Con Luigi Conte ci conosciamo da alcuni anni, ci frequentiamo quando possibile, magari per una uscitina passeggiando o con lo scopo di raggiungere un ristorante sul mare che lui conosce ad Anzio, per parlare di Fotografia, botanica, paesaggi, architetti paesaggisti Aiapp e vivai, passato e presente, degustando un vinello bianco fresco, degno compagno di un buono spaghetto alici e pecorino.
Mi colpisce ogni volta con quel suo sguardo attonito e felicemente stupito come un bambino davanti a ogni piccola sorpresa del creato. Ammiro in lui la capacità di intessere dialoghi ramificati, una sottile tela che riesce ad abbracciare mezzo mondo con la delicatezza di un signore come ce ne sono pochi, anche quando segue la sua “indole di sfondatore della settima fodera” ponendo domande alle quali nessuno potrebbe rifiutare una risposta.
Consapevole che se fossi io a parlare di Luigi mi dilungherei oltremodo, gli chiedo di raccontarsi.
“La mia storia fotografica è molto semplice e comune a tanti “invisibili” appassionati che fotografano con gioia e leggerezza,esprimendo comunque il loro “essere” con consapevolezza.
Iniziai ad appassionarmi di fotografia, sin da giovane, grazie a uno zio fotoamatore evoluto. Sviluppavamo e stampavamo nel bagno di famiglia. Da allora ho continuato, senza mai smettere, a sviluppare e stampare in analogico bianco e nero, dal piccolo al grande formato. La prima macchinetta fu una Pentax K 1000, poi arrivarono le Leica e l’Hasselblad, tutte regalate da amici, figli del digitale, che non sapevano cosa farsene dato che i loro genitori o parenti erano ormai defunti.
Frequento da anni diversi circoli fotografici di Roma e del Lazio, per confrontarmi e condividere. Sono socio di uno storico club dei Castelli Romani.
Ho sempre approfondito la mia cultura fotografica leggendo libri e visitando mostre.
Parallelamente alla fotografia “tradizionale”, pratico, tanto per non farmi mancare nulla, ormai da diversi anni, alcune antiche tecniche alternative camera less, cioè senza l’utilizzo della macchinetta fotografica, in particolare luminotipia (lumen print) e cianotipia (cyanotype).
Spinto inoltre da uno spirito di ricerca e sperimentazione, esploro l’utilizzo di alcune varianti innovative ,in particolare wet cyanotype e cyano lumen.
La mia attrazione per questo genere di fotografia è nata improvvisamente anni or sono.
Essendo laureato in scienze agrarie e ricercatore di miglioramento genetico presso un Ente pubblico, ero in California per un convegno presso una università statale, dove presentai un mio lavoro su nuove varietà di pesco platicarpa (pesco piatto).
In visita al Getty Museum di Malibù ebbi modo di vedere, per pochi secondi, attraverso un foro, le cianotipie delle famose alghe di Anna Atkins.
La Atkins fu la prima donna fotografa che realizzò un libro fotografico, rimasi molto colpito da questo personaggio. Era nato un amore.”
Indubbiamente, come dice Conte, Anna Atkins fu un personaggio interessantissimo, è una testimonianza del clima e dell’interesse che si venne rapidamente a formare intorno alla nascente fotografia, alla quale si avvicinò nel 18421 in seguito all’acquisto di una fotocamera.
Tra i suoi amici di famiglia c’erano William Fox Talbot e Sir John F. W. Herschel di quest’ultimo si parla poco e ingiustamente.
E’ considerato il padre fondatore della moderna astronomia, avendo scoperto stelle e galassie.
Si era dilettato a produrre immagini con mezzi meccanici, ma avendo cose ben più importanti a cui pensare aveva lasciato perdere quelle immagini per lui poco utili.
Tuttavia per Talbot fu un amico fondamentale, erano entrambi soci da anni della Royal Society. Talbot non era riuscito a rendere stabili le immagini che produceva. Herschel ci era riuscito, aveva inventato il fissaggio.
Daguerre fu il primo a tagliare il traguardo, vincendo per una incollatura, ma l’essenza della fotografia per come la conosciamo oggi, la possibilità di produrre un negativo dal quale ottenere infinite copie, il renderle stabili attraverso il bagno di fissaggio, è nel lavoro di Talbot e Herschel.
Anna Atkins ebbe un enorme merito, fu probabilmente la prima ad intuire che tale invenzione poteva essere utile come documentazione. Era una botanica, voleva censire la flora delle Isole britanniche. L’amico di famiglia Sir John Herschel aveva inventato la cianotipia nel 1842.
Un anno dopo Anna Atkins applicò il processo alle alghe, in particolare a quelle marine.
Possiamo ben capire come Luigi Conte, laureato in scienze agrarie e approfondito botanico sia stato folgorato osservando dal vivo al Getty Museum i lavori della Atkins.
“Iniziai quindi a studiare la storia della fotografia, a conoscere la vita e le opere di questi scienziati, prestati alla fotografia, che ritengo gli unici grand wet cyanotype e cyano lumen artisti della fotografia.
Ma torniamo alle mie “carte da parati”, come vengono definite affettuosamente dagli amici, date le dimensioni King Size. (avevo battezzate così le opere di Conte la prima volta che le vidi, colpito dalla bellezza di quelle stampe lunghissime, realizzate su carta a rotolo, di una eleganza enorme, secondo me adattissime a realizzare stupendi bordi di decorazione per carte da parati).
Le esposi per la prima volta in occasione del Live 2017 di Semplicemente Fotografare a Novafeltria. Fu una esperienza emozionante e gratificante.
In quella occasione ebbi anche modo di coinvolgere dei bambini nella realizzazione di Lumen prints . Non puoi immaginare la loro felice commozione nel vedere apparire l’immagine. Quindi è una tecnica propedeutica anche all’insegnamento di cosa sia la Fotografia.
Le tecniche alternative che pratico sono semplicemente delle stampe a contatto diretto, sotto vetro che funge da pressa, del soggetto su una superficie resa sensibile. Il tutto esposto alla luce del sole.
Alcuni fotografi utilizzano, di recente, delle lampade UV, ma ritengo che la luce del \sole dia all’immagine finale, una profondità, definizione, nitidezza e colore ineguagliabile.
Cyano type e cyano lumen
Sono tecniche accessibili e semplici, presuppongono però, per una resa qualitativa ottima, conoscenze soprattutto di chimica, fisica e botanica. Ogni specie, ogni soggetto a contatto con la superficie sensibile, reagisce diversamente alla luce del sole (temperatura di colore e intensità) umidità, contenuto di clorofilla e altri composti con dei risultati finali che dipendono anche da sotto o sovra esposizione.
Sempre nel solco dell’innovazione delle antiche tecniche alternative utilizzo fotocamere di grande formato dal 4×5 al 5×7 per realizzare cianotipie e immagini direttamente su carta fotografica.
Le riprese con il banco ottico mi aiutano molto nella consapevolezza della composizione, nel controllo della prospettiva e della profondità di campo, insomma nella gestione dell’immagine.
Ho diversi banchi ottici, denominati dagli amici “Alveari” realizzati dal mio amico Massimiliano Acanfora della BOMM Camera.
Scatto con Valentine e Aiace (4X5) e Nunzia (5×7). Ogni mia macchina l’ho battezzata con un nome di fantasia.
Entriamo un poco più dettagliatamente nella tecnica…
“Nelle cianotipie, oltre alla carta, le superfici che vengono sensibilizzate possono essere di diversa natura. Alcuni autori, in particolare artisti stranieri, utilizzano anche legno, rocce, stoffe, plastica, metallo. Praticamente qualsiasi materiale, il campo di sperimentazione può essere vastissimo, i limiti li detta il proprio gusto personale.
Io utilizzo soltanto diverse tipologie di carta cotone al 100%, a grana fine o grossa, di diversa grammatura in base alle caratteristiche chimico-fisiche del soggetto botanico.
Con soggetti poco “impattanti” per consistenza utilizzo spesso anche carta di riso giapponese, facendo molta attenzione,durante il lavaggio finale, che segue l’esposizione, a non danneggiare il tutto (fessurazioni e rotture) .
Nel lavaggio non aggiungo composti chimici per accelerare la precipitazione dei residui dei due reagenti che sono ferro ammonio citrato verde e potassio ferrocianuro.
Questi due prodotti, dopo averli diluiti in acqua distillata, vengono miscelati e distribuiti sulla carta con un pennello o una barretta di vetro. No assolutamente ad attrezzi di metallo.
Nella cianotipia classica la formula che uso è: in 100 cc di acqua distillata disciolgo 24 gr di ferro ammonio citrato verde e sempre in 100 cc di acqua distillata 16 gr di potassio ferrocianuro. Le due soluzioni, preparate separatamente vengono poi unite al momento dell’uso, distribuite con il pennello in orizzontale e verticale sulla carta, stando molto attenti a una distribuzione omogenea, senza accumuli o ristagni zonali.
La sensibilizzazione deve essere fatta in ambiente abbastanza buio e la carta una volta trattata, deve essere lasciata in camera oscura, fino ad asciugatura, controllando il viraggio dal giallo al verde e poi blu.
Solo allora è pronta. Alcuni usano il phone per accelerare l’asciugatura.
Le cianotipie non hanno bisogno di fissaggio ma solo di un lavaggio finale dopo l’esposizione.
La realizzazione di cianotipie con pellicole di grande formato Foma e Ilford la eseguo come facevano i fotografi dell’ 800. Realizzo lo scatto su pellicola piana B/N, lo sviluppo e ottengo un negativo che espongo a contatto su carta al sole. L’immagine deve essere abbastanza sotto esposta per ottenere una tonalità blu decisa.
A volte uso per le stampe positive dirette (senza negativo) la Harman Direct POSFB 1K 4×5 commercializzata dalla Tetenal.
Nelle luminotipie utilizzo sempre carta fotografica Tetenal. Per le “carte da parati” (dimensioni 120-150 cm) utilizzo carta in bobina, anche scaduta che gli amici della RA.SE.T ( importatore esclusivo Tetenal) di Roma mi offrono a prezzi generosissimi. Nelle foto allegate alcune sono varianti Van Dyke di cianotipie.
Wet cyanotype (cianotipia bagnata): è una variante della cianotipia classica di recente introduzione. La carta una volta sensibilizzata, viene tratta inumidendola con soluzioni di sostanze tanniche e coloranti. Io uso soluzioni con aceto, sapone, curcuma, caffè, the e polveri varie. La carta una volta asciutta,viene trattata con questa soluzione, messo il soggetto a contatto e viene fatto un sandwich con una pellicola di domopak, il tutto pressato con vetro o plexiglass e esposto al sole. Alla fine dell’esposizione al sole, che viene decisa per esperienza, viene lavato il tutto.
Cyano-Lumen: anche questa è una recente variante delle due tecniche. Sulla superficie della carta fotografica all’argento viene distribuita la soluzione cianotipica, quindi esposizione al sole, fissaggio e lavaggio.”
Importantissimo sottolineare che tali tecniche non devono affatto venire considerate solo nel novero delle tecniche antiche.
Procedimenti camera less hanno attraversato la storia della fotografia, da Man Ray a Franco Grignani, a Luigi Veronesi.
Luigi Conte li mette in opera con soggetti botanici ma ovviamente è il suo modo, non l’unico possibile. Contaminazioni tra le varie tecniche, tra analogico e digitale (usando come matrici per i negativi delle stampe da ink-jet su acetato) possono essere attualissimi, si possono usare come soggetti anche materiali traslucidi, cellophane, vetri, materiali opachi, metallici, insomma tutto dipende dalla fantasia e dalla creatività di chi mette in opera tali tecniche.
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