photoshop.
Anche in questo caso possono scorrere ora con gli occhi fissi al monitor senza che ce ne accorgiamo.
Eppure osservando moltissime foto e ancor più immagini postate su social non posso fare a meno di pensare che confondiamo troppo spesso il tempo con la fretta. LA FRETTA È IL PIÙ DELLE VOLTE UNA CATTIVA CONSIGLIERA.
Forse siamo obnubilati da quel “cogli l’attimo fuggente” che riteniamo l’espressione massima dell’arte fotografica, tramandataci da molti celebri fotografi. “Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento” sosteneva Cartier-Bresson.
Fotografava, lo sappiamo tutti, con una Leica, prima la I poi la IIIc poi la M3. No, dico la Leica IIIc, che a cercare di inquadrare e mettere a fuoco con quelle finestrine a spillo ti sguerci.
E quando hai scattato ci vuole una quaresima a ruotare il pirolo per riarmare l’otturatore.
Però il suo attimo fuggente non lo cannava. Iperfocale e regola del 16 e bon, bene così. Non esiste automatismo più rapido del tempo di reazione, la sua fotocamera era sempre pronta a scattare, all’istante.
Certo certo gli ci voleva anche intuito, un poco di preveggenza, un poco di matematica o geometria che dir si voglia e succedeva esattamente quello che aveva previsto dovesse accadere.
Tempo di scatto, diaframma, messa a fuoco, tre semplici parametri. Li azzeccava e aveva anche il tempo da dedicare a scegliere più o meno accuratamente cosa inquadrare.
Noi con le digitali di oggi riusciamo con estrema facilità a toppare messa a fuoco o esposizione, sempre se non sbagliamo entrambi i parametri.
Oh yes, perché un 50 mm f 1,4 non vuol dire che possa essere usato solo a Tutta Apertura per ammirarne il “bokeh”.
Ci vuol niente perché la messa a fuoco becchi perfettamente l’infinito al centro dell’inquadratura sfocando totalmente il soggetto che è vicino ma decisamente di lato rispetto al centro dell’inquadratura.
OK, OK, c’è scritto nel libretto di istruzioni della fotocamera come risolvere la situazione. Impostando il riconoscimento dei volti o mettendo a fuoco il soggetto vicino, bloccando l’esposizione e riposizionando l’inquadratura. Quindi assurdo?
Eh magari, potrei essere cattivo e postarvi foto di fotografi discretamente famosi con vistosi errori di messa a fuoco. Ma non vorrei crearmi inimicizie, e poi magari a voi piace così, con la messa a fuoco a cappero ogni inquadratura è assai più emozionale.
Sì certo, ma quelli sono casi limite, quelli in cui il soggetto di un reportage o di una foto di street si muove. Ma poi ci sono altri deliziosissimi soggetti, quelli che stanno fermi, lì seduti, tranquillissimi, praticamente immobili e allora è un classico, la foto verrà chiamata “l’Attesa”. E anche questi soggetti come niente vengono inquadrati male o sfuocati.
Allora un piccolo consiglio. Fate un primo scatto rapidamente.
Poi, se il soggetto continua a rimanere lì, se non vi sentite ladri ( ma in fondo meglio ladri che fotografi aveva detto qualcuno) scattate ancora e cercate di migliorare l’inquadratura, il rapporto soggetto sfondo e/o messa a fuoco ed esposizione. Questo nelle foto dove sia possibile un qualche attimo fuggente.
Però in molte foto tale attimo possibilmente fuggente non esiste affatto.
Fotografie di paesaggio, fotografie di centri storici di città d’arte, paesini, ecc.
Eppure anche in queste occasioni non rare spesso sbagliamo l’inquadratura se non anche i parametri di esposizione/messa a fuoco. Sì perché secondo me lo sbaglio tecnico, l’inquadratura insignificante, esistono e ce accorgiamo benissimo se abbiamo un poco di sana autocritica.
Ma cos’è che ci fa sbagliare? Molto spesso la fretta, il non riuscire a prenderci il tempo giusto. Click, buona la prima.
Molto probabilmente è anche questione di esercizio. La fotografia è il nostro hobby preferito, ci rilassa, ci fa stare bene. Quanto tempo nell’arco di un anno dedichiamo alla fotografia? Se ci va bene qualche ora durante i week-end, qualche giorno nel corso di una vacanzina estiva.
E quando finalmente possiamo fotografare non siamo soli, c’è la famiglia a seguito, il bimbo da prendere per mano, o la comitiva di amici che se ci fermiamo un momento a guardare dentro il mirino e a scattare con calma in un attimo li abbiamo persi e dobbiamo chiamarli allo smartphone.
Il tempo per il fotografo, è la cosa più importante, va sorseggiato gustandone ogni stilla, perché ogni fotografia è irripetibile, e il tempo andato non si può in alcun modo ricuperare.
A corredo alcune foto, non intendono essere capolavori. Sono foto in una piazza girando intorno alla fontana, o seduto al bar inquadrando il monumento ai caduti. Scattate da varie angolazioni, a volte solo lievemente diverse.
Alcune hanno un senso, una intenzione più o meno precisa, altre sono fatte a casaccio o anche volutamente sbagliate.
Spero che un po’ di differenza si veda e si capisca quello che intendo dire a proposito di prendersi il tempo e coccolare affettuosamente una inquadratura, senza fretta. Insomma è per dire: quando fate click, siete sicuri di scattare esattamente la foto che volete oppure state scattando una foto qualsiasi?
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