Non so come mai qualche giorno fa ho trovato in home su FB vari articoli o post su Patrick Demarchelier,
deceduto nel marzo di quest’anno. Capisco bene che i dovuti “coccodrilli” vengano pubblicati e diffusi da quando si diffonde la triste notizia sino a qualche giorno dopo, poi nel web tutto scorre rapidamente, è il posto della rapida dimenticanza e del tonfo nell’oblio collettivo.
Qualsiasi argomento sul web scorre come le nuvole portate dal vento prima del temporale, suscita dibattiti a volte dolci, altre volte ringhiosi se gli animi s’infiammano.
“Tout casse, tout passe, tout lasse, il n’est rien, et tout se remplace”.
L’articolo che andiamo a citare (oh quant’è bello il verbo “andare” vicino a un altro verbo, lo trovo un delizioso francesismo. Rigorosamente al plurale maiestatis sa di cuoco, cuisine française, 5 étoiles Michelin) credo sia originariamente di Maria Cristina Brandini.
Tuttavia può anche essere frutto di copia incolla, dato che spesso chi posta un pensiero sul web dimentica di citarne la fonte. Sia quel che sia:
“Patrick Demarchelier nasce alla periferia di Parigi nell’agosto 1943 e muore nel marzo 2022 in Francia.
Come abbiamo già visto per i precedenti Grandi Fotografi a livello mondiale, anche Demarchelier sviluppa un forte interesse e un talento appassionato per la fotografia verso i 17 anni, quindi in giovane età.
Dopo aver fatto esperienze in studi fotografici noti, predilige il genere fashion e si trasferisce in America, a NYC, dove lavorerà per Vogue America e per molte altre riviste specializzate di moda, oltre a realizzare campagne pubblicitarie per i più celebri brand.
Dal 2005 al 2008 ha scattato le foto dell’iconico Calendario Pirelli.
Ma la sua vera svolta personale avviene quando Lady Diana d’Inghilterra, principessa del Galles, vide una sua immagine di moda su una cover di Vogue e lo invitò per farsi realizzare un ritratto. L’immagine di una amatissima Lady D. giovane, bellissima e con un radioso sorriso fece il giro del mondo, consacrando del tutto il fotografo francese.
In fondo fu il primo fotografo non inglese ad essere convocato a Corte.
Dopo aver immortalato modelle e le donne più famose dello star system, si avvicina anche al mondo della musica e del cinema. Arte a tutto campo.
Per Demarchelier, fin dagli esordi, la fotografia costituiva un modo unico e individuale di osservare e interpretare la realtà circostante e di usare il proprio istinto e naturalezza.
Ma il mio principale scopo è conoscere come ognuno di questi Giganti della Fotografia si approcciano alla Donna, nota o comune.
“Amo fotografare rapidamente prima che la modella abbia la possibilità di pensare alla propria espressione” dichiara l’artista, mostrando l’essenza del proprio lavoro. Durante gli shooting, Demarchelier cerca di catturare l’istante preciso in cui la modella non pensa all’obiettivo ma appare nella sua naturalezza, senza che sguardi e pose siano calcolati e pensati per la fotografia.
Quindi la ricerca assoluta della spontaneità e autenticità. Nulla di costruito.”
Indubbiamente è ben scritto, tuttavia qualche riga scritta verso la fine del testo mi suscita un qualche pensieri sbilenco. “Il mio principale scopo è conoscere come ognuno di questi Giganti della Fotografia si approcciano alla Donna, nota o comune.”
Naturalmente è giustissimo restringere il campo del proprio interesse, è spesso una costante.
Si parla per lo più di grandi fotografi, più raramente di grandi modelle. Ai tempi della “swinging London” Penelope Tree e la smilzissima Twiggy furono tra le modelle più fotografate, sono a tutt’oggi delle icone di quell’epoca storica.
Ogni epoca ha le sue icone, per servizi di moda su riviste altrettanto top, da Cecil Beaton, Richard Avedon e David Bailey.
Quello che in generale mi sconcerta un poco è che il fotografo sia spesso considerato l’unico “deus ex machina” nella realizzazione di una foto. Può accadere in alcuni “generi di fotografia” come per lo più accade nelle riprese di paesaggio o nella street. Altre volte, eminentemente nella fotografia di moda, sia a studio che in esterni, non è così.
Una moltitudine di importantissimi quanto invisibili comprimari, dopo che la MUA ha truccato la modella, si agita freneticamente intorno alla quella che viene definita “scena”, l’inquadratura che si appresta a realizzare il fotografo. Il fotografo continua a inquadrare la modella e nel contempo dirige l’orchestra, indicando ad un assistente come spostare leggermente una luce, mettere un accessorio per modificarne la morbidezza, frapporre una “bandiera”, orientare un pannello riflettente, a un altro come dirigere la macchina del vento.
Tutta questa organizzazione è minimale rispetto a quanto avviene nel cinema. Non a caso alla fine di un film scorre un elenco interminabile di comprimari ai quali si rende giustamente tributo, è doveroso rimanere seduti a leggersi i titoli di coda. Il “best boy” potrebbe non essere un figo pazzesco, e il “gaffer” non necessariamente fa fare pessime figure all’operatore o al regista.
La realizzazione di un film è un lavoro corale, apparentemente assai più complesso di quello di un set fotografico.
Per riprese in esterni si convocano camion di gruppi elettrogeni, fari potentissimi e quant’altro. Tuttavia anche sistemare l’illuminazione di un set fotografico non è cosa da poco. Forse in parte l’assenza di questo armamentario tecnico e di chi lo mette in opera determina nel risultato finale la differenza tra chi fa il fotografo presso fotografo e chi opera con uno staff.
Con l’evoluzione della tecnologia ma anche per colpa del calo della retribuzione dei servizi fotografici il fotografo sta diventando sempre più un lupo solitario. Ricordo che molti anni or sono chi realizzava servizi matrimoniali aveva un assistente che indirizzava il flash ausiliario che a quei tempi non era nemmeno automatico. Era compito dell’assistente dosarne la potenza di emissione e direzionarlo nel modo più opportuno per creare effetti controluce o schiarire le ombre.
Ora agendo da soli si può cercare di sfruttare al meglio la luce ambiente in connubio con quella emessa per lo più da un solo flash.
Il tutto è facilitato anche dalla possibilità di ottenere ottimi risultati anche impostando alti ISO in ripresa. Tuttavia per realizzare una foto come quella del controluce sulla pista da ballo un assistente che regga un flash ausiliario è indispensabile.
Dunque, al contrario di quanto scritto nell’articolo a proposito di Demarchelier, nella fotografia di moda, nel nudo più o meno artistico, nei ritratti di persone celebri, ecc. tutto è costruito. Il problema forse è se quanto è stato costruito risulta credibile o meno all’osservatore. Molte volte chi osserva fotografie di questo genere non si pone minimamente il problema se una foto sia credibile o meno, si lascia semplicemente catturare, suggestionare, si concentra solo sul soggetto immortalato.
Pensiamo alla famosissima foto “Le Baiser De L’Hotel De Ville” di Doisneau. Per anni abbiamo creduto che fosse un autentico momento di vita rubato rapidamente dal fotografo, poi abbiamo saputo che è staged, in posa, costruita. Il saperlo ci ha lasciato la bocca un poco amara, ha tolto la fascinazione romantica a quell’istante? Forse è stato così, però pensiamoci. Non dovremmo invece ringraziare ancor più il fotografo per avere costruito per noi quell’attimo magico, averlo reso credibile, rimanendo nascosto dietro le quinte?
Mi capita spesso di osservare fotografie di modella presso modella eseguite da fotografo presso fotografo e di avvertire che un qualcosa, che non so ben definire, stride e mi rende l’immagine poco credibile. Forse dipende dall’espressione che assume la modella unita alla sua gestualità “da calco in gesso”. Forse dipende anche dal fotografo, dal suo non rendersi conto che il risultato finale è banale, che una posa è troppo “posata”, melodrammatica.
Il fotografo presso fotografo non è stato in grado di dirigere la modella presso modella che ha assunto atteggiamenti troppo ostentati, lontani da una autenticità, da una probabile e possibile normalità. Oppure la modella non è stata capace di porsi davanti all’obiettivo suggerendo al fotografo come desiderava apparire. Il compito di una brava modella professionista è enorme, è una professione ben pagata se la si sa esercitare al meglio.
In studio mi sembra che capiti spesso al fotografo di pensare troppo alla disposizione delle luci, troppo poco alla posa.
Sul web si trovano infiniti esempi di schemi d’illuminazione
Si trovano anche interessanti articoli sulle “pose per modelle” per una fotografia una aspirante modella le deve studiare e deve imparare a conoscere il proprio corpo, pregi ed eventuali difetti.
Articoli e tutorial possono essere una buona base di partenza, poi bisogna cercare di andare oltre. In parte è una questione di studio, esattamente come si studiano le poche nozioni di base, tipo tempi, diaframmi, profondità di campo ecc. Indubbiamente la tecnica deve essere ben digerita. Non c’è di peggio, in qualsiasi situazione fotografica, del mettersi a cincischiare in scelte tecniche mentre state riprendendo un soggetto, si perde la concentrazione, il contatto mentale col soggetto ripreso.
Al di là degli schemi di illuminazione è utile osservare moltissime fotografie realizzate dai fotografi noti o che vi piacciono nel “genere fotografico” che vi interessa.
Osservarle con distacco mentale, per cercare di capire perché una foto vi piace più di un altra e possibilmente come è stata realizzata.
La qualità di luci ed ombre, da dove provengono, il rapporto figura sfondo, la posa esatta del soggetto ripreso e altri particolari. Cercare magari di copiare uno scatto che vi è piaciuto, tornare ad analizzare, approfonditamente, mettendo a confronto il vostro risultato finale con quello del fotografo che avete “copiato”. Per scoprire quali sono le differenza che fanno del suo scatto uno scatto migliore del vostro.
Ben inteso può assolutamente capitare e quindi capita che la foto realizzata dal celebre fotografo non sia assolutamente nulla di speciale, è semplicemente funzionale all’articolo del giornale sul quale è stata pubblicata. Potreste averla realizzata voi…. Solo che lui è lui…. E voi siete voi! Inutile mitizzare ma è altrettanto inutile sottovalutare quella semplicità, magari solo apparente, che può essere frutto di grande capacità.
Critica ed autocritica profonde sono indispensabili.
Mi sono divertito a farmi un selfie ispirandomi alla locandina del film “Il Cacciatore”. Copiare è divertentissimo, non c’è nulla di male a copiare.
Copiando si può cercare di re-interpretare per conferire alla scena ripresa un significato simbolicamente diverso dall’originale.
Si può anche cercare di copiare pedissequamente, come fanno i falsari, si possono addirittura realizzare copie dell’essenza , dello spirito di un autore, realizzando un opera che potrebbe essere attribuita a tale autore anche da esperti critici. Interessantissimo a questo proposito è il caso dei “falsi De Chirico”.
È una forma di studio che dovrebbe praticare anche la modella, non solo il fotografo.
Ogni attrice recita calandosi in un ruolo, in un ambiente, immedesimandosi in una situazione, imparando a recitare la sua parte a memoria. Diluisce la sua recitazione nell’arco del tempo di un film. La modella condensa nel breve arco di tempo di uno shooting fotografico la sua parte, il come deve o vuole apparire, in un ambiente che a volte è assolutamente “vuoto”, un semplice sfondo bianco o nero.
Il fotografo le chiede alternativamente un secondo dopo l’altro, di sorridere, di essere triste, di essere sensuale, ecc. e lei cerca di farlo… immedesimarsi non è facile.
Forse il fotografo dovrebbe chiederle se ha un gatto o un cane e alla sua risposta dirle che il caro animale è appena morto schiacciato da un T.I.R. Magari la modella potrebbe assumere una espressione confacente. Per dire che un rilassato e più o meno sereno dialogo credo sia necessario.
Forse così Avedon è riuscito a cogliere al volo nel riprendere Marilyn quell’attimo di sospeso sconcerto tra una posa e un altra. La storia dietro quella foto è che quando la Monroe ha chiesto “Ci siamo?” Avedon le ha risposto “No!”. Ed è stato pronto a scattare la foto, dato che in quel momento Marilyn aveva abbassato le proprie difese personali, era venuto meno il desiderio di apparire per come desiderava essere rappresentata, era scivolata inconsapevolmente, per un attimo, in una posa non in posa.
“La rappresentazione che il soggetto ha di se stesso. Tutti ci poniamo, spesso in maniera inconsapevole, alcune domande: cosa penso di me? come vorrei essere? cosa vorrei cambiare? La rappresentazione di sé è quel sistema di convinzioni, aspettative, valori che il soggetto costruisce nel corso del tempo in relazione alla propria persona”.
Dunque in qualsiasi frangente mentre si è il presenza di altri, si recita, ci si mette in posa. A chi non è capitato di recitare guardandosi allo specchio? Farsi un selfie può essere un ulteriore passo per rivedersi e studiarsi a posteriori.
Sì desidera essere percepiti in un modo, non in un altro, tanto più quando si viene ripresi fotograficamente. Si impara davanti allo specchio come farlo al meglio.
Ormai in qualsiasi angoletto sperduto del globo si sa cosa cosa viene prodotto da una fotocamera. Quando il fotografo fa click “immortala” e il soggetto ripreso sceglie a volte inconsapevolmente, altre assolutamente intenzionalmente, come desidera venire prima percepito, poi ricordato.
Per rendere plausibile una posa possono tornare utili degli “accessori”.
Se un soggetto ha una pipa o una sigaretta in mano, sa come deve gestirla, gli serve a essere attivo in un ambiente, ad occupare una mano, a darsi un tono. Così per esempio Alfonso Perrotta, “pescatore di chiodi” per sogno, barbone per contingenze varie nella vita, si mette in posa, si aggiusta il cappello, fuma la pipa, si appoggia a un manico di ombrello senza stecche.
Vuole essere percepito come un Signore: “Ma che è la vita? Non è niente, un nulla, si nasce e si muore. Ho 73 anni finiti, non ho fatto neanche la prima elementare ma posso insegnare a parecchi.
In questa terra si nasce e si muore. Tutti si è belli e si è brutti, tutti onesti e tutti disonesti, tutti buoni, tutti cattivi. Io sono nato senza camicia, morrò con la camicia. Sono già nobile, signore, ricco, ma che importa. La vita umana è una stronzata, bisogna saperla comprendere.”
In buona sostanza la ricerca assoluta della spontaneità e autenticità nelle intenzioni del fotografo per lo più non esistono assolutamente, sono un retaggio romantico. Quello che importa al fotografo è creare una suggestione, essere credibile, non autentico! Il fotografo deve portare l’osservatore a credere che la foto di una pipa sia una pipa, mentre sa benissimo che non è vero.
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo sito web può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico o in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore. Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da New Old Camera srl, viale San Michele del Carso 4, 20144 Milano. info@newoldcamera.it
All rights are reserved. No part of this web site may be reproduced, stored or transmitted in any form or by any means, electronic, mechanical or photocopy on disk or in any other way, including cinema, radio, television, without the written permission of the publisher. The reproductions for purposes of a professional or commercial use or for any use other than personal use can be made as a result of specific authorization issued by the New Old Camera srl, viale San Michele del Carso 4, 20144 Milan, Italy. info@newoldcamera.it
©2022 NOC Sensei – New Old Camera Srl
Lascia un commento