Nell’ultimo articolo avevo parlato del frame, come fotogramma, come spazio che circonda l’inquadratura, e di conseguenza come bordo della pellicola. Il frame, una volta arrivati alla fase di stampa è la cornice.
Purtroppo una bella cornice, magari con vetro antiriflesso, costa non poco. Mi è capitato di parlare con fotografi che, pur desiderandolo, non potevano esporre perché non avevano soldi per acquistare le cornici. È triste, ma succede.
È davvero così indispensabile la cornice? Credo che molto dipenda dalla situazione.
Se si espone una stampa in casa propria vuol dire che quella foto ci piace accarezzarla ogni giorno, con lo sguardo. A prescindere dal fatto che sia la stampa di una nostra fotografia o di un autore che ci piace. In questi casi una buona cornice, anche se costosa, vale la pena di di acquistarla. La luce del sole non filtrata da un vetro potrebbe incidere sui colori o comportare un ingiallimento delle stampe B/N. Inoltre viviamo ahimè in un ambiente assai inquinato.
Grasso e polveri di asfalto se abitiamo in città. Polvere, pulviscolo atmosferico, terra, se viviamo in campagna. Un vetro di protezione è doveroso, meglio se antiriflesso e meglio in ogni caso che raggi solari in nessuna ora del giorno illuminino direttamente la stampa.
Ok, in esposizione? Qui la scelta è ampia e articolata.
Prima di tutto bisogna considerare la stampa finita. Intorno agli anni ‘70 le stampe da pellicola su carta fotosensibile erano le uniche possibili. La pellicola formato 24x36mm era un problemaccio, specie per gli ingrandimenti da negativi B/N. Il formato di ripresa non era in proporzione né col formato carta 24×30, né col 30×40.
Andava meglio col formato 6×4,5 o con la pellicola a lastre su banco ottico, più proporzionali alla carta fotografica, ma pochi si potevano permettere fotocamere idonee. Eravamo tutti poveri fotoamatori incantati dalla magia della camera oscura, a volte a luci rosse, specie se eravamo assistiti da una amica.
Era un’ottima scusa in famiglia: “non ci disturbate, stiamo chiusi a chiave… se si apre la porta!…”
Si stampava spesso al vivo, arrivando a coprire tutta la superficie di carta stampabile, sacrificando un pezzetto di negativo. Ancora non eravamo influenzati dalle bellissime fisime dei Maestri di fotografia. In verità ne conoscevamo l’opera per lo più solo attraverso le riviste specializzate. Alzi la mano chi in quegli anni lontani ha visto dal vivo, in Italia, più di una o due mostre fotografiche!
Ci vollero anni per diventare un poco più esigenti e raffinati con le nostre stampe. Il più delle volte le conservavamo in un cassetto o, ad aver fortuna, in una scatola di legno del Verdicchio Fazi Battaglia. Le facevamo vedere ad amici e parenti, ci dicevamo che le foto in B/N sono sempre più artistiche, finita li. Nessuno avrebbe mai pensato di poterle esporre in una personale, gli eventi fotografici in Italia praticamente non esistevano.
Les Rencotres de la Phographie di Arles, hanno circa 50 anni di storia alle spalle. In Francia un mercato della fotografia d’autore esiste da anni, in Italia ancora no. Siamo arretrati di almeno 30 anni, facciamocene una ragione. Anche per questo motivo negli eventi italiani non si vende niente. Transeat.
Finalmente, illuminati sulla via di Damasco, o magari da un amico fotografo americano, imparammo la difficile arte del bordino nero, o quanto meno ad usare un marginatore per ottenere un bordo bianco intorno a tutta la stampa.
Se il bordino nero , dipendendo dal gusto personale è facoltativo un poco di bordo bianco attorno a tutta la stampa è indispensabile. Serve a non lasciare impronte grasse sulla stampa, possono rovinarla. Serve anche a mantenere sotto il passepartout la stampa. Un bordo bianco di pochi millimetri potrebbe essere insufficiente.
La carta da stampa, a meno che non sia molto ‘plasticosa’, è assai igroscopica, assorbe l’umidità ambientale. Le carte baritate, ai sali d’argento o per ink-jet sono delle spugne. Meglio un bordo almeno di 1,5/2cm se non maggiore.
La stampa va fissata con dello scotch di carta preferibilmente quello ipodermico, chirurgico (non lascia traccia di colla e non si tira dietro la carta posteriore della stampa se viene tolto) , sul retro a un cartoncino di base o direttamente al passepartout. Meglio fissarla sono in alto, si imbarcherà in modo uniforme, se si fissa su tutti i lati imbarcandosi farà delle onde irregolari.
Il passepartout deve essere spesso, specie se la stampa non andrà esposta in cornice e sotto vetro.
Bellissimi quegli con taglio interno a smusso. Se fatti preparare da un corniciaio costano cari. Una buona taglierina a 45° costa circa 35€, poi serve un righello di metallo, una base sulla quale tagliare. sono un ottimo investimento.
Dopo qualche prova imparerete alla perfezione come fare il taglio a smusso.
Personalmente non mi piace che una stampa fotografica sia sotto vetro. Si perde osservandola la percezione della superficie della carta, ha la sua importanza. Inoltre se la stampa è sotto vetro potrebbero verificarsi in esposizione dei riflessi orrendi.
A qualsiasi visitatore della esposizione piace osservare la stampa e non vedersi in uno specchio. I vetri antiriflesso costano cari. A questo punto vale la pena di acquistare le cornici?
Quelle economichissime dei cinesi e quelle economiche dell’Ikea evitiamole come la peste. Le stecche, spesso in plastica o legno sottile, tendono a imbarcarsi facendo uscire il passepartout e la stampa. Il vetro è sempre meglio toglierlo, sia perché come detto causa riflessi, sia perché potrebbe rompersi durante il trasporto.
Una buona cornice ha un notevole spessore, l’imballo di una mostra di 15 stampe potrebbe contenerne almeno 10 volte tante, tralasciamo il costo di spedizione e rispedizione.
Mi è capitato di vedere fotografi discutere con editor. Le stampe su un tavolo vengono spostate di qua e di la, gradualmente si crea una sequenza, si eliminano eventuali debolezze.
Giusto. Però il più delle volte né fotografo né editor possono sapere a priori come verranno esposte le stampe in un ambiente espositivo. Flussi di percorrenza del pubblico, pareti lunghe o corte, angoli, finestre e quant’altro, possono consigliare di organizzare l’esposizione in modo diverso da quello preventivato.
Il più delle volte le fotografie di una personale sono esposte in cornici nere, in sequenza, perfettamente allineate, magari su due file se sono molte. Funzionale ma lugubre, sembra una parete cimiteriale piena di fornetti.
Nulla distingue la vostra esposizione da quella di un altro fotografo.
Non di rado l’importanza dell’allestimento delle singole mostre è largamente subordinata rispetto alla organizzazione generale e alla pubblicizzazione di un evento fotografico. Capita addirittura al fotografo di sentirsi dire che deve portarsi martello e chiodi e provvedere da solo ad appendere le sue foto. Un posto vale l’altro, il fotografo che è in esposizione accanto pure.
Così al visitatore di un evento si scombussolano i neuroni, passando rapidamente ad ammirare in sequenza una mostra di nudo artistico, un reportage in terre lontane, una serie di macro-fotografie, ecc.
L’allestimento ha una importanza non indifferente, serve a fare immergere l’osservatore in una situazione, in un ambiente che deve entrare intimamente, sensorialmente, a far parte del progetto esposto, esaltandone le possibili suggestioni. È un equilibrio non facile. Si può correre il rischio di “spettacolarizzare” troppo una mostra.
Certe istallazioni potrebbero attirare l’attenzione più delle stampe esposte.
Anche l’ambiente espositivo è una sorta di cornice, importante. In fondo una esposizione è come una sorta di scatole cinesi, una dentro l’altra. Un imbuto visivo che conduce l’occhio e l’attenzione sino ad arrivare dentro le fotografie esposte. A questo punto la cornice delle stampe può esserci e non esserci, dipende dalla situazione espositiva.
A volte può essere assai efficace esporre le stampe appendendole direttamente con scotch biadesivo, ad una parete bianca o dipinta in modo uniforme. Nessun passe-partout, nessuna cornice, della stampa viene esaltata tutta la qualità materica, completamente esposta e percepibile anche all’olfatto e al tatto, non solo alla vista.
Meglio, ove possibile, che il fotografo ne discuta prima con l’allestitore.
Lia Alessandrini, nell’organizzare il “Semplicemente Fotografare Live!” ormai ha alle spalle anni di esperienze, centinaia di mostre allestite.
Dietro c’è una grande passione e sensibilità ma anche studio e molta ricerca.
Capita a volte che rovistando nel “mare magnum” della rete tragga ispirazione da allestimenti di altre mostre tematicamente vicine al progetto fotografico che andrà esposto.
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